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Quando la Memoria è protagonista - 20 dicembre 2006
Tornare alle Radici

di Romano Asuni - n. 1 - 2 - 3 - 4
L'autore di «Il Ritorno - Boìcu ed altre storie», splendida raccolta di racconti che diventano romanzo pubblicata in eBook ed Ex Libris, dialoga con i lettori de L'ISTRICE lungo il filo della memoria. Prosegue e rinnova così il discorso aperto dal suo libro che segna il felice esordio nella narrativa di questo famoso giornalista che dalla Sardegna è approdato professionalmente a Milano diventando una delle grandi firme di Amica, la Domenica del Corriere, il Corriere d'Informazione fino a dirigere Salve, il mensile di medicina e salute della RCS.  Naturalmente i lettori di queste sue note periodiche non possono lasciarsi sfuggire la lettura del suo libro che può giungere in pochi click sullo schermo del vostro computer oppure arrivare per posta a casa in una Copia Ex Libris, in volume stampata appositamente per chi la acquista.

   UN CINGHIALE DI NOME FABRIZIO

  P
enso che Fabrizio De André, se fosse vivo, avrebbe rivolto uno sguardo annoiato a tutte le cerimonie che gli stanno dedicando, ai festival e ai salamelecchi un tanto al chilo. E senza avvertire nessuno, quatto quatto se ne sarebbe tornato all’ “Agnata”, la tenuta fra le campagne ai piedi dei monti della Gallura, casa sua. Non escludo neppure che lo abbia fatto, a insaputa del mondo, e si sia seduto davanti al camino acceso, fa freddo in questi giorni, con un pezzo di formaggio infilato sulla punta del coltello, per abbrustolirlo. Era così, ma era stato molto altro e molto diverso, prima che gli prendesse quello strano male che almeno quarant’anni prima di lui un grande scrittore, Marcello Serra, aveva battezzato “mal di Sardegna”, ben prima del mal d’Africa e di tutte le malinconie del mondo.
   All’inizio lo presero male, “come quei forestieri che arrivano, pagano e calpestano l’orto di casa tua, come fosse roba loro”. Eh, no, gli dissero, l’orto non è tuo, mangia i carciofi che hai pagato e lascia stare il resto. Guardati intorno, il panorama è gratis ed è bello. Lo avvertirono portandogli via qualcosa, oggetti, qualche animale, ma lui duro, genovese di scoglio, non capiva perché dovesse cedere a quei cinghiali che volevano devastargli quel campo che cominciava a conoscere e ad amare.
   Poi presero lui, e la sua donna. E furono lunghi giorni intensi di fatica e di buio. Di dolore e di morte, dentro. Se non sembrasse, e fosse, paradossale, si potrebbe tranquillamente sostenere che Fabrizio De André abbia imparato a conoscere e amare di più la Sardegna, quando questa gli ha inflitto la più dolorosa e squassante delle punizioni che si possano infliggere a un uomo: il sequestro. Quando sei indifeso, umiliato e inerme, davanti a un altro essere umano. Che può disporre di te come vuole, fino a toglierti la vita o anche peggio.
   Forse davvero allora De André sentì la pelle diventargli spessa e lunghe e irsute setole spuntargli lungo il corpo. Tornato a casa non disse una parola contro i suoi sequestratori, respinse con una scrollata di spalle gli inviti pressanti a tornarsene a Genova o a Milano. Si chiuse all’“Agnata” e scrisse musica. Voglio ricordare due di quelle canzoni, “Hotel Supramonte” e “Franziska”. La prima una dolente ricostruzione dei giorni del sequestro, senza un lamento, anzi con lo sberleffo di quel titolo che da solo vale un Oscar. La seconda, la ballata della donna del latitante che mentre la festa impazza nella piazza del paese, guarda lontano e “com’è piccolo il suo cuore e grande la montagna” dove sta il suo “marinaio di foresta senza sonno e senza canzoni”. Il cinghiale aveva capito tutto. Se sei di nuovo da quelle parti, bentornato.

Romano Asuni
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Romano Asuni
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