Se lo volete sapere mi sento come uno degli
“augelli” di Leopardi che fa festa dopo la tempesta di San Remo,
spettacolo insulso e inutile che tuttavia da sessantun anni tiene sulla
corda il nostro bel paese e sembra che nessuno si sia accorto che mentre
le prime edizioni potevano avere un senso, le ultime sono un aborto o
quasi ed è veramente patetico lo sforzo degli organizzatori di tenere in
piedi una roba insulsetta e assai dispendiosa quando buona parte di
quanti lo seguono sono costretti a tirare la cinghia perché arrivano a
fine mese con la lingua fuori.
Ho avuto la ventura di vedere solamentela parte finale, ma mi è bastato per rendermi conto di come Gianni
Morandi fosse fuori posto nei panni del presentatore, un mestiere mica
si improvvisa amenoché a uno non importi un bel nulla di fare una brutta
figura davanti a milioni di spettatori, ammesso e non concesso che gli
stessi - ho poca fiducia in chi segue il Festival dall’a alla zeta - se
ne siano accorti della pochezza del presentatore. E poi tutta l’enfasi
sull’inno nazionale proposto da Benigni non l’ho capita, davvero.
Sembra che Benigni abbia ridestato all’improvviso il sopito amor patrio degli
italiani, impresa che gli organizzatori devono aver considerata non
facile se è vero che hanno versato nelle tasche del comico ben 250 mila
eurazzi, mica brustulli, e allora io vi dirò che per quella cifra avrei
cantato “Fratelli d’Italia” per tutto il 2011, compresi i giorni
festivi, oh sì, ecco cosa avrei fatto se mi avessero messo in tasca 250
mila eurazzi. E poi devo aggiungere che il nostro inno mi piace anche se
molti la considerano una marcetta e che non può reggere il confronto con
altri inni nazionali, sì d’accordo, c’è quel testo un po’ così però,
dai, quando lo senti suonare anche dalla banda del paese ti infiammi e
allora non c’era bisogno di pagare 250 mila eurazzi per compiere questa
operazione di patriottismo e se proprio lo volete sapere per me era
molto più patriottico il mio maestro di musica delle elementari, che si
chiamava Renzo Calamosca e che ci insegnava a cantare l’inno di Mameli
accompagnandoci al suono di un armonium scassato, e noi tutti vestiti
con il grembiulino a quadretti bianchi e azzurri (le bambine invece
avevano il grembiulino bianco) mentre si cantava pensavamo alla
composizione del nostro Tricolore, vale a dire il bianco delle nevi, il
rosso del sangue degli eroi e il verde dei prati mentre adesso pensi
solamente al verde delle tasche, ecco cosa pensi adesso quando il
pensiero va al verde.
Insomma avrete certamente capito che il Festival non mi interessa proprio e forse l’unica gioia è stato l’aver appreso
che il vincitore è stato Roberto Vecchioni, un cantautore serio e onesto
e non uno di quegli scalmanati che si presentano al pubblico coi capelli
colorati, l’anello al naso, il chiodo sulla lingua e i tatuaggi
dappertutto, ma una persona normale vivaddio, come normale è in genere
la gente nata nell’anno di grazia millenovecentoquarantaré che, detto
per inciso, è anche il mio stesso anno di nascita.
Insomma Sanremo è finito e io sono felice, anche se dovremo sopportare ancora per qualche
tempo le trasmissioni del cosiddetto “Dopofestival”, insomma robe da
matti e a proposito di matti lo sapevate che proprio 500 anni fa un
certo Erasmo da Rotterdam scriveva il suo “Elogio della Follia”?
Ma la cosa più sorprendente è che qualche tempo prima un umanista romagnolo di
nome Faustino Perisauli, originario di Tredozio (provincia di Forlì
Cesena) aveva scritto un libretto intitolato “De triumpho stultitiae”
che, a detta di Giovanni Papini, assomiglierebbe molto al lavoro di
Erasmo e qui, cari amici, viene fuori la solita questione della
latitudine geografica perché chi nasce in periferia ha il suo bel dafare
a diventar famoso e a volte magari non ci riesce proprio mentre chi
nasce nelle grandi città a parità di meriti parte sicuramente
avvantaggiato. Purtroppo la vita è combinata in questa maniera. Ma
allora chissà quante opere risultano essere dei rifacimenti di altre
opere. Sarebbe proprio bello farne un catalogo, per sbugiardare quanti
si sono impropriamente impossessati del lavoro altrui. Non dico che
Erasmo non sia stato un grande, però io adesso mi sento romagnolo e
faccio il tifo per il mio conterraneo Faustino. Teniamo alta, dunque, la
bandiera della Romagna, il paese solatio immortalato da Pascoli dove
andando ti accompagna l’azzurra vision di San Marino e dove accanto alla
piadina e al Passatore c’è gente in gamba, come questo Faustino che
ispirò niente meno che il grande umanista di Rotterdam.
Franco
Gàbici
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delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di
Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una
Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la
colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in
fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del
Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora
con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino -
La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della
rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine.
Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri"
è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento
anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha
scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed
è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi,
considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime
del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della
cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore,
SeBook, 2005), Una Canzone
al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).