Da tempo avevo in mente di salire in cima alla collina Spazzavento nei pressi di Prato perché sapevo che lassù, dal 19 luglio 1961, riposa il grande Curzio (Malaparte, s'intende) che in Maledetti toscani aveva lasciato il suo testamento: “E vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per poter sollevare il capo ogni tanto e sputare nella gora fredda del tramontano”.
L’idea di scalare lo Spazzavento mi era frullata in testa perché qualche anno fa ero venuto a sapere che in occasione del cinquantenario della morte (1957-2007) era stata organizzata una sorta di fiaccolata fin lassù in omaggio allo scrittore.
L’impresa (la mia, intendo dire), è però ignobilmente naufragata, forse perché abbiamo sbagliato approccio. Probabilmente ci saranno altre vie per salire, non lo nego, ma fatto sta che ci siamo incamminati, Romina ed io, per un sentiero molto ripido che correva in mezzo a una selva, che una bellissima giornata non riuscì a trasformarla in “oscura”. Però sembravamo davvero Dante e Virgilio e poteva completare l’allegoria anche l’incontro con le fiere perché di tanto in tanto lungo il percorso alcuni cartelli mettevano sul chi vive il viandante con la scritta: “Attenzione! Zona addestramento cani”.
Dopo un’ora di cammino in quella selva selvaggia e aspra e forte e dopo aver sperimentato che in effetti ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso, abbiamo perso la speranza de l’altezza e siamo tornati alla base anche perché non era facile continuare a salire con il “Meridiano” di Malaparte che pesava nella borsetta di Romina. L’idea, infatti, era quella di leggere, una volta giunti in cima al colle, qualche passo malapartiano ripetendo l’esperienza che già facemmo sul monte Tabor a Recanati quando Romina declamò l’Infinito di fronte agli interminati spazi e ai sovrumani silenzi al di là della siepe. Una roba da togliere il fiato, davvero. Ma il Tabor, purtroppo, non è Spazzavento e se non mi credete provate ad arrivare in cima (se mai ce la farete) poi mi saprete dire.
In cima a una collina non ci si arriva di certo con l’automobile e questo lo sapevo, però io mi ero figurato un itinerario diverso. Pensavo che Prato avesse onorato il suo illustre figlio con una passeggiata letteraria degna del suo nome. Immaginavo, dunque, un sentiero in mezzo al bosco tutto costellato di letterarie “piazzole di sosta”, con panchine e pannelli che riportassero immagini e pensieri di Malaparte. Insomma, tu fai fatica a salire ma di tanto in tanto hai il conforto di Malaparte che ti segue e ti accompagna alleviandoti la fatica. E poi non sarebbe male aggiungere di tanto in tanto qualche cartello che dia indicazioni su quanta strada sia ancora da percorrere. Dentro ai supermercati a volte si incontrano cartelloni dove si vede un bel pallino rosso sotto al quale si legge la superflua indicazione “voi siete qui”. Se invece vi trovate in mezzo a un bosco, e dunque in una situazione in cui farebbe comodo avere il conforto di qualche coordinata, cartelli di questo genere non li troverete mai. Però mica si può sempre stare dentro a un Supermercato per leggere l’indicazione “voi siete qui”!
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Insomma, a farla breve, è stata proprio una bella delusione. L’unico segno malapartiano è un cartello sbiadito, posto ai piedi del colle, che racconta per sommi capi la vita dello scrittore. Al cartello, se proprio lo volete sapere, fa da sentinella un capace bidone per l’immondizia, che delizia della sua presenza quanti sono intenti alla sua lettura.
Torno a dire che l’insuccesso della spedizione letteraria è da imputare alla mia disorganizzazione, ma se mai esiste un percorso alternativo per arrivare in cima allo Spazzavento (forse partendo da Cerreto) questo non è indicato da nessun cartello. In compenso, entrando in Prato, ho avvistato un bel cartello color marrone che segnala la pista ciclabile “Gino Bartali”. Per carità, non ho nulla da dire, anzi la cosa mi ha fatto piacere perché io da piccolo tifavo Bartali, che era nato nel millenovecentoquattordici come mia madre, però adesso che si parla tanto di par condicio non mi sarebbe dispiaciuto trovare cartelli che indicassero anche la via che conduce al Mausoleo di Malaparte. Siamo o non siamo un paese ricco di arte? E allora perché non istituire itinerari letterari che mettano assieme cultura e natura? E poi diamo ad essi l’opportuna pubblicità.
Venite a Prato e godetevi questo bellissimo paesaggio insieme a Malaparte. Riscopriamo questo scrittore e mentre camminiamo verso la cima teniamo nel cuore le sue parole! Di lassù il panorama è di quelli che non si dimenticano. Lunghe file di ulivi che fanno selva: “Col viso appoggiato sulla tua spalla, sento stormire nelle tue vene l’albero dei sogni. Alzo gli occhi alla tua fronte bianca, all’incerto viso dove balena il mare. E giunge dalla selva d’olivi, nella notte ormai serena, il canto guerriero della cicala notturna” (L’albero vivo). Ma potrei andare avanti all’infinito con le citazioni. I Racconti di Malaparte sono straordinari ed è una vergogna che nessuno provveda a ristamparli. Ma questo è un altro discorso.
Franco Gàbici
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(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).