Capita, a chi possiede scaffali e scaffali di libri (tutti rigorosamente in doppia e, magari, perché no?, anche in terza fila) che fra un trasbordo e l'altro si scopra un libro, un libro che non si sapeva di avere e che quando te lo ritrovi fra le mani è un po' come se avessi recuperato un vecchio amico. Come è capitato a me, poco fa, in una sorta di non programmata serendipity, nel senso che stavo cercando un libro e invece ne ho trovato un altro.
Ma guarda guarda, un vecchio Papini edito dalla Morcelliana, ancora in buono stato, pensate che fra le pagine iniziali, prima del frontespizio, c'è ancora un cartoncino azzurro che reca il numero 59 con la scritta "da citare in caso di irregolarità nella confezione del lavoro scrivendo alla Tipografia Ed. Morcelliana - Brescia, Via G.Rosa, 33 - Telefono 12-83".
Il libro è del 1947 e la copertina è firmata da Gianni Vagnetti (1897-1956), un pittore fiorentino che interruppe gli studi di ingegneria per darsi alla pittura e che dal 1924 partecipò sempre alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma. Nella casa natale, in piazzale Donatello a Firenze, hanno posto perfino una lapide, a testimonianza di una certa fama acquisita e proprio alla fama il grande Giovanni Papini dedica alcune considerazioni nelle pagine di questo libro ritrovato che si intitola, non ve lo avevo ancora detto, «Mostra personale».
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"La fama in vita", scrive Papini, "non è che il gastigo (sì, è scritto propri così, castigo) della giovanil superbia. L'adolescente peccò, il senescente sconta e paga" e poi si mette a parlare della famosa operetta leopardiana «Il Parini ovvero della gloria» che tratta per l'appunto del tema anche se, a dire di Papini, "i nostri provinciali snobinetti" dovrebbero leggere un dialogo italiano "più profondo e commosso di quello del Leopardi". E questo sarebbe «La virtù sconosciuta» di Vittorio Alfieri, l'autore che nella letteratura italiana era condannato a fare da apripista alla triade "Foscolo, Manzoni, Leopardi" e che si studiava alla fine della quarta liceo tant'è che il nostro insegnante di lettere ci consigliò di leggere, come lettura vacanziera, il suo «Saul».
Ma era l'estate del millenovecentosessantuno, centenario dell'unità italiana, avevo diciotto anni e in tasca una promozione alla classe successiva che mi spalancava davanti le magie dell'estate, durante la quale ricordo che mi innamorai come un tacchino di una bella ragazzina, e dunque figurarsi se mi andava di perdere il prezioso tempo estivo a leggermi questo «Saul» di Alfieri, che dopo tutto non era nemmeno antipatico, con quel suo carattere tutto fiamme e fuoco e che aveva appeso un bigliettino sulla porta del suo studio con questo simpaticissimo avvertimento: "Vittorio Alfieri, non essendo persona pubblica e supponendosi di poter essere almeno padrone di sé in casa sua, fa noto a chiunque cercasse di lui ch'egli non riceve mai né le persone né ambasciate né involti né lettere di quelli che non conosce e da chi non dipende".
Chissà cosa avrebbe detto il vecchio Vittorio se fosse vissuto oggi in tempi in cui il telefono squilla senza misericordia migliaia di volte al giorno con le proposte più strampalate, chissà cosa avrebbe detto il vecchio Vittorio, e dunque in questo dialogo con l'anima di Francesco Gori, suo vecchio amico, si trovano le ragioni di chi, nato a fare egregie cose, si sottrae volontariamente alle tentazioni della fama e della gloria postuma e qui sono straordinarie le considerazioni di Papini che chiude il capitolo così: "Nel segreto gode costui (cioè quello che rinuncia alla fama e all'esteriorità, n.d.r.), il degno forte, la sua ricchezza che, spesa o barattata, diventerebbe quasi miseria. È un segreto fra Dio che gliela concesse come un di più, forse per saggiarlo, è un'anima che non vuol perdere il possesso delle stelle per andar dietro a lustrini di carnevale".
Quel carnevale che termina proprio oggi, martedì grasso, in questo pomeriggio grigio, il carnevale con le sue stelle filanti e i coriandoli che domani avranno già perduto la dimensione allegra del cielo per confondersi con la fanghiglia delle pozzanghere.
E dal momento che la memoria è un cavallo randagio mi vengono in mente i versi di una canzone di Sergio Endrigo ("I tuoi vent'anni") che dicevano "stringi forte le dita sui tuoi vent'anni, domani finirà anche il tuo carnevale", ma allora il carnevale era una maschera sbarazzina e le nostre dita allegre non sentivano di certo il bisogno di stringere i vent'anni, quei vent'anni che a conti fatti sono volati via in un batter d'ali oltre l'orizzonte del bel tempo che fu.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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