L'alieno Giuseppe Berto
«In quest’anno 1964 compio cinquant’anni. Ho un
sacco di fobie non viaggio in treno né in aereo né in nave, non salgo oltre il quarto piano delle case, non mi chiudo nelle sale da concerto, non vado
ai funerali, non m’intaso con la macchina nelle strade del centro, non
mangio frutta né verdura, non saluto le persone antipatiche potrei
continuare per un pezzo. Sono quindi ancora malato e credo che non guarirò
mai».
Allergico alle mode, insofferente delle correnti letterarie e politiche
dominanti, isolato, scorbutico, tormentato, incompreso, ma soprattutto uno
straordinario scrittore. Questo era Giuseppe Berto (1914 1978), l’autore de
“Il male oscuro”, il più grande romanzo della letteratura italiana dal dopoguerra a oggi, che, in ossequio alla migliore tradizione italiana, in un
primo tempo venne rifiutato da varie case editrici e stroncato dalla critica
ufficiale, diffidente e ostile verso chi non fa parte dei “soliti noti” e
non si allinea al conformismo imperante. Poi per fortuna, seppure a denti
stretti, arrivarono anche i riconoscimenti e “Il male oscuro” nel 1964 vinse sia il premio Viareggio che il Campiello. Tuttavia Berto continuò a restare
un alieno per il mondo culturale italiano non gli venne mai perdonata
l’adesione giovanile, in buona fede e per questo mai rinnegata, al fascismo
e il suo essere un antiretorico per eccellenza in un Paese che della
retorica ha fatto una religione. Illuminanti a questo proposito queste
parole di Berto:
«In Italia quando ci accorgiamo che qualcosa
difetta di sostanza, noi la scriviamo con l’iniziale maiuscola, in questo
modo conferendole una specie di garanzia immunitaria, che mette al riparo
dal buon senso e dalla critica».
Approdato alla scrittura al ritorno dalla guerra e dalla prigionia, quando
pubblicò “Il cielo è rosso” che fu subito un successo internazionale, Berto
fu iscritto d’ufficio nel novero degli scrittori neorealisti, ma, non
essendo uomo incline ad accettare di essere incasellato in un filone di
successo, ben presto prese le distanze dal mondo culturale imperante “Fu
così che mi trovai intruppato con i neorealisti. Noi intellettuali
superstiti alla guerra, avevamo l’illusione di poter contare qualcosa
nell’organizzazione della società. Cademmo, invece, in un grosso imbroglio”.
Questo rifiuto del neorealismo lo portò a scontrarsi con l’establishment
letterario e all’isolamento, ma, armato solo della sua grande onestà
intellettuale, Berto non scese mai a compromessi con le varie correnti e
cricche imperanti, pagandone fino in fondo le conseguenze. <br>
Leggere “Il male oscuro” è un’esperienza indimenticabile. Come ebbe a dire
Indro Montanelli, è un libro che una volta iniziato costringe il lettore ad
andare “fino in fondo con la stessa galoppante furia con cui si ha
l’impressione che Berto lo abbia scritto”. Il romanzo è la storia,
autobiografica, di una nevrosi da angoscia che affligge il protagonista,
originata dal conflitto irrisolto con la figura del padre; una discesa
dentro se stesso e dentro la malattia descritta in uno stile originalissimo,
con periodi lunghissimi e senza punteggiatura che rappresentano in modo
perfetto e coinvolgente il fluire ininterrotto della memoria con tutte le
angosce e le emozioni dell’io narrante.
Viaggio nel male di vivere e nella complessità dell’animo umano, e nello
stesso tempo viaggio in un’Italia che stava affrontando il passaggio dai
valori della società contadina e patriarcale (incarnata dalla figura
autoritaria del padre) a quelli della società industriale e dei consumi.
Un libro rivoluzionario e modernissimo sia per il tema trattato, la
depressione, che allora veniva chiamata esaurimento nervoso, sia per lo
stile di scrittura che trascina il lettore in un vortice di pensieri, libere
associazioni, ricordi, ossessioni. Un libro coraggioso che esplora come
pochi altri, una parte di noi stessi che di solito non abbiamo il coraggio
di guardare, ma che, come diceva Berto, c’è, esiste in noi, e nasconderla
non serve che a renderci sempre più ammalati e infelici.
Silvano Calzini
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