Pensierini da Napoli
di Daniela Di Santo

Rubrica settimanale - Ogni giovedì una nuova puntata    n.11


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    NAPOLI IN VIAGGIO - Chissà perché, ma solo quando ci si pone in relazione con gli altri, si scoprono le dissonanze rispetto a se stessi e alla propria vita. Anche per quanto riguarda le città è così: si scopre Napoli in qualche modo diversa solo quando si incontrano altri modi di vivere. Un viaggio in treno può essere un'ottima occasione per fare simili confronti. E' quanto accaduto a me, andando a Torino. E' interessante viaggiare in treno, perché diventa una lunga pausa giustificata dalla lentezza del mezzo di trasporto ed in più concede il tempo di conoscere molte persone. Pensate: Napoli-Torino, nove ore di viaggio e l'attraversamento di ben cinque regioni! Diventa un treno dove abitudini, culture, dialetti si alternano in modo affascinante. Con me hanno viaggiato per un lungo tratto una signora di mezza età, dinamica, atletica, medico anestesista di Napoli; una coppia di Torino ma di origini diverse (lei sarda e lui romagnolo); una suora dolcissima di La Spezia; un ragazzo di Aversa ma che non fa testo perché solo poco prima di scendere (Firenze) ha farfugliato qualcosa ed è andato via; un signore taciturno dalle origini incerte, salito a Roma, che si è limitato ad ascoltare ed assentire di tanto in tanto senza aggiungere altro. L'argomento di discussione, manco a dirlo, è stato Napoli, per il tutto il tratto Roma-Genova.
    Abbiamo cominciato la dottoressa ed io. Così accade tra napoletani: ci si racconta della propria città stando bene attenti a mettere in evidenza quanto di negativo esiste. Ad un certo punto la suora, che ascoltava con attenzione ogni parola, ha esclamato:
    «Ma è vero? Così accade a Napoli?!»
    Stavamo parlando del traffico (toh!) dei semafori e dell'anarchia che sopravvive indisturbata (erano giorni in cui Hillary Clinton aveva sconvolto ancor di più il traffico cittadino). Non so dire come e quando, ma improvvisamente noi "partenopee" ci siamo trovate al centro dell'attenzione e tutti, ben presto, hanno preso a chiederci aspetti di vita di questa città tanto pittoresca. Ma perché, mi chiedo, cosa c'è di strano in Napoli? Ma li accontentiamo. Dopo aver elencato i soliti luoghi comuni (ma mica tanto, poi!) mi viene in mente una frase malsana e la dico:
    «Però, in fondo, è bello vivere a Napoli: non ci sono regole, ci divertiamo da pazzi, siamo pronti a reagire a qualunque imprevisto, niente più ci sconvolge più di tanto! In quale città ci si può sentire più liberi!?»
    Guardo subito i miei compagni di viaggio scorgendovi un'espressione comune mista tra il disgusto e la sorpresa. Avevo detto un'eresia. Da qui passare all'argomento lavoro è stato facile. E si trattava di un argomento caro alla coppia torinese. Dopo aver detto le solite cose sul fatto che il lavoro a Napoli c'è ma nessuno vuole lavorare, che lavorano tutti in nero, che in realtà basta un po' della "nostra" fantasia ed il lavoro nasce, eccetera, eccetera (il giovane aversano era appunto intervenuto su questo per poi scendere subito dopo) ecco che sbuca fuori il vero problema. La donna, accompagnata dal marito, mi dice subito che sono anni che cerca di lavorare nella pubblica amministrazione, ma non capisce perché (ci tiene però a dire che lei non ha niente contro i meridionali. Io le credo, perché no?! Ha un volto così dolce!) tutti i posti sono occupati da meridionali ed in modo particolare da napoletani. Cerco di spiegarle con calma. Il motivo è semplice ed ha la medesima radice del voto di scambio. Perché il napoletano non CREA relazioni, ma NASCE "relazionato", nel senso che dovunque andrà e qualunque cosa farà, ci sarà sempre un amico dell'amico o un parente (e non uno normale ma persino il fratello del cognato della cugina, figlia della figlia della zia! Sono più chiari i legami di parentela, adesso?!) pronto ad aiutarlo. Lei mi guarda sbalordita, guarda il marito che sorride acconsentendo con il capo, torna a guardarmi ed esclama:
    «E' vero! Ho dei colleghi meridionali che conoscono più gente a Torino che me, che ci vivo da quando sono nata!»
    Ecco, è come scoprire l'uovo di Colombo! Gli altri mi guardano altrettanto sbalorditi. La suora allora mi dice:
    «Senta, ma son tutti raccomandati, allora?»
    «No - le faccio con naturalezza - è solo questione di relazioni umane. Noi ci vogliamo " bbene" e basta, dovunque siamo ed indipendentemente da quanti anni non ci si vede e sente.»
    Trascorrono attimi di riflessione. Oramai siamo quasi a Genova. Alla fine del viaggio sono tutti convinti che i napoletani siano in fondo brava gente, timorati di dio, che hanno in gran conto la famiglia, un po' originali e poco prevedibili. Ma nessuno di noi, compresa la sottoscritta, si spiega come può accadere che i napoletani siano così bravi e Napoli, poi, vada allo sbaraglio! E' un po' come dire che l'Italia è povera ma gli italiani sono ricchi. Uguale contraddizione! Ma il viaggio per molti di loro volge al termine e non c'è il tempo di approfondire. Speriamo che abbia fatto bene il mio compito di divulgatrice pro-Napoli, penso. Se ne vanno con l'espressione soddisfatta e divertita. Bene, mi dico, da oggi ci saranno quattro persone in più in Italia che ameranno i napoletani. Chissà se hanno capito che scherzavo.....(?). Eppure un dubbio nasce, mentre li vedo scomparire dietro la tenda e cala il silenzio in tutto il vagone: se non ci fossero stati dei napoletani, in quello scompartimento, si sarebbe parlato tanto?

    (11.Continua)

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