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Il 14 Settembre 1321 moriva Dante Alighieri...
a cura di Maria Santini - Prima Parte - Prima Parte Seconda Parte Terza Parte Quarta Parte

Una grande scrittrice e saggista come Maria Santini, autrice di tredici romanzi, di fondamentali saggi storici e biografici, una vastissima produzione [Cliccando qui potete scoprire tutta la sua bibliografia in eBook], offre gratuitamente, in quattro parti, una chiave molto originale di lettura per ricordare e scoprire l'Autore de La Divina Commedia. Buona Lettura

Gli ospiti di Dante

Questa non è soltanto la storia del sommo poeta ma delle grandi e potenti famiglie che lo ospitarono durante il suo lungo e mai terminato esilio: i signori dell’Appennino, cioè i marchesi Malaspina e i conti Guidi, gli Scaligeri, veri e propri sovrani di Verona, i Da Polenta di Ravenna. A loro si aggiunge Enrico VII del Lussemburgo, che non fu propriamente un ospite di Dante: anzi il sovrano e il poeta si incontrarono non più di due volte. Ma Enrico – chiamato da Dante sempre Arrigo – ebbe una tale importanza nella visione del mondo in cui il poeta credette fermamente, da dover essere necessariamente trattato in maniera approfondita anche in questa sede.
Comunque il nostro punto di vista è questo. In un dato momento della discendenza di tutti loro, uno o più membri delle famiglie citate si incontrarono con Dante, gli offrirono ospitalità, lo protessero. E anche di questo naturalmente parleremo.
Ma le famiglie in sé?
Il prima e il dopo Dante?
Quando si affacciarono alla storia, come influirono sugli avvenimenti italiani, quando si estinsero?
Naturalmente è proprio dall’Alighieri che dobbiamo partire per sistemare le cose.

La catastrofe

Dante scopre di non poter rientrare a Firenze proprio mentre è in viaggio per tornarvi (novembre 1301), dopo la fallimentare e pericolosa ambasceria che l’aveva portato a incontrarsi con il papa Bonifacio VIII a Roma. Scopre infatti un’amara verità. Lo scaltro pontefice, dopo aver appoggiato l’invio a Firenze di Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo il Bello, con il compito di pacificare le due fazioni guelfe dei Bianchi e dei Neri, capeggiati questi ultimi dal terribile Corso Donati, in realtà si è accordato con l’ambizioso Valois per lo sterminio dei Bianchi. La vicenda ha assunto il carattere di una vera e propria guerra civile, i Bianchi ne sono stati travolti e tutte le case dei più eminenti di loro sono stare diroccate e bruciate.
Non quella di Dante. La distruzione della casa fu risparmiata al poeta per due motivi e non certo perché si guardasse ai suoi meriti. Prima di tutto essa era in comproprietà con suo fratello Francesco, che non era compromesso in politica: e poi la moglie di Dante, Gemma, era una Donati, figlia di un importante ser Manetto e soprattutto cugina di Corso Donati. Diciamo tuttavia che la casa venne depredata e Gemma dovette rifugiarsi nel contado, sempre sotto la protezione del padre, portando con sé i figli ancora piccoli, in quanto tutti nati intorno al finire del secolo tredicesimo: Giovanni, appena un’ombra per noi, Pietro, Jacopo e Antonia, invece ben conosciuti, e forse una Beatrice anche se questo viene considerato dai più il nome che Antonia prese quando si fece monaca, a Ravenna.
Ma di loro parleremo ampiamente più avanti.

Il vero volto di Dante

Ma vediamolo un attimo, questo Dante Alighieri, destinato a diventare uno dei più famosi poeti dell’umanità intera mentre contempla da lontano le morbide colline che non potrà più risalire per arrivare nella conca della sua Firenze, pena la morte. Proprio l’ estrema fama ci ha consegnato di lui un’immagine iconografica che oggi riteniamo falsa anche se di essa non ci libereremo mai.
Nel nostro immaginario collettivo Dante appare sempre vestito di una lunga cappa rossa a larghe pieghe (il lucco) con la testa coperta da un cappuccio pure rosso ai lati del quale sporgono i due lembi bianchi di una cuffia che copre le orecchie. E la testa è cinta da una bella e folta corona d’alloro. Di questa ci sbarazziamo subito perché Dante non fu mai insignito dell’alloro poetico, se non appunto nei ritratti postumi. Delle sue vesti parleremo più avanti. Ma quale era il suo vero volto?
Incorniciato dal cappuccio, esso ci è sempre apparso, in centinaia di ritratti, sculture, bassorilievi e monumenti, come grifagno: un profilo che sembra il rostro di un’aquila. E invece pare proprio che non sia stato così: Dante aveva un viso normale con un naso normale.
Come facciamo a dirlo? Le prove sono tre e tutte molto significative. La prima ce la fornisce lui stesso. Recentemente gli studi di antropologia forense hanno subìto un enorme passo avanti. Per limitarci a due importanti contemporanei del poeta, vedremo che anche i resti di Enrico VII del Lussemburgo e di Cangrande della Scala sono stati studiati, al giorno d’oggi, con importanti risultati. A maggior ragione, in tempi recentissimi lo studio del cranio di Dante da parte appunto di eminenti antropologi ha dimostrato che il poeta aveva un volto comune e soprattutto un naso comune privo di particolarità.
Con questa nuova visione della faccia del poeta si sposano molto bene le immagini pittoriche più antiche che abbiamo di lui. La prima è quella che si può vedere nella Cappella del Podestà, al palazzo del Bargello ovviamente a Firenze. Nell’affresco del Giudizio Universale il poeta appare nella schiera dei Beati ed il suo volto corrisponde al 95% a quello ricostruito dagli antropologi. Si tratta di un affresco di scuola giottesca databile intorno al 1335/1336.
E ancora: e questa è una storia curiosa. Il volto di Dante appare in un affresco nella casa-torre fiorentina che fu ai suoi tempi sede della Congregazione dei Giudici e dei Notai. Ecco il particolare curioso: oggi la torre ospita al pianterreno un ristorante. Ma i proprietari sono ben lieti di mostrare ai clienti che lo chiedano il pezzo assai malandato di affresco che si trova a un piano superiore. Anche qui, scuola giottesca ed epoca leggermente più tarda, intorno al 1365/1366. Malandato sì, l’affresco, ma il volto di Dante vi spicca di profilo … e il suo naso è perfettamente simile a quello del Bargello e alla ricostruzione moderna del suo volto.
Un uomo d’aspetto comunissimo, quindi, di piccola statura. Ma, come già detto, queste prove, pur determinanti, non riusciranno ad offuscare il naso aquilino e l’aspetto grifagno a cui siamo abituati da sempre. Queste caratteristiche le dobbiamo al suo primo appassionato biografo, Boccaccio. Ma con quale credibilità? Boccaccio aveva sette anni quando Dante morì e comunque non lo incontrò mai.

Universitas Blanchorum

Intanto Dante, impossibilitato a tornare in patria, non ebbe altra soluzione che unirsi agli altri Bianchi sbanditi come lui. Tutti loro si radunarono ad Arezzo, città ghibellina e si diedero il nome di “Universitas Alborum (o Blanchorum) de Florentia”. Misero i capitali in comune: Dante veniva aiutato economicamente dal fratello Francesco e dalla sorella Tana.
Il poeta però era solo perché capiva che non era di certo il caso di far venire presso di sé la sua famiglia, con tutti quei bambini… Un suo amico e vicino di casa, ser Petracco, aveva invece con sé non solo il padre, ser Parenzo, ma anche la giovane moglie Eletta Canigiani. Parleremo in seguito anche di loro.
Il 10 marzo 1302 ci fu un’ulteriore stretta. I più eminenti fra i Bianchi che erano fuggiti da Firenze o, come Dante, non vi erano più rientrati, furono condannati al rogo, se mai si fossero fatti rivedere nel territorio fiorentino. La stessa sorte era riservata ai loro figli maschi, una volta che, raggiunti i quattordici anni, fossero ritenuti maggiorenni a tutti gli effetti. Le donne, invece, non correvano alcun pericolo tanto che qualche anno dopo madonna Gemma tornò a Firenze con la figlia per curare come poteva i disgraziati affari di famiglia.
Nell’Università, parola che allora indicava una comunità di intenti, come potrebbe essere oggi “coalizione”, Dante, con la sua forte personalità, assunse presto un ruolo di spicco. Fu incaricato di diverse ambascerie presso alcune importanti città del nord: Forlì, dove fu accolto generosamente dal Signore, Scarpetta Ordelaffi, Padova, dove non c’era ancora un potere centralizzato, Treviso, che si trovava sotto la signoria di Gherardo da Camino, ma soprattutto Verona (fra il 1303 e il 1304). Qui egli legò molto con il Signore locale, Bartolomeo della Scala ma purtroppo questo suo protettore, che avrebbe potuto fare molto per lui, morì improvvisamente, molto giovane (1304). Bartolomeo è “il gran Lombardo” (citato nella profezia di Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso),un ospite squisito che addirittura, secondo il poeta, preveniva con affettuosa cortesia i suoi desideri. Ma il suo successore, cioè il fratello Alboino, per Dante non aveva nessun trasporto tanto che il poeta preferì andarsene e tornare alla Universitas di Arezzo.
Nei palazzi dei della Scala si aggirava anche un fanciullo di nove anni, CanFrancesco, fratello dei precedenti. Non sappiamo neppure se si incontrò mai con Dante. Ma in futuro…

La sciagurata battaglia della Lastra

I Bianchi esiliati erano ben decisi a tornare a Firenze, impadronendosi della città con la forza. Erano persuasi che in battaglia insieme agli alleati ghibellini che si erano procurati, avrebbero finalmente sbaragliato i Neri.
Dante non era d’accordo e sconsigliò l’azione, preferendo affidarsi alla diplomazia. Ma i suoi compagni di sventura non lo ascoltarono anzi lo accusarono di viltà e di tradimento. Allora il poeta abbandonò l’Universitas e fece bene: la battaglia della Lastra, del 29 luglio 1304, fu un ulteriore disastro per i Bianchi. I Guelfi neri di Firenze ancora una volta stravinsero e fecero scempio dei loro avversari.
Proprio quel giorno, la moglie di ser Petracco, ad Arezzo, diede alla luce un bambino, che fu chiamato Francesco. Da adulto quel giovane ambizioso decise di rendere classicheggiante il suo cognome e trasformò il volgaruccio Petracco nell’elegante Petrarca. Francesco Petrarca.

Dante è solo

Solo e senza un soldo, tranne i modesti aiuti di Francesco, il poeta si spostò a Bologna, la città dove, tanti anni prima, aveva studiato. Era quello nella ricca città, guelfa ma moderata, un periodo favorevole ai Bianchi esiliati.
Il suo periodo bolognese durò circa un anno e mezzo ma non sappiamo come il poeta si mantenne. Tanti sono i punti oscuri della sua vita e questo ne è un esempio rappresentativo. Si è detto che lavorò come professore dello Studio (l’Università) remunerato, come di consuetudine, dal gruppo di studenti che lo seguiva: è dubbio però che un esule fiorentino riuscisse a conseguire una posizione di tale prestigio. Alcuni studiosi ritengono che egli avesse cominciato a mandare in giro le copie della prima parte del “Convivio”, quell’opera poderosa che non fu mai finita. Ma se fu così il successo editoriale dovette essere scarso.
Ad ogni modo gli eventi politici misero presto fine anche alla permanenza di Dante a Bologna. Nella città prevalsero i Guelfi più estremisti, capeggiati dalla famiglia dei Geremei, e gli esuli fiorentini, accolti in precedenza senza problemi, dovettero fuggire per non essere catturati e riconsegnati a Firenze e al rogo.
Le cose si sarebbero messe malissimo per il poeta, esule e ramingo, se non fosse intervenuto ad aiutarlo un suo grande amico: Cino da Pistoia, considerato l’ultimo dei poeti stilnovisti. Cino, suo quasi coetaneo (aveva tre anni meno di lui) che in realtà portava l’impegnativo nome di Guittoncino de’ Sigibuldi ed era anche un eminente giurista, lo presentò a un suo amico, il marchese Moroello Malaspina di Giovagallo, di un anno solo minore del poeta.
Ed è arrivato quindi il momento di interrompere le vicende dantesche per parlare dei suoi primi protettori.

Gli Obertenghi e i Malaspina

Tutto cominciò con un Oberto, vissuto nel X secolo, figlio di un nobile senza importanza. Lui di nerbo ne doveva avere invece da vendere, se nel 953 l’effimero Re d’Italia Berengario lo investì del titolo di margravio (marchese) di quella che da lui fu denominata Marca Obertenga. Essa comprendeva i territori dell’odierna Lombardia, con Milano, di una parte del Piemonte e di una del Veneto, dell’Emilia, della Liguria con Genova e della Toscana superiore: e perfino di una parte della Sardegna.
Dopo un periodo oscuro, dovuto alla perdita del potere del suo sovrano Berengario, Oberto seppe riciclarsi in quanto aiutò come poteva e poteva ancora molto, l’imperatore Ottone I del Sacro Romano Impero a riconquistare l’Italia. Ebbe così il titolo di Principe e Conte Palatino e, più concretamente, riprese tutti i suoi possedimenti.
Naturalmente una simile estensione territoriale non poteva durare molto e già con i figli e i nipoti del capostipite la Marca Obertenga cominciò a frantumarsi. Genova divenne una potente repubblica marinara, destinata a durare secoli: ma le altre divisioni avvennero per lo più nell’ambito della famiglia. Figlio dopo figlio, nipote dopo nipote, scaturirono da Oberto (morto nel 975) almeno una decina di rami della famiglia. Fra i più importanti, gli Este in Italia e gli Hannover in Germania. Come dire che nelle vene della regina Elisabetta d’Inghilterra scorre ancora il sangue degli Obertenghi.
Ma a noi interessano i marchesi Malaspina.
Come nacque questo nome? Da un pronipote di Oberto, Alberto detto appunto “Malaspina”. Non è chiaro il perché del soprannome né si conosce molto altro di lui, che morì nel 1140. I suoi possedimenti comprendevano la Lunigiana e la Garfagnana nonché altre terre al di là degli Appennini tosco-emiliani.
Lasciamo passare una settantina di anni e ci troviamo di fronte ad una divisione pacifica del grande territorio. Il 28 agosto 1221 Corrado I divide i beni feudali con il cugino Opizzino. Nascono così i due rami dei Malaspina: dello Spino Secco, da Corrado, e dello Spino Fiorito, da Opizzino.
Dante ebbe a che fare solo con lo Spino Secco.
Ma prima di arrivare a lui devono passare ancora decenni.
Nella seconda metà del XIII secolo si segnala il marchese Obizzo I che nella lotta fra i comuni e l’imperatore Federico Barbarossa, ondeggia fra le due parti ma alla fine riesce a barcamenarsi così bene da uscirne indenne con tutti i suoi possedimenti, garantiti dalla protezione dell ‘imperatore.
E veniamo adesso a Corrado detto il Giovane per distinguerlo da Corrado l’Antico, suo nonno. Non sappiamo di sue grandi imprese. Orfano in tenera età, fu allevato proprio dal nonno. Morì nel 1294, È importante solo perché Dante lo pone nell’ antipurgatorio, cioè nel luogo dove le anime salvate attendono di poter salire sulle balze della montagna dove espieranno i peccati commessi. Corrado però attende in un luogo prestigioso: la valletta dei principi, in compagnia di sovrani e uomini eminenti. È chiaro che Dante ha voluto così onorare la famiglia che lo ospitava.
Corrado Malaspina è anche protagonista di una novella del Decamerone (la seconda della giornata sesta). Dovrebbe trattarsi dell’Antico ma Boccaccio commette allegramente tali e tanti errori di cronologia, che tutto è possibile, anche che si parli del Giovane. La novella, lunghissima, quasi un romanzo breve, narra le peripezie subite da una gentildonna napoletana, Beritola Caracciolo, a cui vengono strappati marito e figli dai crudeli Angioini. Corrado la porterà in salvo dall’isola di Ponza, dove si è ridotta a vivere come una selvaggia, la ospiterà con onore nel suo castello di Mulazzo e dopo altre varie peripezie ci sarà il lieto fine, con il ritorno del marito e dei figli della donna e due matrimoni. Sappiamo che Boccaccio è il primo e il più entusiasta biografo di Dante – alla maniera sua però, con molti travisamenti ed episodi chiaramente falsi – e forse avrà voluto rendere omaggio al suo idolo, conscio del buon rapporto che il poeta aveva avuto con i Malaspina, facendo passare un Malaspina per un signore d’animo nobile e cavalleresco.
E adesso, prima di passare ai Malaspina successivi a Dante, torniamo a lui, aiutato e confortato da Cino e Moroello: un triangolo improbabile, come vedremo, che tuttavia funzionò.

La protezione dei Malaspina

Cino, giurista di chiara fama: Moroello, condottiero di grandi capacità militari, che tre anni prima (1303) aveva attaccato Pistoia scacciandone i Neri, fra i quali anche Cino. Pure tre anni dopo li ritroviamo amiconi tanto che Moroello si adopera per far tornare Cino a Pistoia. Infine Dante, il guelfo bianco, l’esule solitario. Un’amicizia a tre che giovò molto al poeta.
Una leggenda vuole che Moroello, appassionato anche lui di poesia, abbia letto i primi sette canti dell’Inferno, scritti da Dante prima dell’esilio ma in latino. Il condottiero riuscì a convincere il poeta a riprenderli e a continuare l’opera nella lingua volgare. Se così fosse, il Malaspina avrebbe un merito grandissimo e noi dovremmo essergli debitori per aver “creato” il Dante padre della lingua italiana.
Purtroppo non ci sono prove che questa non sia solo una leggenda: leggenda che del resto girava anche in un’altra versione. Ci sarebbero sì stati sette canti precedenti l’esilio ma scritti in volgare: rimasti in qualche cassetto a Firenze mentre Dante partiva per la sua fatale ambasceria, sarebbero stati fatti pervenire al poeta dal fratello Francesco o da Gemma. Sembra tuttavia che, in latino o in italiano, i sette canti in questione non siano mai esistiti. La Commedia è l’opera dell’esilio. L’Inferno fu iniziato, con tutta probabilità, in uno dei castelli Malaspina, Mulazzo o Fosdinovo.
Ad ogni modo Moroello, sempre occupato e sempre in movimento là dove c’era da combattere, non fu l’ospite più continuativo di Dante. Questa parte spetta ad un altro nipote di Corrado l’Antico, Franceschino marchese di Mulazzo, un nobiluomo di una decina d’anni minore di Dante.
Che ospitalità ricevette il poeta dai Malaspina?
Tutto sommato buona, dato che Dante era rispettato e ammirato soprattutto nella sua veste di esperto di leggi e diplomatico. Egli infatti fu capace di sbrogliare una situazione che fino ad allora aveva provocato grossi guai in Lunigiana: la vera e propria guerra tra i Malaspina e il vescovo-conte di Luni, Antonio da Camilla.
Il 3 ottobre 1306 l’Alighieri, munito della procura di Franceschino, si reca a Castelnuovo di Magra dove concorda con il vescovo una pace destinata ad essere duratura e soddisfacente per entrambe le parti. La brillante soluzione aumentò certamente il suo prestigio.
E nella vita quotidiana?
Anche qui le cose dovettero andare piuttosto bene. Franceschino non aveva una vera e propria corte e il suo entourage non metteva in difficoltà l’ospite come invece sarebbe avvenuto nella Verona di Cangrande. Una cosa pare certa: Dante veniva sì trattato come un ospite di riguardo ma non riceveva nessun emolumento. Come avrà fatto il poeta a soddisfare le piccole necessità è un mistero: forse arrivavano ancora le rimesse dell’affezionato fratello Francesco.
Non si deve credere che Dante se ne sia stato tranquillo per quattro anni nella pace dei castelli appenninici. Il poeta fu in movimento per tutta la vita, per impegni che gli venivano affidati dai suoi signori o per sue decisioni autonome, come quando si recò ad incontrare l’imperatore Enrico VII, suo idolo. Ma questo lo vedremo al momento opportuno.
Nel 1310 Dante lasciò per sempre la Lunigiana, pur rimanendo in buoni rapporti con i Malaspina, del resto ghibellini ed entusiasti come lui dell’imperatore tedesco. Ma il fatto era che, pur ricchi e potenti, i Malaspina, oltretutto decisi a sostenere Enrico VII, non avevano la forza di mettersi contro Firenze per difendere un esule sbandito. Prima o poi, sarebbero stati costretti a consegnarlo.
E Dante se ne andò.

I Malaspina dopo Dante

Parleremo ancora di Moroello e Franceschino ma ora procediamo con le vicende della famiglia. Franceschino aveva cinque figli maschi e altri Malaspina non erano meno prolifici. Così avvenne che ai dieci rami principali della famiglia se ne aggiungessero, nel tempo, almeno una ventina di minori. Va da sé che le conseguenti divisioni del territorio portarono i numerosi Malaspina a divenire signori di feudi sempre più ristretti e sempre meno importanti. Non c’è molto da dire su di loro. Citeremo solo due personaggi di spicco: una bella donna e uno scienziato.
Sono passati quattro secoli dai tempi di Dante quando, nel 1727, nasce a Siena Anna Maria, detta anche Annetta, dal marchese Gian Cristoforo Malaspina di Mulazzo e Dejanira del ramo di Podenzana. Una Malaspina al quadrato, insomma. Per giunta si sposò a ventiquattro anni con un altro Malaspina, Giovanni del ramo della Bastia, gentiluomo di corte di Filippo, figlio del re di Spagna e capostipite della linea dinastica dei Borbone Parma.
Presto Annetta fu considerata un ornamento della corte parmense perché passava per essere una delle dame più belle e intelligenti del suo tempo e per di più colta e spiritosa. Questo la portò ad essere protagonista di una vicenda surreale, più che piccante, considerando da chi fu ordito il piano che la coinvolse.
In Francia, intorno al 1755, la vera regina era da tempo madame de Pompadour, la famosa amante del re Luigi XV: abilissima in politica, era una sfegatata nemica dei Gesuiti. A questo punto alcuni membri dell’ordine, a Parma, suggerirono di mandare Anna Malaspina alla corte di Versailles, nella speranza che la sua bellezza e le altre sue doti potessero far breccia sul re, con conseguente allontanamento della Pompadour. Ma non ci fu niente da fare. Il re non fu indifferente alle grazie della bella italiana ma la Pompadour, che si era accorta di tutto, giocò le sue carte con la solita abilità e continuò a trionfare. Solo la morte la sconfisse, ancora molto giovane: quarantatré anni.
Intanto Annetta era tornata a Parma ma la sua posizione a corte risentì molto dello scacco subito. Presto messa da parte, morì tanti anni dopo, nel 1797: lo stesso anno in cui i Malaspina persero il ducato di Massa e il principato di Carrara. L’ultima di loro, Maria Beatrice Cybo Malaspina, sposò Ferdinando, figlio di Maria Teresa d’Austria, e i loro figli divennero degli Asburgo Lorena Este. Cominciava una nuova dinastia.

L’ultimo dei Malaspina

Passiamo allo scienziato, un uomo di grande valore. Sarebbe certamente piaciuto a Dante perché fu un moderno Ulisse che praticamente circumnavigò il mondo “per seguire virtute e canoscenza”. La sua vita è un vero e proprio romanzo d’avventure prima, nero alla fine. Alessandro Malaspina nacque (1754) nel castello di Mulazzo da un insulso marchese Carlo Moroello e si rivelò fin da giovane dotato di capacità straordinarie.
Lasciato il piccolo e modesto feudo di famiglia, si mise al servizio della Spagna come ufficiale di Marina partecipando, agli inizi della carriera, a diverse battaglie navali. Ma i suoi superiori si accorsero presto delle sue capacità e conoscenze, per cui fu sollevato dalla carriera di ufficiale e incaricato di missioni esplorative per il mondo. La più importante fu denominata appunto “Spedizione Malaspina” ed iniziò dall’America meridionale. Siamo nel 1793.
La piccola flotta di Alessandro partì dall’alto Atlantico, discese fino al canale di Magellano e risalì la costa pacifica del continente fino ad arrivare all’America centrale dove il Malaspina studiò la possibilità del taglio dell’istmo di Panama ma si rese conto che per una simile opera non c’erano ancora le tecnologie adatte. Per la cronaca, il canale di Panama aprì ufficialmente soltanto nel 1920.
Successivamente la spedizione si portò fino ad Acapulco, in Messico. Qui Alessandro ricevette dalla Spagna l’ordine di risalire il Nordamerica fino all’Artico, per cercare di individuare il fantomatico passaggio di Nord-Ovest. Non lo trovò, ovviamente, ma fece degli studi etnografici ed etnologici validi ancora oggi.
Di nuovo Alessandro scese ad Acapulco e qui trovò un nuovo ordine: esplorare l’Oceania. Fu così che il Malaspina visitò un’infinità di arcipelaghi piccoli e grandi, venendo in contatto con le popolazioni locali e compiendo quindi altri studi importantissimi. Arrivò fino in Nuova Zelanda prima di tornare definitivamente in patria.
E qui si mise nei pasticci. E che pasticci.
Infatti dovette constatare che il vero padrone della Spagna non era il re Carlo IV ma il favorito della regina Maria Luisa, Manuel Godoy, il cosiddetto “principe della pace”. Uomo corrotto e rapace, Godoy stava mandando a rotoli la Spagna. Allora il marchese Malaspina ebbe la brillante idea di mandare una lettera al suo sovrano, consigliandolo di sostituire Godoy con un altro ministro più liberale. Ma l’ingenuo marchese non sapeva che il re era succube di sua moglie, la quale era a sua volta l’amante di Godoy … un ménage à trois che nulla poté mai spezzare, come vedremo. Così il marchese Malaspina venne prontamente arrestato sotto l’accusa di cospirazione ed altrettanto prontamente condannato a dieci anni di carcere.
In realtà rimase prigioniero dal 1796 al 1803, che non è comunque poco. A questo punto l’intervento dei suoi molti e importanti amici e perfino di Napoleone, allora console di Francia a vita, convinse Godoy a tramutare la carcerazione del Malaspina nell’esilio perpetuo dalla Spagna.
Alessandro tornò in Italia e si stabilì a Pontremoli. Ebbe ancora qualche incarico dall’allora Repubblica Italiana ma quando Napoleone divenne imperatore e fu istituito il Regno d’Italia (1804), Alessandro fu definitivamente messo da parte. Morì a Pontremoli nel 1810.
Un’ultima soddisfazione però la ebbe. Nel 1808 la popolazione spagnola, esasperata dalla miseria e dai soprusi, si rivoltò contro Godoy che venne esautorato dalle sue cariche e imprigionato, a rischio concreto di linciaggio. Per salvargli la vita, Carlo IV acconsentì ad abdicare in favore del figlio Ferdinando, che pure odiava (ricambiato): Godoy fu restituito a Carlo e con la coppia di ex sovrani poté passare in Francia, sotto la protezione di Napoleone che però li trattò come profughi né mai si sognò di rimettere Carlo e Maria Luisa sul trono. Ben presto avrebbe esautorato anche Ferdinando, sostituendolo con il proprio fratello Giuseppe.
A riprova di quanto Alessandro fosse stato ingenuo nell’impicciarsi in vicende politiche, diremo ancora che Carlo, Maria Luisa e Godoy rimasero sempre insieme fino alla morte dei due sovrani, avvenuta a poca distanza l’una dall’altro nel 1819 (2 gennaio lei, 20 gennaio lui).
Possiamo immaginare con quali terribili, sferzanti parole Dante avrebbe giudicato questo ménage e quale punizione “infernale” avrebbe stabilito per loro.

1. CONTINUA


MARIA SANTINI è una grande scrittrice e saggista. È autrice di tredici romanzi, di fondamentali saggi storici e biografici: Cliccando qui potete scoprire tutta la sua vasta bibliografia in eBook.



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