A 150 anni dalla sua nascita, Giovanni Pascoli
torna a far parlare di sé per le sua breve storia sentimentale con la cugina
Imelde Morri. E' ricomparsa infatti una lettera della ragazza che lui aveva
nascosto fra le pagine di una vecchia edizione degli " Ab urbe condita
libri" di Tito Livio conservata nella biblioteca della sua casa di
Castelvecchio. E' stato Gian Luigi Ruggio, il Conservatore di Casa
Pascoli, al quale si deve la prima biografia del poeta (Giovanni Pascoli,
storia delle vita tormentata di un grande poeta,
Simonelli Editore),
a scoprire questo documento. Una scoperta davvero importante perché è la
prima "testimonianza in diretta" degli amori pascoliani.
"Imelde Morri" spiega
Ruggio, "era la cugina di Giovanni Pascoli,
figlia maggiore di Luigia Vincenzi, sorella della madre del poeta, sposata
ad Alessandro Morri. Giovanni tentò due volte un approccio con lei. La prima
volta, nel 1895, con una lettera fattale scrivere, un po' sadicamente, da
sua sorella Mariù, senza ottenere alcun esito. La seconda, la scrisse
personalmente, l'anno dopo, e ricevette da lei pieno consenso. Senonché"
prosegue Ruggio, "nel maggio di quello stesso 1896 Pascoli, che aveva fatto
chiedere le pubblicazioni e aveva già fatto dono alla ragazza della fede
matrimoniale rompe improvvisamente l'idillio sostenendo di essere stato
offeso da lei per via di una allusione a un suo piccolo difetto al piede. Di
qui la risposta inviperita di Imelde contenuta in questa lettera seppellita
per 109 anni tra le pagine ingiallite e mai lette di un antico testo in
latino".
Giovannino, - scrive infatti la cugina Imelde da Rimini il
20 giugno 1896 nella missiva che grazie a
Gian Luigi Ruggio possiamo ora
leggere per la prima volta - vorrei che ti persuadessi che gli spregi non
li hai avuti te ma li ho ricevuti io. Quante lettere hai ricevuto da me con
degli insulti e dei rimproveri? Se ultimamente ti feci scrivere quella
lettera dietro la tua, chiunque lo avrebbe fatto. Se ti sei fatto delle
immaginazioni e se hai avuto persone che ti hanno imbrogliato la testa io
non ne ho colpa. Potevi far di meno a prendertela tanto con me senza nessuna
ragione; in fin dei conti io sono sempre stata quella e non ho mai creduto
di offenderti neanche nella mia ultima lettera. Se ti dissi che del piede
non ho mai avuto il più piccolo dubbio e nemmeno mai pensato, doveva bastare
questo per farti capire che non era un motivo di averti potuto rifiutare. La
mia parola te la diedi con l’intenzione buona e ti giuro innanzi a Dio che
se la prima volta non condiscesi non fù( sic) né per il piede e né perché mi
eri antipatico. Ti prendevo col solo fine di amarti e di farti felice e
avrei mantenuto la promessa.
Non sono poi tanto cattiva come mi credi. Tutte le persone che mi hanno
conosciuto e che mi hanno trattato più di te mi hanno sempre amato e
stimata, non mi hanno mai ritenuto capace di mentire e di fare del male a
nessuno.
Te mi giudichi a torto ma siccome hai voluto dar retta più agli
altri che a me così ti sei procurato il male da te solo. Del resto sei
padronissimo di dare retta a chi voi ( sic), ma però dovevi pensarci prima ,
se avevi persone che avessero tanto potere su di te di farti credere ciò che
non è vero. Se fin da principio non hai avuto stima di me non dovevi farti
avanti; dovevi lasciare stare le persone che non ti sono venute a cercare;
in ultimo non hanno bisogno di te, come mi fai sapere che fosse solamente
questo il fine ch’io ti sposavo.
Tua cugina
Imelde
"Questa è la pietra tombale posta da Imelde Morri, la bella e ricca
cugina riminese di Giovannino sul fidanzamento che l'aveva unita a lui per
poche settimane, dalla primavera all'inizio estate del 1896" commenta
Maria Santini che con questo documento vede pienamente confermato quanto
da lei raccontato in
Candida Soror, la biografia di Mariù Pascoli,
ricca di tante pagine inedite, appena pubblicata da
Simonelli Editore.
"Non conosciamo le ragioni profonde per le quali la ragazza aveva accettato
la corte del poeta mentre ci sono ben note quelle di Pascoli era ancora
sconvolto per il matrimonio della sorella Ida e un po' in polemica con Mariù,
alla quale gli sembrava di stare sacrificando la propria vita e la propria
libertà. Di qui il colpo di testa, che altro non era, di quel fidanzamento.
Ma Giovanni" prosegue
Maria Santini "non doveva essere per niente
convinto del passo intrapreso così prese ad ancora di salvezza la questione
del commento sul suo dito guasto. Il poeta era infatti afflitto da una
fastiodiosa e a volte dolorosa malformazione al mignolo di un piede. E sua
sorella Mariù gli aveva riferito che una delle cugine Morri - Imelde aveva
una sorella, Annetta - aveva manifestato disgusto per quel difetto di
Giovannino. Il poeta attribuì invece la dichiarazione alla promessa sposa e
si affrettò, come scrisse lui stesso a Mariù a troncare tutto per tirarsi
fuori da una situzione che lo atterriva. Ma Imelde quando conobbe il motivo
per cui veniva lasciata si infuriò, negando di essere stata lei a denigrare
il famoso mignolo e in questa ultima lettera esprime infatti tutta la sua
fredda rabbia".
L'importanza di questa lettera, sottolineano sia
Maria Santini
che Gian Luigi Ruggio, va al di là del suo contenuto e della modesta
prosa della sua autrice. Importante è che questa è "l'unica volta in cui
sentiamo la voce di Imelde Morri" osserva l'autrice di
Candida Soror
(Simonelli Editore). "Tutte le altre sue lettere sono andate
distrutte o da lei stessa, se le furono restituite, o dai due Pascoli, da
Giovannino e Mariù. E' la stessa, feroce epurazione" prosegue
Maria
Santini, "che conobbero le lettere, abbastanza infuocate, pare, scritte
ben più di vent'anni prima da un'altra ragazza che amò Pascoli, sicuramente
non ricambiata Giulietta Poggi.
Ma perché Pascoli nascose agli occhi della sorella Mariù la dura
invettiva di Imelde? Aveva un suo motivo per conservarla? La occultò per
magari riprenderla in seguito? Oppure quel libro della biblioteca pascoliana,
intonso, vale a dire con le pagine non tagliate, fu il nascondiglio di un
momento e poi se lo dimenticò?
"A più di 100 anni da quando fu scritta e a 150 anni dalla nascita
del poeta" osserva Gian Luigi Ruggio, "quella lettera riapre molti
interrogativi nell'ambito familiare di Pascoli che resta così sempre più
attuale". L'ISTRICE
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