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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 6 Giugno 2009



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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.

 Coppi, Bartali
 e Malaparte


  Sarò ripetitivo, ma tutte le volte che inizia giugno mi vengono sempre in mente le considerazioni di Curzio Malaparte su questo mese. Così come in aprile mi vengono in mente quelle di Eliot.
  Devo averlo scritto anche molte Bollicine fa, ma chi dei miei lettori si ricorderà di ciò che ho scritto?
  E allora andiamo a ruota libera e se Eliot diceva che aprile è il più crudele dei mesi, Malaparte dice che giugno è il più profondo dei mesi, con le lucciole che planano sul grano e si lasciano dietro un dolce sapore di miele. E se oggi inizio con Malaparte, una ragione c’è.
  Nell’aria di giugno, infatti, insieme al dolce sapore di miele si avverte ancora il dolce ronzio metallico delle biciclette dei girini che hanno attraversato l’Italia pedalando e io, ammalato di passato, mi son messo a pedalare all’indietro alla ricerca di tanti e tanti giri fa quando gli sportivi si infiammavano alle imprese di Coppi e Bartali, due personaggi straordinari ai quali Malaparte aveva dedicato un breve scritto, in francese, che recentemente è stato tradotto e pubblicato nella biblioteca minima di Adelphi col titolo Coppi e Bartali.
  Il titolo originale era meno spartano: Les deux visages de l’Italie: Coppi et Bartali e sicuramente i nomi dei nostri campioni erano trasformati in Copì e Bartalì, rigorosamente accentati sulla “i”.
  Malaparte scrive cose bellissime e prima di entrare nel merito dell’argomento si lascia andare alcune considerazioni sulla bicicletta che a suo modo di vedere appartiene a pieno diritto al patrimonio artistico nazionale né più né meno come la Gioconda di Leonardo, il cupolone di San Pietro e la Divina Commedia di Dante. Insomma questa bicicletta ha un’anima talmente italiana che Curzio si stupisce come non sia stata inventata da Botticelli, Michelangelo o Raffaello. E grande fu la delusione quando apprese invece che questo angelo meccanico era stato inventato da un inglese. Ma come, scrive Curzio, “possibile che quest’opera d’arte, questo gioiello dell’intelligenza sia parto di in inglese e non di un italiano?” e se proprio era scritto che l’inventore dovesse essere straniero, fosse stato almeno un francese che, dopo tutto, è pur sempre un latino.
  Mi ero fermato a quelle straordinarie considerazioni di Cesare Angelini sulla bicicletta (Cesare Angelini, chi era costui? Ma è possibile che pagine così squisite se ne stiano a dormire sotto la polvere delle biblioteche e non trovino cittadinanza negli scaffali delle librerie perché gli editori si danno da fare per pubblicare le biografie di Claudio Baglioni o di Carlo Ancelotti?), ma adesso so che altri hanno scritto cose mirabili intorno a questo straordinario mezzo meccanico.
  Secondo Malaparte la bicicletta ha in sé qualcosa di arcano perché noi ci chiediamo come possa stare in piedi “ed ecco che lei prende il volo, in equilibrio su un invisibile filo d’acciaio, come un acrobata sulla fune. In silenzio trafigge lo spazio, in silenzio penetra nel tempo”.

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  E dopo il suo elogio alla bicicletta, Malaparte passa alla sua lettura di Coppi e Bartali, una lettura straordinaria che ti si dipana davanti agli occhi e mentre tu leggi ti accorgi che sta dicendo delle cose vere, che tu stesso hai pensato ma che non sei mai stato in grado di esprimerle perché i nostri sentimenti profondi li possono leggere solamente i grandi scrittori.
  La grandezza dello scrittore, infatti, sta tutta qui, in questo esercizio di una maieutica che con discrezione ti cava da dentro parole e sensazioni per riportarle alla luce. E tu ti senti vibrare tutto quanto e alla fine esclami: “Malaparte ha proprio ragione, le cose stanno proprio così”.
  Coppi e Bartali, per noi ragazzini, erano l’incarnazione dell’eterna lotta fra il bene e il male e chi impersonificasse il bene e il male era fuor di dubbio. Il “bene” era Bartali, che spesso si vedeva ritratto in visita al Papa e che portava con orgoglio nell’occhiello della giacca il distintivo dell’Azione Cattolica.
  Il “male”, invece, era Coppi, che aveva lasciato la moglie per andare dove lo portava il cuore e l’Italia bacchettona non tollerava queste cose. Ma questa visione miope e ristretta viene dilatata da Malaparte che la estende e le dà respiro portandola al di fuori delle sacrestie.
  Coppi e Bartali sono paladini di due differenti visioni del mondo. In Bartali prevale il contadino, in Coppi l’operaio. Bartali ha sangue nelle vene, Coppi ha della benzina. Bartali è un uomo, Coppi è un robot. Bartali è un mistico, Coppi è un cartesiano. Bartali potrebbe essere cantato da Henry de Montherlant, Coppi da Hemingway. Fantastico!
  E Malaparte così conclude: “Nella rivalità fra Bartali e Coppi forse Pindaro non vedrebbe altro che il simbolo delle lotte, delle sofferenze, dei sacrifici e delle speranze che le nostre generazioni offrono alla libertà, alla pace, alla felicità degli uomini e delle nazioni”.
  Così parlò Malaparte. E, accidenti, se parlava bene!

Franco Gàbici

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 
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