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Ravenna,
3 Novembre 2006
Halloween? Solo una
furbata...
A
me questa storia di Halloween non piace.
Non mi piace perché è una festa che non appartiene più alla nostra
gente e che oggi è stata riesumata dal consumismo imperante. Che
pacchia, ragazzi, piazzare proprio una festa a due mesi dal Natale per
vendere zucche, abiti da streghe e altra mercanzia. Poi, come si dice,
fai mente locale e ti accorgi che non c’è proprio niente sotto il sole
perché parlando con le persone dalla memoria lunga (con i “vecchi”,
tanto per capirci) ti accorgi che queste ti raccontano che da ragazzi si
divertivano a piazzare zucche vuote con dentro una candela accesa lungo
i fossi o sulle siepi con il semplice scopo di spaventare la poca gente
che frettolosamente all’imbrunire rincasava, perché a quei tempi non è
che si registrasse un gran traffico.
Dunque aveva ragione il filosofo Hegel quando affermava che “la
storia insegna che dalla storia non si impara nulla” e che tutto è un
“deja vu”, un rifriggere e un riciclare, un po’ come i programmi della
tivù, che gira e gira sono sempre gli stessi (a volte, purtroppo, anche
a livello di contenuti) e così anche questo Halloween è appartenuto alla
nostra tradizione anche se non si chiamava Halloween e probabilmente non
c’era nessun termine che lo definiva, macché “notte delle streghe”,
quella era la vigilia della festa di tutti i Santi alla quale sarebbe
succeduta quella dei morti, un appuntamento che ci metteva in condizione
di pensare a quelli che erano passati a miglior vita e che io associavo
alla calata al piano di zio Berto, che era il fratello di mio nonno. Lui
abitava in un paesino delle colline cesenati, un paesino dal nome
carino, Bacciolino, un paesaggio da Rio Bo, con la chiesa, il camposanto
e il respiro del fiume, un paesino sperduto dove la gente si spaccava la
schiena sulla terra e accudiva gli animali eppure in questo paesino è
nato un famoso latinista che risponde al nome di don Cesare Montalti
(1780-1840), che fu anche poeta, giacobino e cacciatore.
Racconta Gabriele Papi, in una cronaca del “Resto del Carlino”, che
un mattina, mentre celebrava la Messa nella chiesina di Bacciolino, una
chiesina che io ho avuto la fortuna di vedere prima che qualcuno (chissà
perché?) la demolisse per costruirne un’altra a un tiro di sasso, dunque
una mattina stava celebrando Messa quando a un certo punto sentì
rimbombare a fondo valle uno sparo. Don Montalti capì subito che quello
sparo veniva dal fucile del suo compare di caccia alla lepre che, quel
mattino, approfittando che il prete stava celebrando, si era messo la
doppietta a tracolla prima di lui. Ma l’anima del cacciatore è più forte
di quella del prete e così a don Montalti, fra un “oremus” e l’altro,
nel bel mezzo della celebrazione gli scappò detto, non in latino ma in
dialetto romagnolo, “Vigliac, t’am l’è fata!” (Vigliacco! Me l’hai
fatta!). Questo aneddoto sicuramente ci renderà il latino più simpatico.
Ecco, tutto questo mi ricorda il 2 novembre, con zio Berto che
scendeva al piano in bicicletta con due sporte di crisantemi e per
andare più veloce metteva sassi di fiume in fondo alla sporta. Lui aveva
una concezione della fisica tutta particolare e, se non ricordo male, le
leggi della meccanica che descrivono un corpo che rotola su un piano
inclinato definiscono la velocità alla fine del piano come la radice
quadrata del prodotto di “2” per “g” (la famosa accelerazione di gravità
il cui valore, nel sistema MKS, è 9.8 m/sec2) per “l” (lunghezza del
piano) per il “seno” dell’angolo di inclinazione il che vuol dire che se
fai rotolare un elefante (ammesso che un elefante possa farlo, si
capisce) e una palla da biliardo, i due arrivano in fondo con la stessa
velocità. Provare per credere. Ma la fisica è una cosa e le convinzioni
personali sono un’altra e così zio Berto aveva i suoi sassi di fiume
dentro alla sporta e correva felice sulla sua scassatissima bicicletta.
Cose che succedevano in un tempo remoto, quando i ragazzi mettevano
candele accese dentro alla zucche vuote per spaventare la gente. Poi la
tradizione è scomparsa, perché al passar del tempo ci si è accorti che
non era necessario preparare zucche vuote. I tempi moderni, infatti, ne
offrivano in quantità industriale. Bastava guardarsi attorno. C’è gente,
tuttavia, che ancora trova gusto a mettere candele dentro alle zucche.
Ma da gente che si appassiona alle “Isole dei famosi” cosa possiamo
pretendere? Stiamo vivendo tempi di “Apokolokyntosis”, una parolaccia
greca che significa “Zucchificazione” e con la quale Cassius Dio ha
voluto intitolare una satira di Seneca contro Claudio, volato in cielo e
trasformato in zucca, perché lo aveva esiliato (i copisti hanno definito
questa satira “Divi Claudi apotheosis per satyram” o “Ludus de morte
Claudii”). Non è, per caso, che Claudio avesse mandato il grande
filosofo in un’isola? E quest’isola non sarà stata, sempre per caso, una
specie di isola dei famosi? Ma allora è proprio vero che la storia si
ripete.
Franco Gàbici
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Buon Compleanno,ONLY YOU!
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon
Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).
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