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di memoria, cultura e molto altro...    Ravenna, 1 Ottobre 2007

 
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Quando i Russi
beffarono gli Americani

  Mi sono sempre chiesto che faccia avrà fatto la Luna quando, dopo aver intessuto per miliardi e miliardi di anni orbite solitarie attorno alla terra, ha visto che un piccolo intruso costruito dal bipede uomo si era messo a fare altrettanto.
D'accordo, si trattava al suo confronto di un vero e proprio granellino di polvere che non avrebbe mai potuto raggiungere le sue altezze, ma era pur sempre un segnale che lo spazio non era più completamente suo.
"Che fai tu Luna in ciel, dimmi che fai?".
Mmmh, avrebbe risposto la Luna, sto a guardare e ti dirò che sono anche abbastanza ingrugnata al punto che mi verrebbe da esclamare "Son le leggi d'abisso così rotte? O è mutato in ciel nuovo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?". E invece le leggi non si sono affatto rotte, ma è successo semplicemente che gli uomini, con la loro intelligenza laica (come la definì Salvatore Quasimodo nella poesia “Alla nuova Luna” dedicata proprio all'avvenimento), hanno messo in orbita una luna artificiale.
Elementare Watson!
Elementare un corno!
Provate a dirlo agli americani, che da due anni avevano annunciato al mondo intero per bocca del presidente Eisenhower che durante l'anno geofisico internazionale (ottobre 1957-dicembre 1958) avrebbero mandato in orbita un satellite artificiale. E tutti ne erano convintissimi perché l'America era grande e in fatto di tecnologia nessuno poteva batterla anche perché, si diceva, le grandi scoperte e i grandi progressi possono avvenire solamente nei paesi liberi. E l'America lo era, mentre la Russia no, tant'è vero che all'inizio del film di Frank Tashlin "Hollywood or bust!" (distribuito in Italia col titolo "Hollywood o morte!") Jerry Lewis impersona il cinefilo russo e, se vi ricordate, Jerry indossa il colbacco e quando applaude si vede che ha le mani legate da una grossa catena che gli stringe entrambi i polsi.
Tutti, insomma, se ne stavano col naso per aria per aspettare il prodigio e per la verità ci credevo pure io che sotto sotto, da bravo bambino che frequentava la parrocchia, facevo il tifo per l'America che era sicuramente un paese molto allegro mentre i russi avevano sempre il cappotto nero, il cappello in testa e avevano facce scure come se tutti fossero appena usciti dall'antro di Trofonio.
Il satellite americano era pure stato battezzato con un nome, anzi una sigla, che, evidentemente senza saperlo, anticipava l'epoca dell'informatica. Infatti lo avevano chiamato Mouse, che con il computer non c'entra assolutamente niente, ma che è l'acrostico di Minimum Orbital Unmanner Satellite Earth. Sui giornali, intanto, cominciavano ad apparire con una certa insistenza interviste a grandi personaggi (Von Braun in prima fila) che parlavano di questo satellite che avrebbe sbalordito il mondo intero.
E invece, zac, arrivò la mazzata.
Zitti zitti, infatti, i sovietici lasciarono tutti con un palmo di naso annunciando al mondo intero che nella notte fra il 4 e il 5 ottobre del 1957 avevano messo in orbita il primo satellite artificiale. Era un aggeggio di alluminio grande quanto un pallone da basket, ma agli americani sembrò un dinosauro.
Che figura!
E mentre gli addetti ai lavori si palleggiavano l'un con l'altro la responsabilità (Truman aveva ragione quando diceva che occorreva potenziare la politica dei missili e adesso vi sta bene come un vestito nuovo se i Russi sono arrivati primi nella corsa allo spazio…) dopo nemmeno un mese i Russi spararono un altro colpo annunciando “Sputnik 2”, una specie di fortezza volante che pesava mezza tonnellata e che a bordo aveva la famosa cagnetta Laika. E se siamo in grado di mandare in orbita macchine volanti di questa stazza - questo era il messaggio politico dei Sovietici - siamo anche in grado di mandare in orbita macchine con bombe e missili che vi volano sulla testa. Occhio al cielo, dunque!
Era questo, in fondo, il caldo clima della guerra fredda.
Qua, si dissero gli americani, bisogna correre subito ai ripari e in fretta e furia chiamarono a raccolta tutti i loro esperti. Van Allen, che stava dirigendosi verso il Polo Sud per una missione scientifica, rientrò immediatamente per accelerare i tempi della messa in orbita del satellite dello zio Sam e tutti si misero freneticamente al lavoro. Gli americani, com'è noto, hanno sempre amato far le cose alla luce del sole e convocarono tutti davanti ai teleschermi per il lancio del loro satellite.
Conto alla rovescia: dieci, nove. tre, due, uno. Zero! E il Vanguard si alzò da terra una sessantina di centimetri e poi bruciò sulla rampa come un cerino. Ricordo il titolo di un settimanale dell'epoca: "Carnevale a Cape Canaveral!". Ma non era per niente un carnevale. La gattina frettolosa, dunque, aveva dato alla luce dei gattini ciechi.
Poi arrivarono Gagarin e Glenn e la Tereskova, prima donna a volteggiare nello spazio. La battaglia a suon di missili fra le due superpotenze continuò a ritmi serrati e il testa a testa si concluse quel famoso 21 luglio del 1969 quando finalmente l’America arrivò prima sulla Luna.
Quell’impronta di Armstrong cancellò gli smacchi dello Sputnik e, almeno per quella volta, la par condicio tecnologica fu rispettata in pieno.

Franco Gàbici

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Giornalista Professionista, pluriennale esperienza, anche di direzione, in quotidiani, periodici e case editrici di libri, profonda conoscenza del Web e di tutti i maggiori software (da QuarkxPress a Word, OpenOffice, Front Page, BBedit, Adobe PhotoShop, Adobe Acrobat, Scansoft Pdf Converter Professional, DNL, ReaderWorksPublisher, Transmit, Fetch, Eudora,  WinZip, WinRAR, StuffIt, ABBYY Fine Reader), in grado di operare professionalmente sia in ambiente Windows che Mac, utilizzando collegamenti FTP in ambedue le piattaforme,  mette a disposizione la sua competenza esperienza e professionalitˆ come content webmaster,  come coordinatore in remoto di team operativi per l'ideazione, lo sviluppo e l'aggiornamento di portali, come docente in corsi o master per la preparazione di professionisti della comunicazione online. Se interessati a questa figura professionale inviare una e-mail ad ed@simonel.com specificando nel Soggetto: Inserzione 4247A. Sarete direttamente contattati dall'interessato.

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).



 


Franco Gabici

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