Cantami, o Diva, del Pelide Achille/l’ira funesta che infiniti addusse/lutti agli Achei… Lo ricordate? È l’incipit dell’Iliade di Omero nella traduzione di Vincenzo Monti che l’illustre grecista Manara Valgimigli definì uno dei capolavori della letteratura italiana e qui mi piace ricordare il grande Manara perché quando io mi cimentavo per la prima volta con gli ostici versi di Monti, Valgimigli era nella mia città (Ravenna) a dirigere la prestigiosa Biblioteca Classense. Ovviamente non ci siamo mai incontrati e la cosa adesso un po’ mi dispiace, ma voi capite che non sarebbe stato possibile un incontro con questo uomo di quasi settant’anni più vecchio di me che, poco più che decenne, cominciavo a farmi un’idea che il mondo dei grandi fosse proprio strampalato perché in prima media mi avevano messo fra le mani questa Iliade che aveva tutte quelle parole che non si capiva proprio un accidenti di niente. Già “pelide” era un mistero e poi via via era tutta una cascata di parole e di verbi stranissimi che mai avevo sentito adoperare nel linguaggio corrente. Ricordo “inimicolli”, “i coturnati Achei”, la “prїameia cittade” coi due puntini sulla “i” e le “divina quadrella” che a me facevano venire in mente le piastrelle del pavimento di casa mentre in realtà il professore ci spiegò che erano delle frecce particolari e siccome di questa Iliade non si capiva proprio nulla il professore ci sottoponeva alla tortura della parafrasi che voleva dire, una volta a casa, riscrivere con parole normali e comprensibili l’Iliade vanificando così tutta la fatica del Monti che, poveraccio, si era rotto la testa sui versi di Omero. Il Monti, nel 1807, aveva pubblicato un saggetto dal titolo “Considerazioni sulle difficoltà di ben tradurre la protasi dell’Iliade” dove si legge che “tradurre la protasi dell’Iliade, conservare l’economia del testo, eguagliarne la sublime semplicità, e contentare la critica, giudico ch’ella sia per poeti italiani opera disperata” ma nonostante la disperazione il vecchio Vincenzo si mise di buzzo buono e alla fine riuscì a pubblicare tutta la sua bella Iliade nel 1810, il che vuol dire giusto due secoli fa. L’Iliade compie dunque due secoli e credo che li dimostri tutti quanti, con quel suo linguaggio un po’ troppo classicheggiante ma io non sono un letterato e dunque non mi permetto certo di far le pulci a Monti che, fra parentesi, è pure un mio conterraneo essendo nato ad Alfonsine (dove c’è ancora la sua casa trasformata in museo) che è a un tiro di schioppo da Ravenna.
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Monti, però, non conosceva il greco e di questa lacuna se ne fece proprio una croce ma tuttavia riuscì a tradurre il capolavoro di Omero usando traduzioni latine e italiane e la cosa non piacque a Ugo Foscolo, che invece il greco lo sapeva e come. Anche Foscolo si era messo in testa di tradurre l’Iliade e pure lui aveva scritto un saggio dal titolo “Esperimento di traduzione dell’Iliade” nel quale si legge un elogio allo stesso Monti che gli aveva fatto avere la sua versione del primo canto. Poi andò a finire che i rapporti fra i due si ammaccarono e allora il vecchio Ugo tirò fuori la faccenda che Monti non sapeva il greco e lo prese in giro con un distico che suonava così: “Questi è Monti poeta e cavaliero/gran traduttor dei traduttor d’Omero”. Secondo alcuni non è proprio certo che il distico sia del Foscolo comunque il poeta dei Sepolcri la pensava così mentre Leopardi fu molto più benevolo perché scrisse in quello zibaldone che è per l’appunto lo Zibaldone che Monti non era poeta “ma uno squisitissimo traduttore, se ruba ai latini o greci”.
Ma siccome i letterati sono un po’ litigiosi, il Monti si legò al dito il distico per poi farla pagare a Foscolo nel momento opportuno e il momento arrivò quando a Milano venne rappresentata la sua tragedia Aiace che non fu granché e allora Monti avrà pensato, sì io sarò solamente un traduttore di traduttori ma tu invece non sai scrivere tragedie e allora beccati questo e gli confezionò questi versi: “Per porre in scena il furibondo Aiace/il fiero Atride e l’Itaco fallace/gran fatica Ugo Foscolo non fè:/copiò se stesso e si divise in tre”. E ancora, ricordando che Foscolo rinunciò al nome Nicoletto per chiamarsi Ugo, il Monti gli preparò questi altri versi, un po’ cattivi per la verità, soprattutto l’ultimo: “Questi è rosso di pel Foscolo detto:/sì falso che falsò fino se stesso/quando in Ugo cangiò Ser Nicoletto/guarda la borsa se ti vien d’appresso”. La diatriba fece discutere e se all’epoca ci fosse stato “Porta a Porta” sicuramente Vespa li avrebbe chiamati tutti e due a dibattere di fronte alla platea dei telespettatori e forse qualche intelligentone li avrebbe inviati perfino all’”Isola dei famosi” o, perché no?, al “Grande fratello”.
Tutto questo mi suscitano i due secoli del Cantami, o Diva e mi riportano ai primissimi anni Cinquanta del secolo andato quando ancora portavo i calzoni corti e per la prima volta mi cimentavo con l’Iliade di Monti in una monumentale edizione curata da Eugenio Treves. Il libro è ancora nella mia personale biblioteca e sfogliando le sue pagine mi sembra ancora di ascoltare i sospiri di un povero bambino che non capiva come mai Achille fosse chiamato Pelide dal nome di suo padre Peleo mentre lui, che aveva il padre di nome Guido, nessuno lo avrebbe mai chiamato Guidide. Avevo dieci anni e mi stavo affacciando sui misteri del mondo…
Franco Gàbici
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(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).