Pensierini da Napoli
di Daniela Di Santo

Rubrica settimanale - Ogni giovedì una nuova puntata    n.8


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ORARIO E DATE - Il concetto pirandelliano di soggettività della realtà, bene si adatta alla concezione che i napoletani hanno dell'orario (ed in fondo, di un po' di tutto!). Dall'orario dei negozi, agli appuntamenti; dall'ora di pranzo alle scadenze di pagamento. La mia salvezza, come donna lavoratrice, è da sempre una signora proprietaria di un negozio in cui si vende di tutto: dagli articoli di merceria ai detersivi. La sua caratteristica principale è l'orario di apertura: apre alle 11.00 e chiude alle 15.00, riapre alle 17.00 e chiude intorno alle 22.00. La signora ha applicato la liberalizzazione degli orari molto prima che i nostri parlamentari cominciassero a parlarne. La sua teoria è molto semplice: «Signò, cà campano solo gente che a' matina va a' faticà e torna a' sera pe' magnà. I sto' cà, se no' a chi vennesse?!» (Ritraduco per i non locali: «Questa è una zona in cui abitano solo persone che escono la mattina per andare a lavorare e tornano solo la sera per cenare. Io li aspetto, qui. Se non facessi così, a chi venderei?» ).
Non sapendolo, la signora applica egregiamente conosciute regole di marketing: adeguare l'offerta alla domanda. A Napoli si pranza alle 14.00 e si cena non prima delle 21.00. E i negozi alimentari si adattano. Non parliamo degli appuntamenti. Un quarto d'ora di ritardo è tipico, anzi, non è neanche ritardo. Dopo la prima mezz'ora si può cominciare a spazientirsi. Le scuse sono tante: il traffico (quello c'è sempre!), la macchina si è fermata (plausibile, sono sempre tutte datate perché poco "rubabili"), un cliente mi ha telefonato all'ultimo minuto (come dire di no?), etc. etc. . Ma la nota dolente sono le scadenze di pagamento. Si concordano contanti? Se sei fortunato, 15 giorni. 30 giorni? Va bene per i 60. Le cambiali, poi, si girano e si protestano senza timore. Nulla di grave, l'importante è essere preparati. Però, che bello vivere senza regole ?!! Ma queste, in fondo, non lo sono...?

MAZZETTE & C. - Un ultimo ed ennesimo scandalo di tangenti ha colpito Napoli, ma questa volta si respira nell'aria qualcosa di diverso. Il "colpevole" è un uomo, fino ad oggi stimato da gran parte dell'opinione pubblica partenopea, i cui figli e parenti sono ugualmente stimati e in parte conosciuti. La tangente è sempre stato un elemento "vivo" e conosciuto (anche prima di Tangentopoli, verso cui noi tutti provammo la medesima sorpresa che si può avere trovandosi davanti alla "scoperta dell'acqua calda"), ed è un fenomeno che parte dai livelli più insospettabili per arrivare ai maggiori rappresentanti politici. Anche un semplice segretario di uno sconosciuto Dipartimento universitario, può esercitare pressione e favoritismi, specie se il suo compito prevede anche la scelta di fornitori e preventivi.
L'origine della sua incolumità nasce dalla Bibbia. Già, da quella frase saggia, quanto pericolosa per le sue implicazioni, che venne rivolta al popolo dei Giudei durante la lapidazione di una giovane meretrice: «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra». Ma di pietre ne sono state scagliate sempre troppo poche. La richiesta di un "regalo" viene da sempre esercitata con molta discrezione, in modo da insinuare nel destinatario della richiesta il dubbio che, in realtà, non si tratti di qualcosa di negativo, ma forse di un vero e proprio "aiuto". L'entità della richiesta è direttamente proporzionale all'importanza della persona e al potenziale guadagno previsto nell'affare. Ed anche in questo si è sempre molto cauti: una richiesta onerosa, rispetto alla situazione, può creare nella controparte la rabbia e l'esasperazione necessarie a dare forza ad un'azione di ribellione. Ci sono situazioni, che pur apparendo innocue, possono dar vita ad una richiesta, più o meno esplicita di tangente.
Ho traslocato circa un anno fa la sede del mio ufficio, chiedendo al custode del palazzo da dove ero andata via, non senza riconoscergli il disturbo (...per posare poche buste su un tavolo! ) dal momento che conoscevo il tipo, di trattenere la corrispondenza a noi indirizzata, in attesa che la richiesta di smistamento inoltrata all'Ufficio delle Poste (inutile e senza speranza) e le comunicazioni ai vari clienti e fornitori, avessero corso. La situazione si è, purtroppo, protratta per oltre un mese. A quel punto il signor custode mi ha fatto capire che il disturbo cominciava ad essere insostenibile (in pratica erano finiti i soldi che gli avevo "donato") e che non poteva continuare a trattenere la corrispondenza, salvo ricevere un ulteriore incentivo da parte mia. Come ho sempre fatto nella mia vita, gli chiesi, allora, di restituire tranquillamente la posta al mittente, ricordandogli che trattenere e buttare la posta altrui era azione perseguibile per via legale (si irritò non poco al mio rifiuto!). Ci vuole la tangente anche per non perdere la corrispondenza! Ma, come si evince dalla reazione del custode, essa viene interpretata come un diritto, piuttosto che come un'estorsione.
Non è il caso di sorprendersi: potrei elencare un numero notevole di esempi del nostro quotidiano in cui è possibile che si verifichi la medesima situazione. Forse per me, da sempre intransigente verso questo tipo di atteggiamento, sono tangenti, mentre da altri, probabilmente più aperti, possono essere tranquillamente interpretate come "mance" . Ma la mancata erogazione di una mancia (che di solito viene offerta alla fine di un'azione richiesta e non prima), non deve e non può compromettere l'esito e la realizzazione dell'azione stessa. Ho visto infermieri immobili e sordi ai richiami dei pazienti, perché questi ultimi si sono rifiutati di elargire "mance". Se non si tratta di tangente in questo caso, qualcuno mi dica allora cos'altro possa essere!?
È ovvio che non per tutti è così: vi sono comunque persone che ancora provano imbarazzo nel ricevere del denaro, per gratitudine, in cambio di quanto fanno per lavoro o per passione. Ma è bene prevedere che la tangente (o come la si voglia chiamare) è qualcosa con la quale, prima o poi, tutti dovremo fare i conti. Perché non è solo una questione di disonestà di colui che la richiede, ma di scelta morale per chi la elargisce. Scrivevo all'inizio che qualcosa sembra stia cambiando. Il personaggio a cui alludevo (di cui tacerò il nome per rispetto verso coloro che, involontariamente, sono stati colpiti dalle conseguenze della sua azione) è stato, come dire, pescato con i soldi in tasca. L'imprenditore a cui aveva richiesto la tangente, si è leggermente infastidito ed ha accettato per il solo scopo di farlo "beccare" dalla Polizia con le mani nel sacco. Il sentimento che ha provocato l'accaduto è stato quantomeno irritante. Profonda comprensione e pietà per la sua famiglia (con sorrisi qua e là ironici sulla dubbia innocenza di quest'ultima), e di derisione per il "colpevole", per essere stato così imbecille da farsi "beccare" e poi, in fondo, per poche lire (cinque milioni). Insomma, laddove ci si aspettava una reazione di sdegno, arrivano dall'alto del pulpito, una marea di opinioni ironiche sulla incapacità del tizio, non in quanto rappresentante di un ruolo istituzionale, ma in quanto "corrotto". L'inchiesta sta rivelando in questi giorni che il soggetto in questione fosse da tempo abituato a simili pratiche, avendo estorto diverse centinaia di milioni. Ma poco importa quest'ultimo particolare. Nell'aria rimane immutata la convinzione che sia stato comunque stupido a farsi scoprire. In ogni caso, resta storica la scelta coraggiosa dell'imprenditore di denunciare l'accaduto. Fino a qualche anno fa questo non sarebbe accaduto.
Dopo quanto trattato, viene spontaneo fare una considerazione. La corruzione non è un fenomeno esclusivamente partenopeo; pensarlo sarebbe puro ed ingiustificato accanimento verso i napoletani. Essa è qualcosa che vive e sopravvive (nonostante le inchieste) in tutto il mondo (di recente si è scoperta persino all'interno della Commissione Europea!). Ma se è possibile punire e fermare le azioni, ciò che è più difficile da debellare è la mentalità. Una mentalità che tende all'indulgenza verso richieste di denaro ingiustificabili, che asseconda (per paura, per necessità, per abitudine: non saprei individuarne i motivi) atteggiamenti disonesti e vergognosi e non necessariamente clamorosi. È questa mentalità che incontro quotidianamente e che rende la cultura della "mancia estorta" un fenomeno tutto partenopeo, non per il fatto di per sé, ma per gli atteggiamenti, i sentimenti, le reazioni che nascono da esso, tra la gente comune, nella vita di tutti i giorni. Ma anche in questo caso, può essere solo una questione di punti di vista...

(8.Continua)

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