Pensierini da Napoli
di Daniela Di Santo

Rubrica settimanale - Ogni giovedì una nuova puntata    n.5


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LA FILA - In quei pochi anni di studi di Sociologia all'Università di Napoli che ho fatto, ho avuto il piacere di seguire il corso di Antropologia tenuto dalla Professoressa Signorelli, la quale ci parlò di uno studio antropologico eseguito sul comportamento di alcuni popoli, tra cui quello napoletano. In particolare, è stato rilevato un comportamento anomalo rispetto al resto degli italiani, per quanto riguarda la percezione dello spazio tra un essere umano e l'altro, molto più simile a quello dei popoli africani (non è pregiudizio, ma conclusioni di uno studio scientifico!). Tutti noi, inconsciamente, poniamo un determinato spazio tra noi ed un'altra persona nei comportamenti quotidiani: sul tram, nei concerti, nei locali pubblici e....nelle file. A Napoli questo spazio si riduce notevolmente! Avete mai visto una fila in un ufficio postale della città? È divertente, in fondo. Allora: immaginate che vi sia una persona allo sportello. Normalmente dovrebbe esserci un'altra subito dopo. No, non è così. Chi è di turno subito dopo si è invece posizionato alla destra della persona allo sportello, il terzo, in ordine, è quindi posizionato alla sinistra. Subito dietro si riproduce la medesima disposizione e via di seguito, perdendo, ben presto, l'ordine di presenza! A tutto ciò si aggiunge una compressione generale, nel senso che, dove sembrerebbero esserci dieci persone, ve ne sono almeno il doppio! Occorre avere esperienza ed occhio allenato per capire quale fila appare la più breve e la più scorrevole! Non sono rare denunce pubbliche di precedenza: in breve, si litiga! Il lato positivo di tutto ciò è che, tanta è la vicinanza, che, nel frattempo, si possono fare amicizie, si aiuta la vecchietta in attesa della pensione, si ascoltano le esperienze altrui, sempre con un occhio pronto ad osservare se il famoso furbo tenta la rimonta. E se non si cede al meccanismo? La mia prima volta in fila, ho, ingenuamente, seguito il normale corso di disposizione. Voi non ci crederete, ma nessuno ha capito che ero in fila, per cui tutti mi passavano avanti, mentre io attendevo inutilmente che venisse il mio turno! O bere o affogare!

IL COMPLESSO.....DEL RE - È così che amo definire tutte quelle manifestazioni di approvazione, nostalgiche e malinconiche verso il Re. D'Aragona, Borbone, Savoia, non importa quale. Di re, Napoli ne ha avuti, forse, anche troppi. Il popolo napoletano, è nato, cresciuto, si è modificato nel tempo sempre all'ombra di un nobile reggente. Intere dinastie coronate ne hanno fatto, a fasi alterne, il loro centro economico, culturale, residenziale, fonte inesauribile di accondiscendenza, adorazione, denaro e ricchezza. Ma la corona non c'è più e Napoli si è ritrovata svuotata, abbandonata al proprio destino, all'interno di una Repubblica che non prevedeva l'esistenza di re. I napoletani (che mai si perdono d'animo) si sono adattati: sono cinquant'anni che incoronano personaggi di varia natura, surrogati di re, a cui rimandano il proprio destino. Ne hanno bisogno, come una droga. Senza, non saprebbero cosa fare. Alle soglie del duemila c'è chi liquida questo bisogno come assistenzialismo e clientelismo. Forse lo è, ma Napoli non lo sa. Per lei è amore verso un uomo, uno qualunque, che rappresenti la città, che aiuti il popolo, che lo protegga come un padre amorevole, attento ai loro bisogni. Ma chi sono i re moderni? Il boss, il consigliere, il parlamentare che continuano indisturbati a gestire il potere all'interno di un quartiere, di una circoscrizione, di una fetta della città. Anche Maradona era un re ed ancora lo amano, nonostante tutto. Perché Napoli perdona, dimentica, se chi ha sbagliato ha fatto, comunque, qualcosa per lei, con qualunque mezzo. I nuovi re tirano i fili di tanti esseri a cui nessuno ha mai detto che vi sono casi in cui è necessario guardarsi intorno per stringersi e collaborare. Oh, certo, se hai bisogno di aiuto, non lo negano, ma questo è un altro discorso: l'aiuto amichevole, quello che mai verrà a mancare, non prevede la comunione di interessi, di gestione, di decisioni. Per questo i napoletani non conoscono il significato della parole "unione", "collaborazione", "potere del popolo". All'interno della medesima categoria, si ostacolano, si odiano, si fanno guerre inutili e senza vincitori. Le cooperative, che hanno fatto lo sviluppo economico del Nord, qui sono diventate, salvo rare eccezioni, dei fallimenti. Il contrasto consiste proprio in questo: la forte individualità di ciascun napoletano, che si afferma in ogni occasione, che lo spinge ad isolarsi ed a combattere da solo, si riconosce solo con quella di un uomo di potere a cui affida la propria esistenza, il re. Ma non credete che quest'uomo possa rappresentare il punto di unione della massa, anzi: egli manterrà il potere proprio conservando le singole individualità ed usandole l'una contro l'altra per il proprio tornaconto. È la tattica che usa il camorrista come il politico. Se in questa città sopravvivono ancora tanti piccoli esercenti, sull'orlo del fallimento, che non concepiscono l'eventualità di una collaborazione; se i nomi di Gava, Scotti, Pomicino, riecheggiano come sinistri fantasmi tra i palazzi di potere; se il funerale del boss D'Alessandro diventa una manifestazione di cordoglio di un intero quartiere; tutto ciò avviene perché, per secoli e secoli, si è continuato a perseverare nell'errore che nulla potesse essere fatto contro il potere, tanto vale farselo amico; perché questa città non si ama abbastanza, da non consentire di essere sfruttata; ciò avviene, soprattutto, perché non ha mai conosciuto l'alternativa e non ha la più pallida idea di che sapore abbia la libertà, anche oggi, che è lì sotto il suo naso.

(5.Continua)

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