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   LA GUERRA DI GIOVANNI ANTONIO

  Ho ritrovato un vecchio amico, io vengo da Cagliari e lui da Sassari, ma pazienza, non ci perderemo in liti da cortile, come Casini e Berlusconi.
Si chiama Edoardo Pittalis e fa il mio stesso mestiere, scrive sui giornali, è editorialista e vicedirettore de "Il Gazzettino" di Venezia.
   Gli ho mandato il mio “Il ritorno - Boìcu ed altre storie”, pubblicato qui da Simonelli, e ho ricevuto in cambio, inatteso, il suo "La guerra di Giovanni", pubblicato proprio negli stessi giorni (Edizioni Biblioteca dell'Immagine-Pordenone) con una sapiente e affettuosa presentazione di Enzo Biagi.
   Normale scambio di cortesie fra colleghi, si è autorizzati a pensare.
   Nulla di tutto questo, è che dietro “ La guerra di Giovanni” c'è una storia che in sé meriterebbe un altro libro.
   Allora, Giovanni è, come migliaia d’altri, un ragazzo che a meno di diciotto anni (quelli che nelle cronache d’oggi vengono chiamati bambini o poco più) viene scaraventato nel mattatoio della Prima Guerra Mondiale, con i “dimonios” della Brigata Sassari, dove si ammazza o si è ammazzati con la baionetta e raramente si ha il tempo per pulirsi il pastrano dal vomito del nemico ucciso, prima di saltar fuori dalla trincea. Pittalis racconta questa storia con il cipiglio e l’asciuttezza del cronista di gran razza, una documentazione di tutto rispetto e l'occhio sempre rivolto lì, dove i suoi fanti lo tenevano fisso.
   Giovanni, che è poi il nonno dell'autore, torna dalla guerra e partecipa a una cerimonia di commemorazione.
   Conclude: "Giovanni sapeva che non sarebbe tornato più in Continente, che sarebbe morto nella sua isola".
   La stilettata è il capitolo finale.
   Nonno Giovanni se n'è andato, molti anni fa, portandosi dietro i ricordi di quell'altipiano e quelle doline dove non è più tornato.
   Pittalis lo ha sostituito con un altro, Giovanni Antonio, che di cognome fa Carta, ma poco importa.
   È anche lui un “ragazzo del ’99 “, uno degli ultimi, ha 107 anni.
   Vive in un paesino del Nord della Sardegna e anche lui ha conosciuto le mattanze del dopo Caporetto.
   Gli hanno dato una croce di guerra e un vitalizio, rivalutato, di 43 euro mensili, che riceve in due rate annuali. Da qualche anno ha chiesto un adeguamento. Non gli hanno neppure risposto.
   “Scriverò di nuovo”, ha brontolato.
   Dopo novant'anni, la guerra di Giovanni Antonio continua.

Romano Asuni
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