Siamo nell’anno dei 150 anni dell’Unità nazionale e quando penso a questo evento mi vengono un po’ di brividi per la semplice ragione che sono stato testimone anche del famoso anno 1961 quando si celebrò il centenario sicché a conti fatti significa che mi trovo sulle spalle cinquant’anni di più, che non è cosa di poco conto.
Ricordo che per l’occasione la scuola, il Liceo scientifico Alfredo Oriani di Ravenna, ci spedì in gita a Torino dove sulle rive del Po, in un quartiere appositamente costruito, era stata allestita la “Expo 61” alias “Esposizione Internazionale del Lavoro” e noi, che venivamo dalla provincia, entrando dentro a quei padiglioni ci sentivamo un po’ tutti degli Alice nel paese delle meraviglie.
L’attrattiva più famosa era la monorotaia ALWEG, un sigaro lungo 30 metri, largo tre e alto quattro che poteva viaggiare alla velocità di 90 Km/h anche se in pratica si andava ai sessanta all’ora sennò non facevi tempo a sederti che eri già arrivato al capolinea. Il binario, infatti, che era sollevato da terra di sei metri, era lungo appena 1200 metri. Il biglietto costava la miseria di cento lire anche se a ben pensarci una miseria proprio non lo era affatto se si considera che in media un biglietto del tram costava 35 lire ma comunque sia mi dispiace moltissimo non averlo conservato perché oggi, dopo cinquant’anni, sarebbe stato sicuramente un cimelio interessante, ma a diciott’anni mica si pensa di conservare la roba, quella è una mania che ti viene quando cominci a diventar vecchio e hai paura che tutto ti fugga di mano; poi c’è anche da considerare che la monorotaia non c’è più perché già pochi mesi dopo la manifestazione fu messa in disuso e parcheggiata all’interno della Stazione Nord dove inevitabilmente fu fatta oggetto di vandalismi fino a quando non fu smantellata del tutto.
Molti in verità si sono lamentati perché quella monorotaia era pur sempre un bel ricordo e anche la Torre Eiffel, tanto per dire, era stata costruita per una occasione speciale ma poi i parigini non se la sentirono di tirarla giù e allo stesso modo avrebbero potuto comportarsi i torinesi anche se non tutti i torinesi furono d’accordo perché c’è ancora qualcuno che ritiene che quella monorotaia si poteva salvare e magari sistemarla dentro al Museo dell’Automobile di Torino come cimelio mentre secondo altri quell’aggeggio avveniristico altro non era se non il classico esempio di spreco di denaro pubblico ma tant’è, la monorotaia non c’è più e stop.
Ma la monorotaia non era l’unica attrattiva perché ci stava anche un cinerama della Disney dove tu entravi e avevi l’impressione di trovarti in mezzo alla scena che veniva proiettata a 360 gradi. Ricordo che il filmato mostrava una corsa automobilistica, il palio di Siena e una fantastica trasvolata delle Alpi e tu lì in mezzo che quasi ti veniva il mal d’aereo, insomma una cosa fantastica, davvero, ma tutto era fantastico, a cominciare dai nostri diciott’anni che ci facevano sognare oltre misura e di motivi per sognare ce n’erano tantissimi, sia in cielo sia in terra.
Il cielo, infatti, era stato l’immenso teatro dell’impresa di Yuri Gagarin che nell’aprile di quell’anno era volato dove mai nessun uomo aveva osato e tutti a spellarsi le mani di fronte a questa straordinaria impresa che influenzò persino alcuni architetti che allestirono nella Sala delle Fonti di Energia dell’Expo torinese un soffitto illuminato con tubi di neon proprio in suo onore e gli architetti, se proprio lo volete sapere, erano Lucio Fontana e Gian Emilio, Piero e Anna Monti.
E in terra c’erano tutte le delizie del “boom” che si materializzavano nella televisione, nel frigorifero, nella Seicento e il tutto era allietato da una colonna sonora sbarazzina che andava da “Legata a un granello di sabbia” cantata da Nico Fidenco a “Parlami d’amore Mariù” rivisitata da Peppino di Capri (se ne volete sapere di più andatevi a leggere il mio “Una canzone al giorno” che l’Editore Simonelli ha avuto la bontà di pubblicare).
Ma il succo di questa bollicina è la considerazione che da quell’Expo torinese ad oggi sono passati cinquant’anni, che detto così potrebbe anche non suscitare particolari emozioni ma se anziché “cinquant’anni” dici “mezzo secolo” beh la cosa cambia e fa sicuramente un altro effetto così come fa un certo effetto venire a sapere che oggi la Stazione Nord della Monorotaia è stata ristrutturata e trasformata in un ospedale per bambini malati. Su quella monorotaia, cinquant’anni fa, abbiamo sognato con l’allegria dei diciott’anni e i nostri sogni parevano allora tanti bambini sbarazzini che volteggiavano in aria come le monachine dentro al camino. Ma i sogni purtroppo sono destinati a finire. Molti sogni, usciti “da quel bagno salutare e da quella lunga sorsata di oblio che è la notte” (sono parole di Thomas Mann tratte dal racconto “Cane e padrone”), finiscono all’alba ed è una curiosa coincidenza che il famoso film “I sogni muoiono all’alba” tratto dalla piece teatrale di Indro Montanelli sia proprio del 1961.
Altri sogni, invece, si ammalano di fronte alla vita e vanno a finire in un ospedale per bambini, come quello della Stazione Nord di Torino. E noi, che vogliamo continuare a sognare, li curiamo e li coccoliamo con la speranza di guarirli e di vedere ancora arrivare quella monorotaia sulla quale abbiamo vissuto uno dei sogni più belli della nostra vita.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).