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Ravenna, 31 Dicembre 2006 -

 
Fra "botti" di Capodanno e impiccagioni
 se n'è andato don Francesco Fuschini,
 un grande prete e un grande scrittore

   Siamo alla vigilia dell’ultima notte dell’anno e già nell’aria si odono gli audaci “botti” dei soliti idioti che avvertono impellente il bisogno di esternare al mondo intero la povertà della loro materia grigia.
   Poveracci, non ce la fanno a resistere. Devono proprio farlo. Hanno fato shopping nei negozi specializzati, magari portandosi appresso figli e nipotini affinché la "sana" tradizione dei “botti” di capodanno non abbia a spegnersi. E sono gli stessi che poi faranno ricorso alle cure dei sanitari per qualche dito sfracellato o per un occhio perso a causa di una maldestra gestione di questi stramaledetti “botti”.
   Il popolo italiano sta scalpitando. Arriva il 2007 e allora vai coi “botti”, squallide colonne sonore di tutti i passaggi annuali.
   Di questo costume, o malcostume che dir si voglia, si è preoccupata pure l’Enpa che, per chi non lo sapesse, è l’Ente nazionale per la protezione degli animali, che ha ammonito i padroni dei cani ad andarci piano con questi “botti” perché il rumore potrebbe indurre nelle loro bestiole traumi o turbe nervose tali da provocare comportamenti anomali. Il cane potrebbe scappar di casa e vagare nervoso per la strada causando incidenti. Insomma questi “botti” sono proprio un pericolo ma, a quanto pare, sembra che non se ne possa fare a meno.
   I cieli bigi e nebbiosi del 31 dicembre saranno illuminati dai “botti” per infondere allegria e cacciar tristezze. E se quella dei “botti” è tradizione antica quanto la stupidità umana, quella dei “babbi Natale” appesi alle finestre è l’ultima trovata balorda per dare un segno di colore alle feste natalizie.
   A me, dico la verità, quei bambocci vestiti di rosso e con in testa la cuffia col fiocco bianco, fanno una certa impressione e mi danno l’idea di gente che voglia entrare a tutti i costi in una casa che li ha respinti. Sono l’emblema di una festa che una volta veniva celebrata nell’intimo delle famiglie e che oggi, invece, non si riesce più a festeggiare. Ecco perché questi povero Babbi Natale se ne stanno fuori a prender freddo e sembra stiano scalando a fatica le facciate delle case.
   Fuori stanno scoppiando i “botti”, ma in questa sera c’è assai poco da festeggiare. Non credo, infatti, che il rumore dei botti sparati in cielo o dei tappi fatti saltare dalle bottiglie possano far dimenticare la visione di quel cappio di corda messo attorno al collo di un essere umano.
   Stasera l’umanità esce sconfitta e umiliata e il Natale coi suoi messaggi di pace sembra esser trascorso inutilmente. E dal momento che siamo sui registri delle tristezze ricordo ai miei lettori che alcuni giorni fa è morto don Francesco Fuschini, il prete scrittore che Giuseppe Prezzolini definì il più grande scrittore cattolico vivente. Parlai di lui due anni fa in occasione del suo novantesimo compleanno. La sua era una penna formidabile e la sua statura è da paragonare a quell’altro straordinario prete scrittore che fu don Cesare Angelini.
   Recentemente don Alessandro Pronzato gli ha dedicato un capitolo del suo “Stelle sul mio cammino” (Gribaudo) dove è tracciato un bel profilo del prete scrittore ma soprattutto dove è messo in evidenza l’affetto e la stima che si era saputo guadagnare presso i mangiapreti e gli anarchici, che costituivano la fetta più grassa dei suoi parrocchiani. Giovanissimo, fu mandato nel 1945 a reggere la parrocchia di Porto Fuori che aveva la canonica a ridosso della chiesa cantata da Dante (“la casa di nostra donna in sul lito Adriano”) e che conserva le spoglie di quel “Pietro Peccatore” immortalato dal poeta.
   L’arcivescovo, di fronte alle perplessità del giovane pretino, gli disse di andare tranquillo perché in quel luogo non c’era nulla da guastare: la gente non andava in chiesa e perfino la chiesa era stata distrutta dai bombardamenti. Dunque… Ma don Francesco riuscì comunque a far breccia nel cuore dei suoi anarchici. Una volta osò entrare, per la tradizionale benedizione di Sant’Antonio abate, in una grande stalla (qua da noi le chiamano “boarie”) dove, scrive don Francesco, “era difficile stabilire da che parte stessero le bestie”. Fu immediatamente un coriandolio di parolacce e di bestemmie che faceva concorrenza ai muggiti delle mucche.
   Ma ecco il miracolo. La voce dell’anarchico “Barù” si alza impetuosa per zittire quanti andavano sgranando rosari non propriamente dettati dalla liturgia con questo severo ammonimento: “Ai preti sputate in faccia fin che volete, ma a questo no. Ditene un’altra e vi taglio il collo col badile…”.
   Cose che succedono in questa fettaccia di terra (come direbbe Giovannino Guareschi) che è la Romagna, dove perfino gli anarchici vanno d’accordo coi preti. Don Francesco riposa ora nel piccolo cimitero di San Biagio d’Argenta, un paesino a ridosso delle valli di Comacchio. Riposa accanto a suo padre Giovanni che faceva il pescatore di frodo (di anguille) e a sua mamma Teresa che quando si vide recapitare dal figlio i primi compensi di un articolo pubblicato, intimò al figlio di renderli immediatamente perché, a suo dire, i soldi dovevano esser guadagnati col sudore della fronte e non stando comodamente seduti a scrivere.
   Sembrano storie di un mondo lontano come la Luna e invece sono storie dell’altro ieri. Storie che don Francesco raccontava coi suoi impareggiabili elzeviri che gli uscivano da una grossa penna di legno (era appartenuta all’amico Marino Moretti). Graffiava i fogli (che dovevano essere rigorosamente di colore giallo) con caratteri alti una spanna e il pennino garriva sulla pagina come una rondine felice di portare nel becco storie sempre nuove.
   Grazie don Francesco!

Franco Gàbici

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Giornalista Professionista, pluriennale esperienza, anche di direzione, in quotidiani, periodici e case editrici di libri, profonda conoscenza del Web e di tutti i maggiori software (da QuarkxPress a Word, OpenOffice, Front Page, BBedit, Adobe PhotoShop, Adobe Acrobat, Scansoft Pdf Converter Professional, DNL, ReaderWorksPublisher, Transmit, Fetch, Eudora,  WinZip, WinRAR, StuffIt, ABBYY Fine Reader), in grado di operare professionalmente sia in ambiente Windows che Mac, utilizzando collegamenti FTP in ambedue le piattaforme,  mette a disposizione la sua competenza esperienza e professionalità come content webmaster,  come coordinatore in remoto di team operativi per l'ideazione, lo sviluppo e l'aggiornamento di portali, come docente in corsi o master per la preparazione di professionisti della comunicazione online. Se interessati a questa figura professionale inviare una e-mail ad ed@simonel.com specificando nel Soggetto: Inserzione 4247A. Sarete direttamente contattati dall'interessato.

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

 


Franco Gabici

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