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la Bacheca Virtuale

di Silvano Calzini

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Quando leggere è un piacere e una autentica passione


12 ottobre 2004

L'alieno Giuseppe Berto

«In quest’anno 1964 compio cinquant’anni. Ho un sacco di fobie non viaggio in treno né in aereo né in nave, non salgo oltre il quarto piano delle case, non mi chiudo nelle sale da concerto, non vado ai funerali, non m’intaso con la macchina nelle strade del centro, non mangio frutta né verdura, non saluto le persone antipatiche potrei continuare per un pezzo. Sono quindi ancora malato e credo che non guarirò mai».
Allergico alle mode, insofferente delle correnti letterarie e politiche dominanti, isolato, scorbutico, tormentato, incompreso, ma soprattutto uno straordinario scrittore. Questo era Giuseppe Berto (1914 1978), l’autore de “Il male oscuro”, il più grande romanzo della letteratura italiana dal dopoguerra a oggi, che, in ossequio alla migliore tradizione italiana, in un primo tempo venne rifiutato da varie case editrici e stroncato dalla critica ufficiale, diffidente e ostile verso chi non fa parte dei “soliti noti” e non si allinea al conformismo imperante. Poi per fortuna, seppure a denti stretti, arrivarono anche i riconoscimenti e “Il male oscuro” nel 1964 vinse sia il premio Viareggio che il Campiello. Tuttavia Berto continuò a restare un alieno per il mondo culturale italiano non gli venne mai perdonata l’adesione giovanile, in buona fede e per questo mai rinnegata, al fascismo e il suo essere un antiretorico per eccellenza in un Paese che della retorica ha fatto una religione. Illuminanti a questo proposito queste parole di Berto:
«In Italia quando ci accorgiamo che qualcosa difetta di sostanza, noi la scriviamo con l’iniziale maiuscola, in questo modo conferendole una specie di garanzia immunitaria, che mette al riparo dal buon senso e dalla critica».
Approdato alla scrittura al ritorno dalla guerra e dalla prigionia, quando pubblicò “Il cielo è rosso” che fu subito un successo internazionale, Berto fu iscritto d’ufficio nel novero degli scrittori neorealisti, ma, non essendo uomo incline ad accettare di essere incasellato in un filone di successo, ben presto prese le distanze dal mondo culturale imperante “Fu così che mi trovai intruppato con i neorealisti. Noi intellettuali superstiti alla guerra, avevamo l’illusione di poter contare qualcosa nell’organizzazione della società. Cademmo, invece, in un grosso imbroglio”. Questo rifiuto del neorealismo lo portò a scontrarsi con l’establishment letterario e all’isolamento, ma, armato solo della sua grande onestà intellettuale, Berto non scese mai a compromessi con le varie correnti e cricche imperanti, pagandone fino in fondo le conseguenze. <br> Leggere “Il male oscuro” è un’esperienza indimenticabile. Come ebbe a dire Indro Montanelli, è un libro che una volta iniziato costringe il lettore ad andare “fino in fondo con la stessa galoppante furia con cui si ha l’impressione che Berto lo abbia scritto”. Il romanzo è la storia, autobiografica, di una nevrosi da angoscia che affligge il protagonista, originata dal conflitto irrisolto con la figura del padre; una discesa dentro se stesso e dentro la malattia descritta in uno stile originalissimo, con periodi lunghissimi e senza punteggiatura che rappresentano in modo perfetto e coinvolgente il fluire ininterrotto della memoria con tutte le angosce e le emozioni dell’io narrante.
Viaggio nel male di vivere e nella complessità dell’animo umano, e nello stesso tempo viaggio in un’Italia che stava affrontando il passaggio dai valori della società contadina e patriarcale (incarnata dalla figura autoritaria del padre) a quelli della società industriale e dei consumi.
Un libro rivoluzionario e modernissimo sia per il tema trattato, la depressione, che allora veniva chiamata esaurimento nervoso, sia per lo stile di scrittura che trascina il lettore in un vortice di pensieri, libere associazioni, ricordi, ossessioni. Un libro coraggioso che esplora come pochi altri, una parte di noi stessi che di solito non abbiamo il coraggio di guardare, ma che, come diceva Berto, c’è, esiste in noi, e nasconderla non serve che a renderci sempre più ammalati e infelici.

Silvano Calzini

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