*UN GRANDE RITORNO* *UN GRANDE RITORNO* *UN GRANDE RITORNO*
22 ottobre
- La lettura non è quel gran che. La rivista, anche se recentissima, è uno di quei giornali dedicati alla salute. Diete ed esercizi di ginnastica per rassodare i muscoli e tener giù la pancia. Il mio entusiasmo di ieri sera, si trasforma, lentamente in una mezza delusione. Sto per buttarla nel cassonetto della spazzatura, quando mi accorgo che, su una delle ultime pagine, cè la foto a mezzo busto di Ggenio. Incuriosito, mi soffermo sull'articolo, preceduto da un titolo a caratteri cubitali: A BOSTON SI DISCUTONO I PRINCIPI ALIMENTARI PER IL PROSSIMO MILLENNIO. Dal nostro inviato speciale G.S... Sul fondo pagina cè un'altra foto, quella della Meeting Room del più grande e lussuoso albergo di quella città, con vari personaggi, tra i quali intravedo il volto meraviglioso di Deianira. Senza ch'io possa controllarmi, una furia selvaggia mi si scatena nel cuore: riduco la rivista in frammenti e urlo la mia disperazione come un forsennato. Ggenio e Deianira insieme, a Boston! L'idea mi sconvolge talmente che prendo a calci il cassonetto. Alfredo, vedendomi così alterato mi si lancia addosso per fermarmi.
- Sono tanto depresso che non ho la forza di proseguire. Lotto contro il desiderio di piangere. Alfredo, impietosito, cava di tasca una fiaschetta metallica, rubata chissà a chi. «Bevi» mi dice, «ti farà bene». Nonostante siano solo le dieci del mattino, tracanno mezza bottiglia. È brandy molto forte. Resto senza fiato per qualche secondo e poi faccio per continuare, ma, il mio amico, sdegnato per tanta ingordigia, mi strappa la bottiglia di mano e si scola quel che è rimasto. In men che non si dica, ci trasformiamo in due passanti dall'andatura incerta.
- Barcollando giungiamo davanti ad una scalinata. La qual cosa, stranamente, ci fa ridere di cuore. È difficile pensare che nel Labirinto vi siano i piani alti. Anche se offuscati da una poderosa dose dalcool, i miei pensieri mi lanciano un segnale d'allarme. Raggiungo la convinzione che quella scala non conduca verso posti piacevoli. Forse è l'ingresso al sancta santorum, alle stanze di sua bovinità. Alfredo, per nulla preoccupato dall'eventualità che gli prospetto, mi propone di verificare. «Vuol dire che se arriveremo all'ingresso degli alloggiamenti del Mino, imbratteremo quella porta, bloccheremo il campanello del citofono e scapperemo via, come si faceva da ragazzi ». Lidea mi piace e lo seguo. Ho bisogno di emozioni forti.
- La scalinata sembra non aver fine. Mentre saliamo, incrociamo altre persone che la ridiscendono mestamente. Man mano che saliamo, la luce aumenta d'intensità e l'aria diventa più fresca e respirabile. Ad un certo punto, sento addirittura l'odore del mare e mi par d'udire il tipico rumore delle onde che si frangono sulla scogliera. Alfredo ha la stessa sensazione. L'emozione ci snebbia un po' il cervello e mi mette in condizione di chiedere alla prima persona che incontriamo di dirci dove siamo. Senza entusiasmo, l'interlocutore c'informa che ci troviamo nel condotto principale dell'aria del Labirinto. Al termine della scala cè il mondo esterno! Dovrei esserne felice, ma l'espressione di chi ridiscende mi blocca: perché quelle facce tristi? L'ultimo tratto di scala è ripidissimo e addossato alla parete, tanto che, data la mia stazza, riesco a passare in quell'andito procedendo lateralmente. Alfredo, ridendo mi prospetta la non remota possibilità di restare incastrato.
- Finalmente fuori. Usciamo su un bordo rotondo di circa tre metri di larghezza. La vertigine più impensabile s'impossessa di noi. Ci teniamo per mano e, benché la larghezza sia più che sufficiente per camminare senza problemi, ci sembra di procedere su un filo. Siamo sulla sommità d'una specie d'altissimo camino. Sotto di noi rumoreggia il mare e nell'aria è effettivamente distinguibile la presenza d'umidità salsoiodica. Lontane come miraggi, tre vele immobili e bianchissime ornano un mare di cobalto. Cerco d'avvicinarmi al bordo per vedere se vi siano possibilità di discendere verso l'esterno. Nemmeno a parlarne! Sporgendo la testa nel vuoto ho la sensazione di esserne risucchiato. Non posso trattenere dei violenti conati.
- Restiamo seduti al centro del settore circolare. Facciamo ruotare lo sguardo di 360 gradi e scorgiamo, lontanissima, una città. La vista delle case affastellate mi dà una stretta al cuore. Inaspettati, dei tuoni in lontananza, non promettono nulla di buono. Dopo circa un quarto d'ora comincia a piovere. Bisogna rientrare, perché, in men che non si dica, la pioggerellina si trasforma in una vera e propria tempesta.
- Siamo di nuovo in una zona sconosciuta. Decidiamo lasciarci guidare dalla luce. Raggiungiamo un bar. Proprio così, un bar. Con tanto di barista che, appena ci vede seduti nel suo locale ci domanda che cosa possa servirci. Due caffè e un'informazione. Versa in due tazze piccolissime un liquido cremoso come melassa che scopro essere un ottimo caffè. Gli chiedo se per caso sia in grado di indicarmi la strada per raggiungere i giardini. Fa lo gnorri. Nel pagare il conto gli lascio il doppio della consumazione di mancia. Allora si scioglie e mi dice di proseguire lungo la strada maestra per almeno dieci chilometri e, giunto nei pressi dun alloggio dalle finestre enormi, foggiate a bifora, di girare a destra e proseguire per circa cinquecento metri. Il resto sarà facile. Ci guideranno la luce e l'aria fresca.
- È tardi, siamo stanchi e intontiti. Proseguiremo domani. Ci stendiamo lungo la parete e, per parte mia, spero in un sonno senza sogni.
[Continua]