Il 14 novembre è una data importante del mio calendario privato. Quel giorno, infatti, dell’anno 1893, nasceva a Milano un certo Carlo Emilio Gadda, lo scrittore ingegnere della nostra letteratura al quale tempo fa, Dio mio quanto tempo fa davvero, dedicai un saggetto dal titolo “Gadda il dolore della cognizione” che l’amico editore Simonelli ebbe la bontà di pubblicare.
Il titolo è bello, ma non è farina del sacco mio. Fu dovuto a una geniale intuizione di un altro carissimo amico, finissimo critico letterario che risponde al nome di Claudio Toscani. Ma il 14 novembre ricorda anche un importante anniversario. Il 14 novembre del 1913, e dunque esattamente cento anni fa, annunciato da un articolo-intervista di Élie-Joseph Bois apparso due giorni prima su “Le Temps”, usciva presso il giovane editore parigino Bernard Grasset «Du côté de chez Swann» (nella traduzione italiana “La strada di Swann”), primo volume della Recherche (“Alla ricerca del tempo perduto”) di Marcel Proust, all’epoca poco più che quarantenne e con alle spalle già alcune prove narrative (Il piacere e i giorni, Jean Santeuil…).
Il volume, in realtà, recava come “finito di stampare” la data dell’8 novembre, ma a causa dei comprensibili ritardi che fan da corona quasi sempre all’uscita di un libro, il romanzo apparve solamente una settimana dopo.
Proust credeva molto in questa sua opera ma dello stesso avviso non furono gli editori, che in tre occasioni gli rifiutarono il dattiloscritto.
Il primo a respingere il lavoro di Proust, nell’ottobre del 1912, era stato Fasquelle, l’editore di Zola e di Rostand, e pochi mesi dopo anche la prestigiosa “Nouvelle Revue Francaise” aveva detto di no per bocca di André Gide che per la verità si dice avesse dato una scorsa sommaria al dattiloscritto o più verosimilmente pare che non lo avesse nemmeno letto perché Proust non si era ancora liberato da quella sua fama di viveur che agli occhi di Gide lo faceva apparire come un dilettante della letteratura e dunque non degno di particolari attenzioni.
La terza bocciatura, infine, venne da Ollendorf.
Ma Proust, come si dice, non si dette per vinto e dal momento che non gli mancavano i denari, si recò dal giovane editore Grasset con una allettante proposta. Non solo, infatti, avrebbe coperto tutte le spese per la pubblicazione e la pubblicità, ma gli avrebbe anche lasciato tutto il ricavato delle vendite.
Le prime recensioni non furono tutte benevole. Ci fu addirittura chi lo tacciò di “dilettante” e che definì il libro un’opera “disorganizzata, senza forma e senza scelte”, un libro insomma che era “tutto il contrario dell’opera d’arte”.
Ma evidentemente il libro incontrò i favori del pubblico perché già all’inizio di dicembre l’editore pubblicò una seconda edizione, questa volta accollandosi le spese e offrendo a Proust il 10 per cento come diritto d’autore. E prima dello scoppio della prima guerra mondiale il romanzo era già arrivato alla sesta edizione. Nel frattempo arrivano a Proust anche le scuse ufficiali di Gide che definisce il rifiuto del suo libro “uno dei rimpianti e dei rimorsi più cocenti della mia vita”.
E nel mare magnum delle recensioni va ricordata quella di Lucio D’Ambra (pseudonimo di Renato Eduardo Manganella), giornalista e regista cinematografico italiano, che un mese dopo l’uscita di Du côté de chez Swann scrisse sulla rivista “Rassegna contemporanea” una recensione che aveva tutta l’aria della profezia. D’Ambra, infatti, invitava i lettori, come diremmo oggi, a “memorizzare” il nome dell’autore e il titolo del romanzo perché fra cinquant’anni, a suo dire, sarebbe stato accomunato ai grandi romanzi di Stendhal. E D’Ambra aveva visto giusto perché, pochi giorni dopo, Henry James scrisse a Proust che il suo era il più grande romanzo dopo La certosa di Parma!
Il secondo volume della Recherche, All’ombra delle fanciulle in fiore, sarà pubblicato sei anni più tardi, nel 1919, e la grande “cattedrale”, come Proust stesso definì la sua opera, terminerà postuma nel 1927 con il settimo volume, Il tempo ritrovato. Proust era morto da cinque anni e il suo nome era già entrato di diritto fra i grandi della letteratura mondiale.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).