Nasce un bambino e lo chiamano Ercole. Tutto questo, però, succedeva un tempo in Romagna dove la gente era attaccata alla terra, questa madre amorosa ma esigente che dava da vivere ma pretendeva sudore e sacrifici. “La terra è bassa” dicevano i nostri vecchi e per amarla si deve ammainare la schiena, un gesto che qua da noi è considerato disdicevole ma non se vien fatto a favore della terra, per la quale si fa questo e altro. La terra è fatica e chi nasceva in una famiglia contadina doveva saperlo e perché non avesse a dimenticarlo gli appiccicavano il nome Ercole, quasi a ricordare le famose fatiche dell’eroe della mitologia. E probabilmente fu così anche in quell’ormai lontano gennaio del 1933 quando a Villanova di Forlì un sorriso andò ad allietare la famiglia dei Baldini, stirpe legata alla terra.
Ercole, però, anziché piegare la schiena sulla terra decise di inchinarla sul manubrio di una bicicletta e decise di farsi ciclista, o “corridore” come si dice da noi, trasferendo sul “ferreo corsier” la stessa devozione per il sacrificio. E magari con il pensiero rivolto a Bartali-Copppi-Magni che all’epoca accendevano i cuori dei tifosi. E venne fuori un campione, di quelli veri.
Buono come la piadina, spumeggiante come il Sangiovese. E oggi questo campione della bici compie ottant’anni e il pensiero vola subito ad anni lontani quando, bambinetto con i calzoni corti, seguivo alla radio le imprese di un dilettante che al Velodromo Vigorelli di Milano aveva stabilito il record mondiale dell’ora pigiando sui pedali per 44 km e 870 metri.
E il fascino stava tutto nel considerarlo uno di noi, un romagnolo, uno di quelli con la “esse” sibilante e le vocali “spalancate”, un atleta forte e tenace che conquistava le prime pagine dei giornali e dava lustro a una terra. Quella di Ercole Baldini fu una meteora luminosa e devastante nel ronzante universo delle due ruote. Da professionista, infatti, stabilì ancora il record dell’ora quindi alle olimpiadi di Melbourne conquisto l’oro su strada giungendo solitario al traguardo. Quando salì sul podio, però, non si riusciva a trovare il disco con l’inno di Mameli ma per fortuna un emigrato lo intonò e mentre il tricolore saliva sul pennone la gente gli andò dietro.
A ricordo di quella impresa, a Sidney c’è oggi una strada intitolata al corridore.
Alla fine di settembre del 1957 conquista la maglia tricolore di campione italiano e va in orbita insieme allo Sputnik, che venne lanciato alcuni giorni dopo. Ai primi di novembre del 1957 regala a Fausto Coppi l’ultima vittoria correndo con lui nel Trofeo Baracchi quindi si aggiudica il Giro d’Italia del 1958 e il 31 agosto dello stesso anno diventa Campione del mondo concludendo la gara dopo aver percorso da solo gli ultimi 50 chilometri.
Salutato come “il nuovo Coppi”, fu definito “il treno di Forlì” e Secondo Casadei, re del liscio, gli dedicò perfino una canzone.
In pochi anni vinse tutto e se lo avessero mandato al Tour avrebbe vinto anche quello.
Il mio vecchio amico Carlo Donati, inviato speciale del “Quotidiano”, andò a intervistarlo una decina di anni fa. E l’intervista si concludeva così:
Questa villa l’ha costruita da corridore o da imprenditore?
“Da corridore. Mio padre commentò: è troppo grande. Nel suo linguaggio voleva dire: chissà quanto è costata”. Glielo disse quanto?
“Non osai”. Perché?
“Per rispetto a lui che aveva faticato tutta la vita. Non potevo dirgli che erano bastati quattro mesi di corse” .
Incontrai una volta per strada Ercole Baldini.
Si trovava a Ravenna e il caso ci preparò un inatteso rendez-vous. Mi chiese una informazione e come mi accorsi che avevo davanti il grande campione non potei fare a meno di dirgli: “Ma lei è Baldini!”.
Ricordo la sua smorfia, da persona schiva, come se lo avesse infastidito quella mia sorpresa. Era quell’Ercole che non aveva osato dire a suo padre che dietro quella villa ci stavano solamente quattro mesi di corse.
Oggi Ercole ha tagliato il traguardo degli ottanta. Apprendo dai giornali che festeggerà l’evento lontano dalla sua terra ma insieme alla sua famiglia.
Io non ti conosco, ma mi sento di mandarti questo augurio. Continua a chinarti sulla vita, caro Ercole, con la stessa tenacia con cui ti sei inchinato da giovane sul manubrio della tua bici.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).