Dunque, facciamo un po’ di conti.
A sedici anni frequentavo la seconda liceo e fumavo già da un anno. Ragazzi, ero davvero un uomo navigato. E spesso entravo in tabaccheria per acquistare le sigarette.
Fumavo, se vi interessa saperlo, le nazionali esportazioni super senza filtro, poco più di 200 lire al pacchetto, che era di color verde e tutto rivestito di cellophane, con una linguetta rossa per aprirlo.
Quelli, però, erano tempi di magra e non tutti si potevano permettere di acquistare un pacchetto intero, soprattutto gli studenti. E allora vigeva la moda delle sigarette sciolte. Una nazionale semplice costava 10 lire e una super qualcosina in più. Mi sembra di ricordare che con cinquanta lire il tabaccaio ti dava quattro super dentro a una bustina di carta e un resto in qualche caramellina da una lira. Di liquirizia. Quando andava grassa, invece, ti potevi permettere il pacchetto intero. Entravi in tabaccheria e chiedevi “super senza filtro” e un tabaccaio che sapesse fare il suo mestiere non ti dava un pacchetto ma te ne sbatteva sotto al naso tre perché tu, attraverso la palpazione, potevi scegliere il pacchetto che più ti aggradava.
C’era chi preferiva il pacchetto morbido e chi preferiva quello più tosto. Ma io credo che si tastassero i tre pacchetti così tanto per darsi le arie dell’intenditore e poi se ne prendeva uno a caso.
I vecchietti che acquistavano i toscani, invece, palpeggiavano i sigari come se avessero fra le mani una bella ragazza, ne auscultavano addirittura il rumore sfregandoli fra le palme delle mani, insomma un rito complicatissimo.
Perché non capite “Una Canzone al Giorno”?
Noi consumatori di sigarette avevamo i modi molto più spicci.
Le sigarette venivano consumate durante i cambi dell’ora. Suonava la campanella e quando il professore usciva noi scattavamo fuori dalla porta per accenderci la sigaretta e tirare qualche boccata e quando si profilava all’orizzonte il professore dell’ora successiva, zac, si decapitava la sigaretta della sua brace sul tacco di una scarpa e il mozzicone ancora maleodorante veniva messo in tasca per essere poi utilizzato l’ora successiva. Le nostre tasche puzzavano di fumo e quello per noi era il sapore della maturità.
Mi vengono in mente tutte queste cose perché leggo sui giornali che il Movimento italiano genitori e la Federazione italiana dei tabaccai si sono messi d’accordo per vietare la vendita delle sigarette ai minori di sedici anni sotto lo slogan “Noi non dobbiamo fumare”.
Se la legge fosse entrata in vigore al tempo dei miei sedici anni non avrei fatto una piega. Avrei fatto ricorso agli amici che avevano superato la boa dei sedici, avrei consegnato loro il denaro e avrei chiesto di acquistare per me le sigarette. L’operazione avrebbe avuto sicuramente un costo, sì te le compro però almeno me ne dai una, massì, l’importante è che tu mi faccia il favore e così la faccenda è risolta.
Non credo che servano le leggi (soprattutto quando sono divieti) per risolvere i problemi. Serve invece una campagna informativa accurata che convinca la gente a evitare il fumo. C’era uno slogan che diceva: “Se il tuo vicino fuma, danneggia anche te. Digli di smettere!” e noi subito lo avevamo adattato al vizio dello studio e così lo slogan diventava: “Se il tuo vicino studia danneggia anche te. Digli di smettere!”.
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Tempi beati, veramente. Tutto era bello, perfino il fumo, la cui pubblicità era ospitata da tutti i giornali e i rotocalchi. Poi arrivò Terry a terrorizzare, è proprio il caso di dirlo, e allora via il fumo. Ma la gente continua a fumare.
Io ho smesso da quasi trent’anni e un po’ mi spiace anche perché ho superato l’età e il tabaccaio sicuramente non mi farebbe storie se oggi gli chiedessi un pacchetto di sigarette. E non me ne faceva nemmeno allora. Prima di arrivare a scuola si entrava in tabaccheria, che era a un tiro di sasso, per acquistare due o tre sigarette sulle quali bruciare il nostro desiderio di diventare adulti in fretta.
Ricordo che una volta il nostro professore di filosofia, che si chiamava Eraldo Pasi e che era davvero una brava persona, vedendoci fumare fra un’ora e l’altra era solito dirci: “E pensare che quel piacere si trasformerà nella fatica di smettere di fumare!”. Ma noi non capivamo il messaggio, tutti presi dalle nostre frenesie.
Gli adulti erano proprio “pesi” e anche “stufosi” con quei loro messaggi da saccenti grilli parlanti.
Sono passati tanti anni. Il professore di filosofia non è più. E non c’è più nemmeno la tabaccheria. La sua saracinesca, alquanto arrugginita, è abbassata da tempi immemorabili e forse nessuno ha il coraggio di sollevarla perché nel suo interno, chissà, stanno ancora rimbalzando le nostre richieste. Beh, forse è meglio così. È bene che il nostro passato se ne stia dietro a una saracinesca arrugginita.
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(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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