«La mia Ricerca Storica
senza la "Patente"»

di Roberto Festorazzi

Risposta a un violento attacca al volume «San Donnino, cella 31».



Ho letto la versione «per la storia» che ci ha consegnato uno degli autori del feroce agguato in cui, il 13 agosto 1944, caddero a Guanzate, nella pianura a sud di Como, due giovani volontari della Brigata Nera. Renato Morandi, attraverso il quotidiano on line «Varese News», esce dal silenzio dopo 55 anni per raccontarci un'ostinata menzogna. Non è certo l'unico a mentire, tra gli ormai patetici custodi del mito ideologico della Resistenza.
Nel mio libro «San Donnino, cella 31», definito "spazzatura" da questi stalinisti di antico pelo che ora pontificano su Internet, ho ricostruito in maniera analitica e inconfutabile, sulla base di documenti e testimonianze inediti, che cosa accadde esattamente nella radura di Guanzate quel pomeriggio d'estate del '44. Ho utilizzato voci e testimonianze di protagonisti, viventi e non, di fonte fascista e antifascista, proprio per dimostrare l'intento imparziale del mio lavoro.
E queste fonti concordano nell'affermare che, quell'azione, di cui Morandi ha l'impudenza di andare tuttora fiero, e senza l'ombra di un pentimento, fu un'imboscata. «Un atto incolsulto», lo ha definito un antifascista responsabile, onesto e attendibile come l'ignener Luigi Carissimi Priori, responsabile di una missione radio dell'Ori (Organizzazione resistenza italiana), arrestato insieme alla moglie Marisa e al professor Adolfo Vacchi a seguito delle delazioni di alcuni gappisti di Guanzate catturati dai fascisti nel corso del rastrellamendo deciso per punire quel delitto.
Carissimi, che ha oggi 85 anni, può testimoniare la sventatezza dell'azione difesa da Morandi, che provocò il black out delle comunicazioni tra gli Alleati e il movimento di liberazione nell'area di confine italosvizzero, snodo fondamentale per il passaggio dei corrieri. Non solo: i gappisti di Guanzate erano foraggiati dallo stesso Carissimi, a nome e per conto degli Alleati stessi, perché «se ne stessero buoni». E invece che cosa fecero questi signori? Provocarono scioccamente un rastrellamento in grande stile dei fascisti in un'area che pullulava di corrieri e di «spie» angloamericani.
L'agguato di Guanzate fu condannato dallo stesso responsabile del Gap locale, Luigi Clerici, poi catturato e fucilato insieme a Elio Zampiero dagli uomini della Brigata Nera. Anche su questo Morandi, misteriosamente, tace. Neppure l'ombra di un rimpianto?
Fu un'azione barbara, crudele, quella del Loc. Ma soprattutto inutile e dannosa per lo stesso movimento partigiano, perché causò una reazione durissima dei fascisti, che giunsero a catturare i capi del Cln di Como e a decapitare, a Milano, il vertice della Dc clandestina, arrestando tra gli altri anche Enrico Mattei.
Tutte queste cose le ho ricostruite con obiettività, sentendo i protagonisti viventi, e senza la minima propensione ad alterare l'esatta concatenazione degli eventi.
Credo sia esattamente questo che infastidisca coloro che, come Morandi e lo storico di sinistra Franco Giannantoni, piegano i fatti alle proprie deformate visioni di parte. Solo chi è sprovveduto o in malafede può credere alla versione fornita da Morandi, che presenta l'uccisione dei due giovani militi della Brigata Nera come un atto «dovuto», quasi «doveroso». E tenta di farci credere che le vittime, ferite mortalmente, abbiano fraternizzato coi loro carnefici.
Nessuno che sia minimamente avvertito e non servilmente sdraiato sulle posizioni di questi perseveranti cultori del falso storico, può credere che quei ragazzi siano stati ammazzati dopo che costoro ebbero preannunciato l'imminente rappresaglia fascista.
La rappresaglia venne, ma fu la conseguenza - e non la causa - di quell'esecrabile delitto. La verità sta tutta qua, nella ricostruzione degli esatti nessi di causalità che, se per le Fosse Ardeatine partono da via Rasella, per Guanzate ci riconducono necessariamente a cosa accadde nella cascia Loc, alla vigilia di Ferragosto di quel terribile 1944.
Ancora: va pure sottolineato che è inaccettabile il metodo di giustificare qualsiasi azione, purché compiuta dai partigiani. Lo storico serio si prende la briga anche di valutare se l'uso delle armi fu proporzionato al risultato. Nel caso di Guanzate, mi pare di aver dimostrato che non lo fu.
Concludo dicendo che chi non accetta la probatorietà di documenti quali io ho utilizzato nel mio libro - che tra parentesi desidererei fosse letto con attenzione, prima che vituperato - non può definirsi storico ma propagandista politico.
E tali sono coloro che, non essendo animati dalla neutralità e imparzialità necessarie per chi intraprenda la ricerca, pretendono di distribuire patenti di legittimazione a destra e a manca cercando di distinguere il vero storico da chi non lo è. Temo purtroppo che con questi signori non sia possibile ragionare.

Roberto Festorazzi


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