Su bandidori, il giornale del mattino
Su bandidori era l’equivalente di ciò che è oggi il giornale del mattino, il gazzettino per chi ascolta le radio locali,
insomma il notiziario. Ma era anche un uomo che girava per le strade con
una trombetta e comunicava a chi voleva sentire le novità del paese.
Cominciava dalla periferia, dove solitamente ci si sveglia prima, gli
altri potevano aspettare. Di lì risaliva, percorrendo il paese a cerchi
concentrici, fino a quando, verso mezzogiorno, si avviava con la sua
trombetta sotto braccio verso la porta del Municipio per rendere conto
del lavoro fatto e attendere nuove disposizioni, magari per l’indomani.
Ma Mimino, “su bandidori”, non era un dipendente comunale, come
molti credevano, anzi quello era uno dei suoi motivi di contrasto
furioso con Amundu, Raimondo, il messo comunale, al quale rinfacciava
spesso la vita comoda e lo stipendio sicuro. Lui no, doveva presentarsi
ogni mattina, piovesse o si annunciasse una giornata di gran caldo,
un’ora prima dell’apertura degli uffici e prendere, proprio dall’odiato
Amundu, le disposizioni. Che consistevano nell’annuncio di un consiglio
comunale, nella nuova nomina del capitano dei barracelli, com’erano
chiamate le guardie campestri, dell’inizio dei lavori per la nuova
gradinata della chiesa e via di questo passo. Ma prese le disposizioni
veniva il bello: bisognava ricordarle. Di prendere appunti non si
parlava neppure, Mimino era un analfabeta puro, di quelli cioè che non
hanno mai pensato, neppure in sogno, di prendere un libro o una matita
in mano. Per cui qualche volta i suoi bandi facevano un po’ di
confusione, ma la gente rideva e capiva lo stesso. <br>
Ma se con le lettere Mimino aveva qualche problema, con la matematica
invece se la cavava meglio. E poiché i pochi soldi del Comune non gli
bastavano mai decise che avrebbe affrontato la libera professione. Così
si recò in Comune, accertò che per lui non ci sarebbero state speranze
di assunzione in alcun caso e al vice sindaco che lo aveva accolto con
un filo d’ironia e condiscendenza chiese a bruciapelo: ”Ma allora, posso
fare anche altri lavori?”. L’altro rise: ”Fai quello che ti pare, purché
non vada a rubare”.
Allora non c’erano sindacati né contratti di lavoro, per cui
Mimino, che era a modo suo un co.co.co. ante litteram, si cautelò con
due testimoni. Per qualche giorno lo videro girare per negozi e
macellerie e il sabato mattina compresero perché. Certo, la sera ci
sarebbe stato il consiglio comunale, pepééééé la trombetta, certo
l’acqua sarebbe mancata per due ore nel pomeriggio, pepéééééé, ma la
carne appena macellata si trovava da Ignazio, che oggi aveva deciso
prezzi speciali e martedì, quando arrivavano i pescatori, il pesce più
fresco lo avrebbe portato Efisio, quello di Sant’Elia. E il giorno dopo
stupì tutti con le stoffe di zia Giovannina e il vino della cantina di
Dario. E andò avanti così, per settimane, fin quando non gli fecero uno
scherzo.
“E’ morto su bandidori , è morto!”, gridò un ragazzo in bicicletta.
Era morto davvero, ma era un altro, un vecchio sordomuto che chiamavano
così perché la gente è cattiva. Lo presero in giro per una settimana
chiamandolo resuscitato, poi Mimino sparì e anche in Municipio dissero
che avevano perduto un “cosciente collaboratore”. Quando un paesano lo
ritrovò sei mesi dopo, per caso, aveva aperto un lussuoso negozio di
scarpe in un altro paese, con i soldi guadagnati andando in giro per i
paesi intorno con la sua trombetta. Era il 1949, Berlusconi aveva 13
anni.
Romano Asuni
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