Pensierini da Napoli
di Daniela Di Santo

Rubrica settimanale - Ogni giovedì una nuova puntata    n.15


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IL SINDACO, L'ARCHITETTO ED I CHIOSCHI - Ne hanno parlato di recente molti quotidiani e settimanali. Si tratta dello scandaloso restauro della Villa Comunale di Napoli. S'è scritto abbondantemente delle polemiche nate dopo la posa in opera dei cancelli installati con l'intenzione di chiudere la villa comunale, ma più che dei fatti, di cui è possibile apprendere da qualunque giornale, come ho scritto, vorrei riportare le impressioni dei napoletani, che hanno vissuto la villa prima e dopo la "cura".
La Villa Comunale è (o forse è meglio dire "era") di stile vanvitelliano, cosparsa di statue in marmo bianco e ricca di giardinetti ed aiuole con al centro una costruzione nel medesimo stile che ospita il museo marino. L'ingresso era (ahinoi, "era") delimitato da più statue raffiguranti corpi maschili. Non era ben tenuta, d'accordo, non era nemmeno protetta nelle ore notturne, ma saltava agli occhi di tutti lo stile, l'armonia di questa villa che si erge al centro di Napoli, ad est divisa dal mare da via Caracciolo e ad ovest costeggiata dalla Riviera di Chiaia. Circa un anno e mezzo fa, la villa venne chiusa perché, si diceva, il Sindaco aveva deciso di avviare i lavori di restauro per riportarla "all'antico splendore". Bella idea, si commentava, era ora che le opere d'arte venissero liberate dalle scritte, le aiuole ripristinate, lì dove erano oramai terriccio arido e ripristinati i corridoi calpestabili.
Pazientemente i napoletani hanno atteso che la villa venisse ricostruita, rinunciandovi a malincuore. Poi, un paio di mesi fa, circa, la prima sconvolgente rivelazione: lungo il perimetro della villa hanno cominciato a comparire dei cancelli e fin qui niente di speciale. Passi il disegno che salta agli occhi tra le inferriate verticali che riproduce la classica macchia così come si disegna nei fumetti, ma è stato vedere i pennoni a sostegno dei cancelli la cosa più sorprendente: dorati, dalla forma cilindrica che si conclude in alto con la cima appuntita, molto più alti e quindi più evidenti, dei cancelli stessi (quest'ultimi fortunatamente di colore nero o blu, non si è capito bene). All'ingresso, questi pennoni assumono dimensioni maggiori per cui scompaiono del tutto all'attenzione le statue che sono "ingabbiate" tra i pennoni stessi così come tutta la struttura della villa, per risaltare solo, tristemente impennate, questa specie di antenne cilindriche, dal diametro notevole, dorate e decisamente "pacchiane".
Va bene, superata la prima sorpresa i napoletani hanno comunque apprezzato la ristrutturazione della villa al suo interno che sembrava comunque essere tornata agli antichi splendori, con le statue ripulite ed i giardinetti ripristinati, finalmente fornita anche di un angolo tutto nuovo per i giochi dei bambini (noi siamo così: cerchiamo di non estremizzare!). Trascorso un altro mese, però, tutti noi ci chiedevamo perché la struttura che circondava i chioschi che ospitano i locali di ristoro, non venisse ancora tolta. Mah, forse erano ancora in ristrutturazione?! Ce ne sono tre, tutti rivolti verso il mare e rappresentavano la meta preferita delle sere d'estate che s'approssimava. Improvvisamente, queste strutture hanno preso a colorarsi chi di giallo, chi di azzurro, chi di verde. Molto più grandi dei chioschi originari, sembrano riprodurre la figura stilizzata di una casa, con il classico tetto appuntito, rigida senza armonia e senso della profondità. Quasi un'enorme lastra di legno colorata appesa al muro! E quale è stato lo sconforto nello scoprire che non si trattava delle strutture di sostegno, provvisorie, ma di costruzioni definitive che avrebbero dovuto rappresentare l'aspetto "innovativo" della ristrutturazione! Io stessa ho visto il gestore di uno di questi chioschi restare impalato davanti l'ingresso dello stesso, con il naso all'insù ed agitare il capo a destra e sinistra, in un gesto di incomprensione per quella "cosa" che ora rappresentava il suo chiosco.
Ora, al posto dei chioschi, ci sono tre "macchie" che saltano agli occhi di chiunque (anche non volendo, le si vede per forza) e svettano rendendo invisibile l'armonia del verde, delle forme, dello spazio che era originariamente il punto focale della villa. I napoletani (o per lo meno tutti quelli con cui ho parlato, ma non dubito che la pensino così anche altri) sono delusi, amareggiati, si sentono privati di qualcosa che apparteneva alla loro storia ed al loro modo di vedere la città (la storia qui si respira in ogni angolo) e non sto parlando solo di coloro che hanno cognizione della perdita artistica che ha rappresentato una tale ristrutturazione, ma anche di quelli per i quali la villa rappresentava un riferimento affettivo.
Che sia giusto dare spazio ad altre forme d'arte (ma è arte colorare di azzurro un piano di legno ed erigerlo a costruzione?) non lo si mette in dubbio, ma queste non hanno il diritto di distruggere il passato, specie se ha un valore riconosciuto. Non c'è bisogno di essere estimatori d'arte per capirlo (io non lo sono) è solo questione di buon gusto che non c'è stato certamente nel voler frapporre una tale accozzaglia di colori e di forme in un luogo dove in passato primeggiava l'armonia. Che poi Mendini sia un architetto stimato altrove, non significa che possa avere il diritto di fare della sua fantasia estrosa un'incomprensibile forma d'arte imposta ad una intera cittadinanza. Ma, mi chiedo e ci chiediamo, questo progetto non è stato visionato ed approvato all'origine? Chi lo ha visto, chi ha dato l'approvazione, a parte il Sindaco? Perché si negano le licenze per costruire in luoghi protetti per la salvaguardia dell'ambiente e poi si consente che si realizzi un tale scempio in pieno centro?
Ora le associazioni ambientaliste si stanno dando da fare e pare che sia nata un'inchiesta della magistratura proprio sui tanto discussi chioschi. Intanto, però, i soldi sono stati spesi e la villa è stata rovinata. Sempre così a Napoli: "dopo rubato le porte di ferro" e mai come in questo caso, trattandosi di cancelli, questo detto è stato così tristemente vero.

(15.Continua)

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