Vi voglio raccontare una storia che per molti versi è da considerare inedita o quasi.
I miei quattro lettori sicuramente avranno presente quello straordinario romanzo (ma è poi davvero un romanzo?) che è Il giovane Holden, un romanzo tanto famoso quanto misterioso è il suo autore, quel Jerome David Salinger che mostra palesi idiosincrasie nei confronti dei flash, dei riflettori e delle ribalte.
Il romanzo uscì nel 1951 negli Usa con il titolo The Catcher in the Rye, una roba intraducibile che non c’entra niente con il romanzo, ma del resto i titoli sono fatti così e anche il primo libro di Giuseppe Berto uscì con un titolo che non aveva nulla a che vedere con le vicende che narrava, lui lo aveva presentato a Leo Longanesi con il titolo La perduta gente ma il grande Leo avrà borbottato ma cos'è ‘sta schifezza di titolo e ribattezzò il romanzo Il cielo è rosso e così quando Berto passò davanti alla vetrina di una libreria rimase colpito da questo bel titolo ma ancor più lo colpì il fatto che sopra il titolo ci stava il suo nome, questo insomma per dirvi come sono fatti i titoli e compagnia bella.
Ma torniamo a Holden, il best seller mondiale che in Italia è stato lanciato da Einaudi.
Leggo su Wikipedia che “Il giovane Holden è un romanzo del 1951 di J.D.Salinger pubblicato in Italia dalla Giulio Einaudi Editore. È uno dei bestseller più celebri di tutti i tempi, con un totale di 65 milioni di copie vendute”. Il fatto è, però, che non è vero niente e adesso ve lo spiego subito, non prima di avervi rivelato la fonte di questa mia sorta di scoop. Dovete sapere che da un po’ di tempo a questa parte mi sono beccato una strana malattia che i medici hanno catalogato “malerbite”, una malattia infettiva e, mi auguro, contagiosa, che consiste nell’essere stato colpito dai romanzi e dagli scritti di Luigi Malerba, situazione che mi ha indotto a fare incetta di tutte le sue opere per divorarle con peccaminosa ingordigia. E ho acquistato anche Parole al vento, che non è proprio un libro di Malerba bensì una raccolta di interviste che la figlia Giovanna Bonardi (Malerba, se non lo sapete, era uno pseudonimo) ha messo assieme e pubblicato presso l’editore Manni.
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Dalle interviste emerge a tutto tondo la personalità di Malerba, ma questo non c’entra nulla con quello che voglio dirvi.
A un certo punto, infatti, Paolo Mauri pone a Malerba una domanda su cosa si aspetta dagli editori e Malerba risponde che dà molta importanza alla figura dell’editore e cita, guarda te, proprio il caso del Giovane Holden.
Il romanzo, spiega Malerba, non uscì in Italia nel 1961 lanciato da Einaudi, ma era uscito una decina di anni prima presso l’editore romano Gherardo Casini nel luglio del 1952, vale a dire un anno dopo la sua uscita americana.
Fu una roba da spararsi.
Il romanzo avrà venduto sì e no mille copie. E aveva pure un altro titolo.
L’editore lo aveva infatti intitolato Vita da uomo e lo aveva fatto tradurre da Jacopo Darca, che di traduzioni si intendeva parecchio (Sartre, Baudelaire...).
Poi una decina di anni dopo Einaudi ha fatto una operazione molto simile a quella di Longanesi con Berto. Vita da uomo richiamava troppo il titolo del film di Monicelli e Steno Vita da cani che era uscito qualche anno prima e magari puzzava un pochino di neorealismo e allora Vita da uomo divenne Il giovane Holden e anziché riproporlo con la stessa traduzione cambiò tutto e la affidò ad Adriana Motti.
Io ricordo che all’epoca i critici caricarono di incenso i loro turiboli per dire che questa Adriana Motti era un genio perché era riuscita a rendere il pensiero holdeniano in maniera così efficace e sbarazzina che più efficace non si poteva.
“Il giovane Holden italiano – leggo in una intervista alla Motti rintracciata in Internet - è scritto in maniera formidabile proprio perché lo ha scritto lei, ed è una traduzione che spesso brilla di luce propria, costretta a emanciparsi continuamente dall'originale”.
E tutti a crederci, ma nessuno sapeva che il romanzo era già uscito dieci anni prima ed era stato un buco nell’acqua. Poi si aggiunse anche la storia degli aspetti misteriosi dell’autore e ne uscì una straordinaria frittata di popolarità.
Sessanta milioni e passa di copie vendute. Una cosa da lasciarti secco, come direbbe Holden.
Ma io adesso vorrei invitarvi a leggere l’incipit della traduzione di Jacopo Darca del 1952 e a confrontarla con quella della Motti.
Scrive Darca:
“Se avete voglia davvero di sapere com’è andata, la prima cosa che vorrete sentire, probabilmente, sarà il posto dove sono nato e com’è stata la mia lurida infanzia e che facevano i miei genitori eccetera prima di avere me, e tutte quelle fesserie alla David Copperfield, ma non mi va di mettermici, a dirvi la verità…”.
Gli fa da eco Adriana Motti nel 1961:
“Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne…”.
Beh, come vedete, ci sono molte affinità e in fondo anche questo Darca non è poi così male e così per quel forte senso di pietà (nel senso latino di pietas, ovviamente) che nutro sempre nei confronti delle persone bistrattate, ho voluto rubare qualche granello di incenso dai turiboli della critica per onorare il primo traduttore del Giovane Holden.
Mi piacerebbe molto lavorare attorno a questa idea, che so, ad esempio, una edizione comparata di questo cult book.
Potrebbe essere davvero un’idea geniale. E mi sembra strano che Paolo Mauri non sia stato incuriosito dall’intervista di Malerba e non gli sia venuta l’idea di andare a verificare le due traduzioni per farne qualcosa.
O forse quello che vi ho raccontato è una robetta senza interesse che è piaciuta solamente a me.
Allora quasi quasi mi verrebbe da dire, con Holden: “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, cominciano a mancarvi tutti” (Darca) oppure “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti” (Motti).
Mi verrebbe quasi voglia di aggiungere anche una mia traduzione, ma ve la risparmio. Sarebbe davvero un’idea balzana. Ma le idee balzane non vengono solamente a me.
Pure Alessandro Baricco e Sandro Veronesi avevano proposto di rifare la traduzione del Giovane Holden. La cosa, però, non ebbe seguito. Evidentemente deve esserci un limite (Sunt certi denique fines… direbbe Orazio) anche per le idee balzane.
Franco Gàbici
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(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).