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ARTE
- Personaggi da ricordare  
di Mario Pancera
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GINO CARRERA,
UNA NAVE PER LA VITA

Nato nel 1923 a Casalpusterlengo, nel basso milanese, terra di fatiche contadine e di lotte politiche, Gino Carrera ha vissuto sulla propria pelle le tragedie della guerra: quattro anni in Marina e sei d'ospedale. Ha sposato una ragazza dolce e volitiva, cui l'odio aveva tolto il padre nei giorni della Liberazione: glielo ammazzarono davanti agli occhi, lasciava una vedova con otto figli. Provenendo da famiglie di convinzioni ideologiche contrastanti, Carrera e la sua ragazza dovettero lasciare il paese per vivere a Milano. Romeo e Giulietta dei poveri. Bisogna pur ricordare queste cose. Ma, cresciuto in famiglia operaia (il padre leggeva il giornale agli analfabeti e scriveva le lettere per loro) ha vissuto un'infanzia tra gente vera e talvolta felice, come quel suo nonno maniscalco che cuoceva le lumache tra la cenere della forgia, suonava il flauto e la tuba, e dormiva in un letto in ferro sulla cui testiera si arrampicavano le campanule dei vasi che teneva in camera.
Ebbe l'idea di fare il pittore a 12 anni. Frequentata la Scuola di arti e mestieri, poi l'officina, poi i corsi di pittura a Brera, fece l'artigiano per sopravvivere. E' sempre stato di straordinaria manualità: si costruisce tutto da solo, poltrone, lampade, asciugatoi per le lastre, aspiratori, polverizzatori automatici utilizzando motorini usati, vecchi girarrosti, ventilatori da rottamare. Nel suo studio perfino le finestre dell'aerazione si aprono da sole allorché si mette al lavoro. Oggi, vive su una collina di Caprino Veronese, davanti al lago di Garda. E' un po' come Kokoschka, che negli anni difficili aveva fatto l'artigiano, era stato transfuga a Londra a causa del nazismo, e, tornato sul continente e conquistata la meritata fama, si era stabilito in collina sul lago Lemano.
Un pittore è un pittore se dentro ha l'anima, altrimenti è uno che dipinge. Schiele era immorale, Van Gogh paranoico, Modigliani alcolizzato e Toulouse-Lautrec frequentatore di bordelli? Che importa: essi amavano, dietro il loro sguardo avevano l'anima. Per questo le loro opere rimangono.
Quando Carrera cominciò a guardarsi intorno vide l'uomo che lavorava: egli stesso cominciò lavorando. Visse cioè da subito all'interno della sua società , amandola, e in questa società è rimasto radicato. Le sue opere lo dicono con chiarezza. I suoi occhi sono limpidi: non solo hanno esaminato le superfici dell'avventura umana, ma sono scesi in profondità. Dopo la guerra, ebbe bisogno di un torchio per le incisioni: a Milano in un campo di residuati bellici trovò alcune parti di una torpediniera in disarmo: ne smontò un pezzo qua e uno là , e in capo a un mese aveva fabbricato il suo torchio. Ma poiché la gente comprava pane, non arte, Carrera si industriava a disegnare manifesti, sciarpe, scialli, coperte. C'era ancora qualche mercante, come Ettore Gian Ferrari, che credeva nei giovani; qualcun altro li riceveva, non guardava nemmeno le loro cartelle, ma gli metteva un biglietto appallottolato in mano: cento lire per tirare avanti. Anzi, glielo buttava lì , in anticamera, senza parlare. I migliori apprendevano le lezioni dell'arte e, insieme, quelle della vita. Di quegli anni, Carrera avrebbe potuto essere come Grosz o Dix: ironico, sarcastico, violento nella denuncia. Ne aveva i numeri e gli argomenti. Invece, non seguì il vecchio, né rincorse le avanguardie; sfuggì anche le tentazioni delle nature morte, dei fiorellini, dei paesaggi. Evitò il decorativismo. Le sue incisioni, sempre alla ricerca di novità tecniche e sostanziali, hanno la forza di quelle di Daumier (soggetti diversissimi, naturalmente, più vicini a Goya, Bacon, Sutherland): la sua forza è nella figura, nella tragica poesia della vita. Interprete del realismo espressionista, le sue figure immobili sembrano in realtà muoversi sulla tela. I suoi uomini e le sue donne dai visi sfatti, dalle labbra carnose, le sue coppie audaci per la composizione nello spazio, ma a volte anche per il comune sentire, i ritratti e gli interni non lasciano indifferenti. Sono l'espressione di una furiosa fine Millennio. Se ne é avuta una riprova qualche tempo fa nella grande mostra presso la Galleria d'arte moderna e contemporanea di Palazzo Forti, a Verona. Come ricordava lo storico e critico Gombrich, anche gli studiosi più impegnati e attenti non sono profeti e, ammesso che abbiano l'opportunità di incontrarli, sarebbe loro difficile considerare gli sconosciuti Van Gogh, Lautrec, Schiele contemporanei come protagonisti dell'arte della nostra condizione.
Gino Carrera lavora: al tempo il compito di essergli testimone.


Hai letto «Vite scolpite» di Mario Pancera?
Tutto sulla vita e le opere di Lucio Fontana, Francesco Messina, Marino Marini, Luigi Broggini,
Giacomo Manzł, Agenore Fabbri, Luciano Minguzzi, Carmelo Cappello, Pericle Fazzini, Emilio Greco
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