|
n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - Pescara, 30 Agosto 2017
IL MUSEO COME “AZIENDA”
A
Giugno ho proposto come tema di discussione la riforma renziana dei Musei Statali Italiani, una vera e propria rivoluzione ideologica, oltre che amministrativa, perché introduce il concetto del Direttore-Manager e lo stigmatizza, equiparando il Museo ad un’azienda che deve produrre un utile, “vendendo” ad un pubblico di “consumatori” il prodotto “cultura”.
Mi aspettavo di intavolare una discussione sul tema, ma così non è stato.
Al di là dei motivi di questo silenzio (scarso interesse verso la questione, esiguo numero di lettori, mancanza di un’opinione personale e quant’altro), anche se evidentemente dovrei cambiare argomento, ci torno invece sopra e lo approfondisco.
Se il nuovo Direttore ideale di un Museo statale è il capo di un’azienda e se il relativo scarso numero di professionisti italiani in grado di rivestire questo compito giustifica o ha giustificato la scelta piuttosto veloce di titolati stranieri più orientati al business museale in quanto già formati nei loro Paesi a rivestire tale compito, laddove invece i nostri sono formati per conservare, si impone la compresenza di un Direttore Commerciale che affianchi il Direttore e ne renda esecutive le strategie aziendali orientate all’utile; il suo ruolo, esattamente come in una qualsiasi azienda privata, è semplicemente quello di vendere: il più possibile (per fare cassa), nel modo più efficiente (per ottimizzare i costi di gestione), nei mercati più redditizi (per raggiungere la massima diffusione possibile del prodotto).
In questa ottica va da sè che se il Direttore-manager deve essere un professionista della Cultura, possibilmente specializzato nel settore storico, artistico o scientifico entro cui opera il suo Museo, il Direttore Commerciale, invece, può essere totalmente digiuno di titoli accademici afferenti al tipo di prodotto-cultura presente nel Museo in questione, o addirittura non avere nemmeno la laurea; l’importante è l’esperienza nelle vendite, meglio se variegata (dal telemarketing alla vendita al dettaglio o al marketing operativo all’interno della Grande Distribuzione).
Il marketing, infatti, inteso come strategia e conclusione della vendita, è un settore operativo che si affina con l’esperienza ed in cui la teoria è decisamente inutile se non c’è pratica; l’approccio al cliente (che nel nostro caso è il visitatore del Museo) è uguale a prescindere dal prodotto che gli si voglia vendere, le dinamiche psicologiche sono le stesse, l’atteggiamento da tenere nei suoi confronti è tendenzialmente sempre lo stesso. L’esperienza è fondamentale perché insegna come risolvere un problema improvviso, una crisi, che sono sempre in agguato quando si tratta di un rapporto sociale a doppio senso, cioè quando c’è un meccanismo di comunicazione in entrambe le direzioni.
Il Museo italiano, infatti, almeno fino ad oggi è stato un contenitore, più o meno bello e/o interessante, con un sistema di comunicazione univoco in cui il Museo offre delle informazioni che il visitatore riceve in maniera più o meno passiva, ed in genere una sola volta nella sua vita, poiché difficilmente torna e ancora più difficilmente lo frequenta con assiduità.
La sfida, quindi, è proprio questa: variare l’offerta culturale, renderla continuamente appetibile, applicando le stesse regole del commercio; l’intento è quello di fidelizzare i consumatori, crearsi cioè una propria clientela.
Il Direttore Commerciale è dunque figura necessaria, imprescindibile se si vuole avere un’azienda di successo, o nel caso di specie un Museo che si regge con i propri introiti.
Chiara Zuccarini
|
|



|