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Ravenna,
15 Novembre 2006
350 anni fa nasceva
Halley...
Non mi sembra che recentemente i “mass media” (sì, avete letto bene, “mass media”, e ciò va puntualizzato perché c’è tanta gente, giornalisti compresi, che continuano a definirli ridicolmente “mass midia”, confondendo il latino con l’inglese), dunque dicevo che non mi sembra che i “media” abbiano dato spazio ai 350 anni della nascita di Edmond Halley che, come è noto, ha appiccicato il suo nome alla cometa che poi è diventata grazie a lui la cometa più famosa del cielo.
Lo avrei fatto volentieri io stesso, sempre patologicamente attento alle date e agli anniversari, ma purtroppo le cose della vita mutano e dall’oggi al domani mi sono trovato escluso da uno spazio che per diversi anni avevo occupato scrivendo anche cose carine (mica lo dico io, sia chiaro, ma lo dicevano i lettori). Ma tant’’è , il mondo del giornalismo (più esattamente dei “collaboratori” giornalisti) è fatto così, oggi ci sei e domani sei un nulla, e in men che non si dica rotoli dall’altare del successo alla polvere dell’indifferenza, ma così è la vita. Mah.
Comunque ciò non toglie che sir Edmond Halley sia nato proprio 350 anni fa e l’avvenimento meritava qualche cenno. Halley, che si interessava di comete, ne aveva osservata una nel 1682 quando aveva 26 anni (Halley, si capisce, e non la cometa) e confrontandola con altre che erano transitate nel 1607 e nel 1531 disse stai a vedere che si tratta dello stesso oggetto che ritorna ogni 76 anni e dunque se la mia ipotesi è vera la cometa dovrà tornare anche nel 1758.
E la cometa, in effetti, transitò per i nostri cieli e ad avvisarla fu un contadino tedesco proprio la vigilia di Natale, ma Halley era già morto da sedici anni e non poté godersi la sua previsione. La comunità astronomica, però, gli fu riconoscente e chiamò la cometa con il suo nome.
L’ultima volta la Halley è passata fra il 1985 e il 1986, ma le condizioni furono pessime e fu un vero peccato perché era la prima volta che si affacciava sopra una umanità che poteva disporre di straordinarie strumentazioni per poterla osservare. Fu a malapena visibile ad occhio nudo e lasciò tutti con un palmo di naso. Le comete sono sempre state dispettose, se proprio volete saperlo. Ricordo che nell’anno scolastico 1961-62, ultimo anno di liceo, studiando la geografia astronomica apprendemmo che di lì a ventiquattro anni la cometa di Halley sarebbe apparsa di nuovo, ma all’epoca ventiquattro anni, per chi ne aveva sulle spalle diciotto o diciannove, erano spaventosamente lontani e poi non è che la cosa ci preoccupasse più tanto, essendo tutti i nostri pensieri concentrati sull’esame di maturità, che ai nostri tempi era veramente una cosa da far tremare sia le vene che i polsi e poi non ` che fossimo distratti da altri pensieri perché, a parte l’insegnante di matematica e fisica che era una bella donna di una quarantina d’anni, le altre insegnanti non sarebbero di certo state protagoniste di lezioni a luci rosse come è accaduto giorni fa in una scuola (e media inferiore, per giunta!).
Dunque la maturità innanzitutto!
Ricordo che le lezioni di scienze, come quelle di fisica, si svolgevano in due aule appositamente attrezzate, dove i banchi erano disposti a gradinate, proprio come allo stadio, e ricordo pure che mentre la professoressa esternava i suoi bla bla io guardavo spesso fuori dalla finestra per ammirare il passar delle stagioni attraverso la pigmentazione delle foglie, senza aver nessuna pretesa di ricordare “l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”, ma erano pur sempre considerazioni di un certo peso e magari velate da una sottile patina di malinconia perché pensavi che il periodo del liceo stava per terminare e che non ti saresti più alzato di buon’ora per correre a scuola dove ti attendevano i compagni, e soprattutto le compagne, tutte sistemate nei primi banchi e lugubramente chiuse dentro a grembiuli neri come se fossero dei preti e tutte intente a prendere appunti con la diligenza tipica delle ragazze mentre noi scarabocchiavamo i margini del libro, o furtivamente si dava una ripassata alla storia o alla filosofia per l’interrogazione dell’ora successiva oppure si leggeva la
Gazzetta dello Sport, esercizio non facile soprattutto quando si dovevano voltar le pagine.
Ma i pensieri del futuro erano lontani, come la cometa di Halley, che ripasserà nel 2061 e che non sarà più la stessa perché ad ogni passaggio attorno al Sole perde 20 tonnellate di materiali al secondo e considerando che attualmente la sua stazza è di circa 200 miliardi di tonnellate, fra 170 mila anni la cometa più famosa del mondo scomparirà dal cielo. Ma anche la Terra perde materiali. Scriveva James Joyce: “Funerali in tutto il mondo dovunque ogni minuto. Li scaricano giù a carrettate, a gran velocità. Migliaia all’ora.
Troppa gente a questo mondo”. E invece al mondo c’è posto per tutti e il nostro geoide, con il suo fardello di uomini, continuerà ad inanellare attorno al Sole le ellissi del suo disperato dolore. Questa immagine non è mia, ma del grande Carlo Emilio Gadda, del quale proprio in questo periodo cadeva il compleanno. Era nato a Milano il 14 novembre del 1893 e chissà, con il carattere che si trovava, se avrà mai festeggiato i compleanni. Io, comunque, lo ricordo con affetto.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
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