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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 27 Aprile 2008



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  Pensando a Guareschi
  e ricordando un suo amico:
  Giovanni Mosca

  Il 2008 è l’anno in cui si ricordano i cent’anni della nascita di Giovannino Guareschi ma anche i quarant’anni della sua morte, avvenuta a Cervia (Ravenna) nel luglio del 1968. Lui aveva sessant’anni e io solamente venticinque, ma avevo praticamente letto quasi tutti i suoi libri ed ero diventato un fervente guareschiano. Conoscevo a menadito anche tutti i film della serie di Don Camillo e Peppone e quando uno di questi passava in una sala cinematografica il richiamo era troppo forte e lo andavo a vedere. Poi con l’arrivo dei Dvd i film di Don Camillo e Peppone sono entrati in casa e ora posso guardarli quando mi pare e piace. Sentiremo parlare molto di Guareschi in questo 2008, ma penso che al Giovannino non dispiacerebbe affatto se sapesse che oggi nella mia duecentocinquantesima bollicina dedico un po’ di spazio ad un amico suo, Giovanni Mosca, anche lui nato nel 1908.
Erano dunque coetanei e insieme dettero vita al “Bertoldo” e al “Candido”. Giovanni Mosca scriveva per il “Corriere della Sera” e si firmava semplicemente Mosca e ricordo che quando Guareschi morì, il mio amico Gianni Lugaresi, all’epoca giornalista al “Gazzettino” e oggi Presidente del guareschiano “Club dei Ventitrè”, mi mandò un corsivo scritto proprio da Mosca, che tutto scandalizzato metteva in risalto la solitudine di Guareschi. Il pezzo era intitolato, infatti, “Un uomo solo”. Dimostrandosi piccina, l’”Unità” titolò invece “E’ morto lo scrittore che non era mai nato”.

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Beppe Gualazzini scrive nel suo saggio su Guareschi che “la politica e la cultura ufficiali dell’Italia di allora ebbero una gran fretta di seppellire Guareschi, di non sentirne più parlare, di toglierselo dai piedi, che il suo fantasma, nemmeno quello, ritorni mai più”. E il giorno dopo, sulla “Gazzetta di Parma”, il direttore Baldassarre Molossi commenta i funerali di Giovannino con un pezzo dall’eloquente titolo “Italia meschina”: “L’Italia meschina e vile ­ scrive Molossi ­ l’Italia provvisoria, come lo stesso Guareschi con amara intuizione la definì nel 1947, ci ha fornito ieri l’esatta misura del limite estremo della sua insensibilità morale e della sua pochezza spirituale”.
Del resto Guareschi non poteva essere apprezzato dalla sinistra critica di sinistra, tutta ingessata nei suoi abiti seriosi e poco propensa al sorriso. Ma avete mai pensato che la satira (penso a Leo Longanesi, ad esempio) arriva solo da destra? Come mai la sinistra non sa ridere né sorridere? O forse fa solamente ridere con quel suo prender tutto sul serio… mah, fate voi.
Come poteva, infatti, una critica di sinistra apprezzare uno scrittore che scriveva per farsi capire e che dichiarava nella “Avvertenza” del suo “Zibaldino” che non pretendeva “né di migliorare i costumi, né di peggiorarli” e che non intendeva “fissare nessun momento psicologico”? Incredibile come uno scrittore fosse sfacciato a tal punto da ammettere queste cose. Era solito dire che non credeva nelle vitamine ma che in compenso credeva in Dio. Dichiarazioni che suonavano come una condanna. E infatti… Resta il fatto, però, che Guareschi è uno degli scrittori italiani più letto nel mondo.
Seguendo i miei pensieri mi sono perso, lo ammetto, ma mica siamo a scuola, con la professoressa che ti terrorizza col “fuori tema” e con tutti gli schemi scolastici, quegli schemi che Giovanni Mosca tentò invece di rompere a favore di una didattica viva. Mosca! I suoi “Ricordi di scuola” (1939) appartengono ormai al passato, a quel tempo ­ come avverte Mosca nella “prefazione” - “che vorremmo tornasse, ma è impossibile”. Vi parlo, continua Mosca, “dei sogni, delle speranze che avevamo nel cuore; della nostra innocenza; delle lucciole che credevamo stelle perché piccolo piccolo era il nostro mondo, basso basso il nostro cielo”. Mondo piccolo, toh, come quello di Guareschi e, sarà una combinazione, ma il capobanda della famosa “Quinta C” che Mosca si trova ad affrontare si chiama Guerreschi, un cognome che assomiglia moltissimo a quel Guareschi col quale Mosca avrebbe stretto una solida amicizia.
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“Siete mai ritornati, da grandi, nella vostra antica scuola elementare?” si chiede Mosca all’inizio dei suoi “Ricordi”. Mosca va sull’onda del ricordo ma io vi suggerisco di non farlo perché, come la voce narrante del film “Messaggero d’amore” di Losey: “Il passato è un paese straniero, lì tutto si svolge in modo diverso”. Ma non solo non dovete andare nella vostra vecchia scuola elementare. Non dovete mai entrare nemmeno nella vostra vecchia scuola media e nemmeno nel vostro vecchio liceo, dove fra le pietre e gli intonaci sono ancora prigionieri i vostri sospiri e le vostre allegrie. Il passato è veramente un paese che tutto a un tratto è diventato straniero. E allora si capiscono le considerazioni di Mosca sull’addio alla scuola e ai suoi scolari.
Sì, d’accordo, c’è un po’ di atmosfera da libro “Cuore”, però quelle pagine sono toccanti. Bravo Mosca, un maestro che tutti noi avremmo voluto avere perché a quei tempi i maestri erano burberi e severi. Nessuno si prendeva la briga di sfidare un capobranco nell’abbattere un calabrone. Solo le maestre avevano il sorriso dolce della mamma, un sorriso che mantenevano anche quando le incontravi dopo anni e anni.
Giovanni Mosca saluta i suoi scolari e uno di questi, Martinelli, gli dà un bacio sulla guancia lasciandogliela tutta sporca di liquirizia. Avrebbe lasciato la scuola e tutto un mondo, quel mondo diventato all’improvviso straniero.
Avrebbe cambiato mestiere, sarebbe diventato giornalista e avrebbe fatto molta strada in mezzo alla carta stampata. E se c’è una cosa che mi dispiace, arrivato a casa, ­ conclude Mosca nei suoi “Ricordi” ­ è quella di dovermi levare la macchia di liquirizia dalla guancia”. Non leviamoci mai le macchie di liquirizia dalle guance. Potremmo trovarci “grandi” tutto a un tratto

Franco Gàbici


Il citato saggio di Beppe Gualazzini è intitolato “Guareschi” ed è stato pubblicato dalla “Editoriale Nuova” nel 1981.
Lo “Zibaldino” di Guareschi uscì nel dicembre del 1948.
La citazione del “calabrone” è tratta dai “Ricordi di scuola” di Giovanni Mosca e in particolare fa riferimento al capitolo intitolato “La conquista della Quinta C” (Milano, Bur, 1977, pp. 19-26).

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 


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