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n. 1 - Pescara, 8 Febbraio 2016

Lo Stato
delle cose belle

(Prima Parte)

Inizio questa nuova Rubrica mensile con un luogo comune, uno dei concetti più triti e ritriti sullo stato delle cose belle italiane, cioè sulla situazione dei nostri Beni Culturali: l'Italia potrebbe basare il proprio P.I.L. sull'adeguato sfruttamento economico del suo patrimonio storico-artistico e culturale in senso lato, ma non lo sa fare, e gli Italiani appaiono in questo settore più pigri, disattenti ed incapaci che in altri campi.
Un luogo comune, come dicevo, che però è uno dei nostri Manifesti nazionali, insieme con gli spaghetti, il bel canto e l'alta moda.
E come tutti i luoghi comuni, le leggende metropolitane e i miti, anche questo si basa su un dato di fatto reale e concreto.
Non è mia intenzione addentrarmi nell'analisi-denuncia dei motivi di questo problema, anche perché credo che ci sia una volontà scientifica dietro millantate incapacità politiche ed amministrative e quindi considero uno spreco di tempo ed energie la discussione sulle responsabilità, chiaramente ignorate ed evidentemente mancate.
Ritengo invece che sia il momento giusto per incominciare a scrollarci di dosso uno dei tipici e topici atteggiamenti italiani, un altro di quei luoghi comuni che ci identificano a torto o a ragione agli occhi degli altri popoli, cioè quello che definisco "sindrome da assistenzialismo statale", e che si traduce in un attendismo quasi medievale; intendo quella pigrizia mentale che ci impedisce di passare dal borbottìo all'azione.
Considerando, inoltre, che spesso ciò che non funziona bene è gestito dallo Stato, trovo contraddittorio e paradossale aspettarsi che sia proprio lo Stato ad intervenire.
Dunque, alla luce di questa analisi velocissima e totalmente personale di una parte della nostra realtà contemporanea, e volendomi sottrarre al letargo intellettuale, decido di dare il mio piccolo contributo personale attivo alla preservazione e alla valorizzazione delle nostre cose Belle attraverso questa rubrica “senza peli sulla lingua”.

Chiara Zuccarini






















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