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"Il Ritorno - Boicu e altre storie" di Romano Asuni

Quando la Memoria è protagonista
Borgosesia (VC) - 8 Febbraio 2007
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alle Radici


di Romano Asuni - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10
L'autore di «Il Ritorno - Boìcu ed altre storie», splendida raccolta di racconti che diventano romanzo pubblicata in eBook ed Ex Libris, dialoga con i lettori de L'ISTRICE lungo il filo della memoria. Prosegue e rinnova così il discorso aperto dal suo libro che segna il felice esordio nella narrativa di questo famoso giornalista che dalla Sardegna è approdato professionalmente a Milano diventando una delle grandi firme di Amica, la Domenica del Corriere, il Corriere d'Informazione fino a dirigere Salve, il mensile di medicina e salute della RCS.  Naturalmente i lettori di queste sue note periodiche non possono lasciarsi sfuggire la lettura del suo libro che può giungere in pochi click sullo schermo del vostro computer oppure arrivare per posta a casa in una Copia Ex Libris, in volume stampata appositamente per chi la acquista.
Guarda la VideoPresentazione dell'Editore di Il Ritorno - Boìcu e altre storie >>>

   Giovanni Battista e il cervo

   T
utti lo chiamavano ziu Titinu, dove ziu stava per signore, un titolo che non si poteva negare a un cacciatore come lui, gran tiratore e soprattutto uomo schivo e modesto, che non si era mai vantato di aver abbattuto un cinghiale nel bosco a “palla asciutta”. Vale a dire, un colpo e basta, un proiettile secco in corsa, possibilmente dietro l’orecchio, così l’animale non avrebbe sofferto e la pelle sarebbe rimasta pressoché intatta, da regalare a qualche compare a Natale. Le poche volte che ziu Titinu, Giovanni Battista all’anagrafe, si arrabbiava davvero era quando vedeva un povero cinghiale o, peggio, un cervo, sventrati da una scarica di pallettoni, agonizzare dietro un cespuglio o ribellarsi con le ultime forze all’assalto dei cani.
   "Mi', due me ne hanno ammazzato l'ultima volta, due cani che sentivano le pernici a trenta o quaranta metri, per colpa di un babasucco che non ha aspettato che si girasse, per tirargli in testa o almeno alla spalla. Eh, il cinghiale ferito è pericoloso, anche per l'uomo. Se non sei capace di sparare "a balla sola", è meglio andare a conigli, con i pallini si fanno meno danni".
   Era uno dei tanti racconti che mi regalava, in quelle sere d'estate che portavano le stelle sulla porta della vecchia cantoniera che gli faceva da casa, con il ruscello davanti alla porta e la montagna alle spalle. Faceva la guardia giurata e doveva sapere tutto quello che capitava oltre e dentro il bosco, animali compresi, a quattro e due zampe. Si raccontava che una volta avesse poggiato sul tavolo di un pastore della zona l'orecchio di una cerva, che aveva trovato strangolata dal laccio di un bracconiere. Guardò com'erano fatti i nodi e andò a colpo sicuro. Il pastore non tentò neppure di negare. "Stava per partorire, bestia", gli sibilò, "non provarci un'altra volta".
   Una notte senza sonno mi fece fare un'ora di cammino nel bosco e sedere sotto un roccione davanti a una radura. "Non parlare - mi disse- e non spaventarti". Rimasi due ore lì, poi sentii i cervi in amore cantare alla luna, appena prima di luglio. “Se torni d’inverno ti faccio vedere una cosa, ma davvero bella”. Promesso? Promesso.
   Quell'anno era nevicato forte, come non capitava da tempo, i vecchi non se lo ricordavano, ma ziu Titinu mi aspettava. “Stai qui -mi disse- dietro la finestra”. Lui se andò di fuori con un’incerata che lo copriva fino ai capelli. Nevicava forte, come non avevo mai visto, Ziu Titinu teneva le mani aperte davanti a sé, non capivo perché. Poi lo vidi uscire lentamente dal bosco, annusare verso la casa, alzare il palco come a minaccia, poi trotterellare a passo lento, guardandosi intorno. Un cervo imperiale, non ne avevo mai sognato uno così. Ziu Titinu era coperto di neve ma allungò le mani, il cervo la lingua, leccò a lungo, come non volesse lasciare traccia di quello che c'era.
   “Cos’era, cos’ha mangiato?”
   “Sale –rise ziu Titinu scaldandosi - quando nevica ne ha bisogno, altrimenti lo trova nell'erba e nei germogli. Siamo amici da cinque o sei anni, da quando l'ho visto una volta giovanissimo e non gli ho sparato. Al paese dicono che sono un cacciatore”.

Romano Asuni
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Romano Asuni
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