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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 1 Novembre 2009



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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.

 ...e sei i conduttori
 TV fossero
 a prezzo fisso?


  Non credo che il CdA della Rai legga le mie “Bollicine”, però io tento lo stesso di mandargli una letterina, una specie di “c’è posta per te” insomma, con la quale vorrei esprimere alcune mie impressioni sulla Rai e compagnia bella che da quello che mi è dato di capire sembra essere un’isola felice che galleggia in quel bel mare di miserie che è il nostro paese.
  Dunque, leggo sulla stampa che il CdA della Rai ha frenato sul rinnovo del contratto a un famoso conduttore e allora tu pensi, poverino, in questi tempi di crisi la Rai non gli vuole aumentare lo stipendio e allora, povero nano, come farà a sbarcare il lunario. Poi faccio una botta di conti e vengo a sapere, sempre se non ho capito male, che il conduttore percepisce uno stipendio di 1.6 milioni di euro all’anno che, sempre conti alla mano, fanno 266 milioni di vecchie lire al mese. Penso che il fatto si commenti da sé.
  E infatti mi fermo qui e volto pagina per proporre al CdA della Rai e di tutte le altre reti televisive questa modesta quanto elementare considerazione.
  Il mio ragionamento, però, si basa su una premessa, su un postulato, che è questo: “Assumo per scontato che a nessuno piaccia gettare i denari dalla finestra”.
  Se viene meno questo postulato crolla anche tutto il mio considerare.
  Allora state a sentire. Se io fossi il presidente di un CdA di una televisione convocherei tutti i colleghi delle altre reti e farei loro questa proposta: “Cosa ne direste se tutti insieme ci mettessimo d’accordo di fissare un tetto ai compensi? Dove sta scritto che uno debba intascarsi miliardi di vecchie lire solamente perché conduce un programma televisivo? E allora la proposta è questa: decidiamo tutti, ma proprio tutti, d’amore e d’accordo, che un presentatore televisivo debba percepire 50 mila euro all’anno. E se non gli andrà bene, che vada a lavorare!”.
  Vi immaginate la faccia di un Pippo Baudo (dico Pippo perché è il primo che mi viene in mente, ma il discorso vale ovviamente per tutti i Pippibaudi), vi immaginate dunque un Pippo che si sente dire certe cose? Reagirà immediatamente gettando il suo guanto di sfida: “Allora io cambio rete!”.
  Ma qui sta il bello, perché anche dall’altra rete gli risponderebbero: “Guarda che anche noi ti possiamo dare 50 mila euro all’anno”.
  Baudo allora dirà, tutto imbufalito: “Se è così, io me ne vado all’estero”.
  E a questo punto il CdA gli risponderà: “Buon viaggio!”.
  Si è sempre detto che morto un papa, se ne fa un altro e lo stesso credo possa applicarsi a un qualsiasi presentatore.
  Per me la proposta è straordinaria e non capisco come mai ancora a nessun CdA sia venuta in mente.
  L’altra considerazione è questa: sapete voi quanti Pibbaudi ci sono in giro?
  Sapete voi cosa sarebbe Pippo senza la tivù?

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  Sarebbe un onesto lavoratore che impiegherebbe il suo tempo libero a presentare spettacolini parrocchiali. La televisione, invece, ne ha fatto un divo e per giunta lo paga.
  Li vedete voi, tutti questi presentatori che fanno la pubblicità a mille prodotti e che ovviamente si intascano altri cachet?
  Perché, tanto per dire, non chiamano me a pubblicizzare la marca di un caffè?
  Ve lo siete mai chiesti?
  E allora mi verrebbe da fare un’altra proposta. Visto e considerato che la televisione crea il divismo e che il divismo diventa alla fine una macchina per far soldi, sarebbe più opportuno che fossero il giornalista o il presentatore a pagare per poter comparire in tivù.
  E invece no.
  Evidentemente ai Consigli di amministrazione ragionano in un altro modo e non hanno ancora capito che è il mezzo che crea il personaggio. Un personaggio senza mezzo non esiste proprio. A me l’idea piace e sarebbe formidabile. Si risparmierebbero un sacco di denari che potrebbero essere utilizzati per cause migliori. E poi non capisco perché un giornalista affermato della tivù (dove la sua affermazione è dovuta non certo alla sua bravura, ma esclusivamente alla televisione stessa) debba percepire stipendi da nababbo mentre un giornalista qualsiasi debba accontentarsi di buste paga molto meno pesanti.
  Avete mai pensato a cosa succederebbe se tutti questi personaggi illustri se ne andassero via dai teleschermi?
  La televisione continuerebbe a vivere come prima e troverebbe altri personaggi che farebbero lo stesso servizio dei divi ma ad un costo decisamente inferiore.
  Ho ragione o no?
  Se ho ragione ho molto piacere, e se non ho ragione vorrei che qualcuno mi dimostrasse il perché.
  Intanto continuo a pensare a quel povero giornalista che è andato a batter cassa perché i suoi 266 milioni al mese (di vecchie lire) non gli fanno dormire sonni tranquilli. Tiene famiglia, poveretto. Orsù, cari consiglieri della Rai, andategli incontro. Io proporrei una specie di Telethon oppure proporrei di aprire una pubblica sottoscrizione. Non dimentichiamo che c’è la crisi e che con 266 milioni al mese non sempre si riesce a riempire il carrello (o il Tir) della spesa.

Franco Gàbici

Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.


















 

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Una Canzone al Giorno  di Franco Gàbici
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 
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