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Pescara, 16 Gennaio 2018

Micenei vichinghi o Vichinghi micenei?

    Da qualche tempo i Vichinghi vanno di moda.
    Sarà per merito della bellissima serie TV canadese scritta e diretta dal genio di Michael Hirst (in programmazione dal 2013 con il titolo di "Vikings" ed uno staff di storici e costumisti che farebbe invidia al migliore dei colossal hollywoodiani); sarà perché in fondo i popoli del Nord Europa hanno sempre esercitato un fascino particolare sulle culture mediterranee; sarà perché in fondo in fondo il Romanticismo, inteso come corrente artistica, non ha mai del tutto abbandonato la sensibilità letteraria contemporanea: fatto sta che i selvaggi, mistici, biondi, barbuti, alti guerrieri del Nord non perdono mai il loro smalto e tornano ciclicamente alla ribalta.
    Ricordo che una fase del genere l'ho vissuta anche durante gli anni universitari, più o meno tra il 1994 ed il 1998, quando molti dei corsi di storia, storia dell'arte ed archeologia della Facoltà di Lettere di Chieti ebbero come argomento monografico la civiltà normanna medievale. Ed anche allora la suggestione fu probabilmente legata ad un prodotto culturale di massa, il libro "Omero nel Baltico, saggio sulla geografia omerica", scritto dall'ingegnere nucleare Felice Vinci (dunque non da un addetto ai lavori, per così dire) e pubblicato nel 1995 come approfondimento di un libretto uscito per mano dello stesso autore nel 1993.
    Il libro ebbe un discreto successo e fu tradotto in molte lingue; osteggiato dall'accademia ufficiale per l'ardita rivisitazione della protostoria egea, verso la quale mostra un approccio ingenuo anche se entusiasta, ha avuto comunque il pregio di incuriosire un pubblico molto vasto ed eterogeneo verso un periodo storico abbastanza poco noto e riservato agli specialisti; a me piace per la vivacità intellettuale ed il piglio divulgativo, oltre che per l'analisi dei punti di contatto tra due civiltà distanti tra loro quasi due millenni.
    In pratica Vinci sostiene che l'epopea omerica sia la trasposizione mediterranea di fatti storici avvenuti molti secoli prima in Nord Europa e propone un'origine scandinava per la civiltà micenea, corredando la sua tesi con prove basate sulla toponomastica, sulla mitologia e sui punti di contatto tra le due civiltà.
    In effetti le sue osservazioni sono interessanti, a tratti stringenti; soprattutto sommando tra loro tutti gli elementi che l'autore indica come prove del fatto che i Micenei provenissero dal Baltico (la toponomastica scandinava, la sovrapposizione del pantheon miceneo con quello vichingo, l'organizzazione della società clanica, la struttura dei villaggi, la comune presenza di elementi peculiari come gli oracoli semidivini e le donne guerriere organizzate in strutture sociali indipendenti e ai limiti del magico) spingono se non altro ad una attenta riflessione.
    Ma la sua argomentazione storica è induttiva, cioè parte da un'idea (i Micenei sono vichinghi) e mette insieme tutti gli elementi probanti per dimostrarne la veridicità; cioè fa esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare uno storico, che invece deve costruire la sua tesi per mezzo di un processo deduttivo: una serie di elementi dimostra qualcosa, e la spiegazione meno complicata generalmente è quella più verosimile.
    In questo senso, dunque, in attesa che l'archeologia comparata possa confermare o confutare senza ombra di dubbio la teoria di Vinci, la probabile spiegazione dei numerosi e non casuali punti di contatto tra le due civiltà potrebbe essere invertita: i Vichinghi potrebbero essere micenei; con buona pace della cronologia, che verrebbe in questo modo ad essere rispettata. Semplicemente.
    E deduttivamente.

    Chiara Zuccarini






















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