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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 12 Settembre 2014



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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.

Le Facce...

  È proprio vero che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Nihil sub sole novum.
Saggezza degli antichi.
E sapete perché dico questo? Perché una volta, mentre mi trovavo al supermarket, mi fermai e mi guardai attorno e rimasi colpito dalla quantità incredibile di “facce” che mi stavano attorno. Ce n’era per tutti i gusti. Davvero. E mi venne in mente quella battuta di Stan Laurel (Stanlio) quando si rivolge a un tale e gli chiede: “Scusi, ma lei con quella faccia esce anche la domenica?”.
Ah le “facce”! E subito pensai di scrivere qualcosa, di imbastire un racconto, di cucire qualche considerazione su questo argomento. Poi, naturalmente, lasciai perdere, perché se uno si mette a inseguire tutte le idee che gli passano per il capo corre il rischio di smarrirsi. E così lasciai perdere. E adesso, per caso, scopro che quel mio proposito di compicciar qualcosa sulle “facce” non è affatto nuovo perché Rainer Maria Rilke, in quel suo bellissimo “Quaderni di Lauril (non Laurel, capito?) Malte Brigge”, scrive: “Non mi era mai capitato di accorgermi, per esempio, di quanti volti ci siano. C'è un'infinità di uomini, ma i volti sono ancor più numerosi poiché ciascuno ne ha più d'uno. Vi sono persone che portano un volto per anni, naturalmente si logora, diviene laido, si piega nelle rughe, si sforma come i guanti portati in viaggio. Queste sono persone econome, semplici; non mutano di volto, non lo fanno pulire neppure una volta. Va bene così, sostengono, e chi gli può dimostrare il contrario? Solo, viene da chiedersi: poiché hanno più volti, cosa ne fanno degli altri? Li mettono in serbo. Li porteranno i loro figli. Capita anche, però, che li portino i loro cani. E perché no? Una faccia è una faccia.
Altri, si mettono un volto dopo l'altro con rapidità inquietante, e li logorano. A tutta prima sembra loro di averne per sempre; ma sono appena sui quaranta, e già arriva l'ultimo. Questo naturalmente è una tragedia. Non sono abituati a tener da conto i volti, il loro ultimo se ne va in otto giorni, ha dei buchi, in molti punti è sottile come la carta, e allora a poco a poco vien fuori il rovescio, il nonvolto, e vanno in giro con esso.”
Ma se vi parlo di Rilke una ragione c’è, ed è la data dell’11 settembre. Questa data, purtroppo, ricorda soprattutto il terribile attentato delle Torri Gemelle del 2001 ma la stessa data apre anche i “Quaderni di Malte Laurids Brigge”. Non è scritta la data, come del resto è giusto perché i capolavori sono sempre fuori dal tempo.
In questi quaderni troviamo pagine bellissime, dense, intense. E straordinarie considerazioni sulla poesia. Oh, scrive Rilke, “con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone”.
E Rilke fornisce anche una ricetta. Questa:
“Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso”.
Difficile, dunque, il mestiere del poeta. Ma anche quello dello scrittore. Mi vengono in mente le considerazioni di Georges Bernanos nei “Grandi cimiteri sotto la luna”: “No, io non sono uno scrittore. La sola vista di un foglio di carta bianca mi disanima”. Alcune “bollicine” fa, se non erro, parlai della vergogna dello scrivere di Luigi Malerba e dello “scrivere non è necessario” di Marino Moretti.
Eppure si scrivono versi e romanzi.
E ciò, come diceva la buon’anima di Giovannino Guareschi, è bello e istruttivo.

Franco Gàbici

Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.




 

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Una Canzone al Giorno  di Franco Gàbici
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 


Franco Gabici

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