• Quando un'idea comincia ad arrovellarmi il cervello, difficilmente m'abbandona. Avviene, così, che, se non riesco a formulare subito i pensieri necessari per chiarirla a me stesso, soffro una specie d'angustia che mi dà il tormento in ogni minuto della giornata e che giustifica, di fatto, la mia presenza nel Labirinto. Da qualche ora, un sorcio molto pertinace mi sta rosicando il cervello: una sensazione indefinibile, dall'origine ancora incerta che, sospetto, possa derivare dalla lettura del poema del Grande Giorgio, oppure da un'espressione particolare letta negli occhi di Deianira che, sulle prime, deve essermi sfuggita. Il disagio non deriva dal concetto che sta frullandomi in testa ad intermittenza che, anzi, mi fa sentire stranamente euforico, quanto dalla sua presenza evanescente, inafferrabile. Una specie d'ectoplasma veleggia tra la dura e la pia madre prendendosi gioco della mia dabbenaggine. Forse è l'idea stessa della precarietà. Forse è la consapevolezza dell'inconsistenza che separa la forma dalla sostanza. Qualunque cosa sia, devo dar reque alla mia testa che ha preso a dolermi peggio di ieri. Meglio uscire e distrarsi: dei massimi sistemi discuterò stanotte con me stesso, sperando che l'inquisitore che è in me non decida di condannarmi al rogo di una notte insonne.
• Appena in strada, trovo subito uno spunto di distrazione. Noto con piacere che è tornato tra noi il vecchio rabbino che ci fece visita il trenta d'agosto. Discute animatamente con Evaristo che, per quanto ne so, malgrado non sia proprio un antisemita, "li ggiudij" non li vede granchè di buon occhio. Il Rabbino sta illustrando la sua grande ammirazione per il Papa ma, fa notare sommessamente che, la santificazione di una ebrea da parte della chiesa cattolica, è un colpo basso che il Sommo Pontefice poteva risparmiarsi.
  Evaristo non è assolutamente d'accordo e aggredisce l'interlocutore con la solita veemenza:
  «Aho', Zì Nicodemo! Cce lo sai o no, che er Pontefice nun sbaglia mai, datosi che er Padreterno n'ha proclamato l'infallibbilità? Vedi de nun criticà sinnò rischi de fa montà in bestia li cristiani! Dico ppe ddì. Però: s'a sora Edith, poarella, ha deciso d'abbraccià a fede cattolica - questo ve dovrebbe da fa penzà anzicchennò - como pretenni de negà ar capo de li cattolici la possibbilità de procramà ch'è stata in gamba meijo de li cristiani de nascita? Anche perchè mica l'ha fatto ppe interesse... è morta come tanti de voantri dell'epoca, ner campo de sterminio de quer satanasso. Ve dovessite da 'ncazzà se Jean Paul Deux procramasse santi e cattolici tutti e sei mijioni de poveri cristi de ggiudij ch'hanno fatto quela fine miserabbile... Ma poi, Zi Nicodè, te pare che er Padreterno di fronte a 'n sacrificio der genere se formalizzi? Cce lo vedi a la porta der Paradiso che sta a chiede a tessera a quei poveri morti? 'A verità, Zì Nicodemo mio, è che so' tutti santi, tutti, puro li zingari, puro queli che Domineddio manco lo conosceveno!»
  Il rabbino annuisce commosso e s'allontana. Evaristo s'avvede di me ed è infastidito, perchè sa che ho visto una lacrima rigargli il volto. Mi sono distratto, ma il mal di testa no, insiste ancora più furioso.
• Kramer mi domanda, senza ottenere alcuna informazione, se conosco i risultati del campionato mondiale di ciclismo e della maratona di Carpi. Casca proprio male, nemmeno sapevo che si corressero. Gli suggerisco di chiederlo al suo amico poliziotto. Ma lui con lo sguardo triste conclude:
  «A q...quello lì p..piace s..s..solamen..ente il calcio. È un b..buzzurro».
  Subito dopo si pente di avermi fatto questa confidenza e mi guarda male.
  «Sta' tranquillo, Kramer, mica vado a riferire!»
• Corro da solo per una decina di minuti. Il mal di testa persiste e, per la prima volta, ritorna il fiatone. Non ce la faccio a proseguire e mi siedo su un gradino a riprender fiato.
• Rifletto. Rimugino. Il linguaggio del corpo! Finalmente risolvo l'arcano che mi tormentava da stamattina. Alcuni dei versi del mio professore dicevano, se non ricordo male:

[Continua]