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di memoria, cultura e molto altro...
Ravenna, 11 Ottobre 2007
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Quando si andava ad ottobre
C'è chi sostiene che il mondo sia fatto a scale (chi le scende e chi le sale) mentre alcuni pensatori e filosofi (così sui due piedi mi vengono alla mente Eraclito e Giambattista Vico) sostenevano che la struttura del mondo fosse invece circolare e che pertanto gira e rigira alla fine le vecchie cose sono destinate a ritornare e che praticamente non cambia nulla. E a riprova che questi ultimi avevano proprio ragione ecco ritornare sulla scena della scuola l'esame di riparazione. Questi esami, che costituivano una sorta di purgatorio estivo posto proprio all‚inizio del paradiso vacanziero, si celebravano all'inizio di settembre, ma nel gergo studentesco si diceva "andare a ottobre".
A ottobre, in realtà, iniziavano le scuole e chi superava l'esame di riparazione aveva a disposizione solamente qualche settimana per assaporare il gusto di una vacanza completamente rovinata dallo studio e dalle "lezioni private" "Andare a ottobre" era anche una specie di roulette perché spesso succedeva che, giunti alla fine dell‚anno scolastico, pochi erano per davvero sicuri di essere stati promossi alla classe successiva e siccome in quei tempi lontani non c'era molto dialogo fra cattedra e banchi (e ancor meno fra cattedra e famiglie), il "redde rationem" si consumava davanti ai tabelloni degli scrutini, coi voti (in decimi) scritti in nero e in rosso. Bastava un colpo d'occhio per capire: una sequela di numeri neri significava promozione, mentre la presenza di qualche numero rosso voleva dire appuntamento ottobrino e infatti dopo la sequenza colorata si leggeva, sempre in rosso, "ripara" e di seguito il nome delle materie.
Le materie da riparare andavano da un minimo di una a un massimo di quattro. Quattro materie sul groppone erano una croce pesantissima e non era infrequente il caso che il poveraccio a ottobre ci lasciasse le penne. Altri invece rinunciavano e più saggiamente ripetevano l'anno.
Per molti l'"andare a ottobre" costituiva la norma, una sorta di inevitabile appendice dell'anno scolastico, una tassa da pagare, tant'è che quando incontravo per strada certi amici e chiedevo loro come fosse stato il loro esito scolastico, questi senza nemmeno aprir bocca mi mostravano un dito (una materia), due dita (due materie) e così via. Era una cosa normale. "Andare a ottobre" era comunque un marchio che ti appiccicavi addosso e comunque questo "andare a ottobre" si presentava a diverse letture. Si poteva essere "rimandati"perché certe materie non si capivano proprio, oppure si era "rimandati" perché durante l'anno si era studiato poco o niente. A volte c'entrava pure un rapporto complicato con un professore, una sorta di questione personale. E a quei tempi il professore aveva sempre ragione e se il figlio tornava a casa con un brutto voto i genitori gli dicevano: "Studia!" e stop.
Sto parlando, naturalmente, dei tempi miei e ricordo che chi andava a ottobre doveva passare attraverso le forche caudine di una bella sgridata in famiglia, col padre che lardellava le proprie concioni con le più bastarde frase fatte (della serie: così ripaghi tuo padre dei sacrifici che fa per mandarti a scuola e altri discorsi equipollenti) mentre la madre ascoltava in silenzio limitandosi a scuotere il capo. In genere si ascoltava in silenzio, ma se il "rimandato" osava ribattere o assumeva un atteggiamento strafottente ci poteva pure scappare lo scapaccione di turno. Una cosa, comunque, era certa: per chi era rimandato a ottobre non esistevano psicologi di sostegno né la famiglia faceva ricorso. In tempi recenti, invece, la rinviata a ottobre del proprio figliolo era considerato dai genitori un delitto di lesa maestà che giustificava i ricorsi. Il figlio doveva essere promosso a tutti i costi, anche se era zuccone.
Secondo una opinione diffusa lo studio era ritenuto meno faticoso del lavoro e così qualche padre minacciava il figlio con lo spauracchio del lavoro. Ma era una prospettiva remota. Poi invece succede che in un pomeriggio d'estate, mentre cammino allegramente verso l‚oratorio per il solito pomeriggio pieno di giochi e di allegrie, incontro per la strada Gino, mio coetaneo, con addosso una bella tuta da meccanico. Gino, che poi sarebbe diventato uno stimato dirigente di banca, mi disse che quell‚anno era stato "rimandato a ottobre" e così l'avevano ficcato dentro a una stramaledetta tuta blu e l'avevano spedito a lavorare presso un meccanico. Compresi, allora, che le minacce dei genitori potevano tradursi in realtà. Per tutto il pomeriggio mi balenò davanti quella stramaledetta tuta e pensavo a Gino che svitava bulloni e si sporcava di grasso mentre io correvo felice dietro a un pallone. Il mondo era per davvero fatto a scale.
Franco Gàbici
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Giornalista Professionista, pluriennale esperienza, anche di direzione, in quotidiani, periodici e case editrici di libri, profonda conoscenza del Web e di tutti i maggiori software (da QuarkxPress a Word, OpenOffice, Front Page, BBedit, Adobe PhotoShop, Adobe Acrobat, Scansoft Pdf Converter Professional, DNL, ReaderWorksPublisher, Transmit, Fetch, Eudora, WinZip, WinRAR, StuffIt, ABBYY Fine Reader), in grado di operare professionalmente sia in ambiente Windows che Mac, utilizzando collegamenti FTP in ambedue le piattaforme, mette a disposizione la sua competenza esperienza e professionalitˆ come content webmaster, come coordinatore in remoto di team operativi per l'ideazione, lo sviluppo e l'aggiornamento di portali, come docente in corsi o master per la preparazione di professionisti della comunicazione online. Se interessati a questa figura professionale inviare una e-mail ad ed@simonel.com specificando nel Soggetto: Inserzione 4247A. Sarete direttamente contattati dall'interessato. |
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).
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