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Ravenna, 20 Ottobre 2006

  Ricordate Coccinelle
 e quegli anni Cinquanta?

   E’ morta in questi giorni Coccinelle e subito il pensiero è volato indietro nel tempo, nel 1959, quando in mezzo alla selva selvaggia dei cantanti rock e pop americani cominciavano a farsi strada i cantanti nostrani, che per avere un po’ di credibilità si presentavano al pubblico con nomi americani. Gli Antoni diventarono Tony, le Elisabette si trasformarono in Betty e via discorrendo. Alcuni, però, rimasero fedeli alla tradizione e si presentarono con il loro nome, come Adriano Celentano ad esempio, altri invece adottarono pseudonimi così italiani che più italiani non si poteva proprio, come Peppino di Capri. E poi c’era gente che si presentava solamente con il soprannome, come Arrigo Riccardo Agosti che si faceva chiamare semplicemente “Ghigo”. E questo Ghigo era uscito nel 1959 con un rock intitolato “Coccinelle”, una canzonetta caruccia che aveva però il difetto di aver messo in musica la storia di Coccinelle, che non era il simpatico coleottero con le elitre rosse e a pallini neri, ma era lo “scandaloso” transessuale. L’unico “trans” che a quei tempi si poteva pronunciare senza arrossire, era la “transiberiana”, ma parlare di transessuali era una roba veramente dell’altro mondo.
  Ghigo, invece, amante della dissacrazione, uscì con questa canzone, probabilmente uno dei primi rock italiani, che prima di essere messo sul mercato stazionò per almeno due anni per timore degli strali della censura, che comunque colpirono inesorabilmente non appena il “45” fu lanciato. Ghigo si faceva accompagnare dagli “Arrabbiati”, un complesso che aveva formato con Giorgio Gaber. Questo per dare a Cesare quel che è di Cesare.
  Ecco, Coccinelle mi ricorda quegli anni lontani e soprattutto quel clima di pruderie che oggi i “moderni” stentano a capire e mentre da noi la censura lavorava a tutto vapore, nella mitica America le cose andavano meglio, perché nel 1957, grazie alla sponsorizzazione della Coca Cola, la canzone “Coccinelle” venne pubblicata e distribuita insieme a “Stazione rock”.
  E mentre attorno stanno cadendo le foglie, questi pensieri inducono tristi pensieri sul tempo che passa e che trascina via la moltitudine dei nostri giorni, come scriveva Joyce. “Ogni vita, dice Joyce, è una moltitudine di giorni, un giorno dopo l’altro”, già, “un giorno dopo l’altro” mi richiama una struggente canzone di Luigi Tenco, “un giorno dopo l’altro il tempo se ne va, le strade sempre uguali, le stesse case…”. Se ricordate era la sigla di chiusura delle indagini televisive del commissario Maigret interpretate da quello straordinario attore che fu Gino Cervi. Tenco la cantava in francese e forse era meglio così perché il testo era di una tristezza infinita, con affermazioni del tipo “domani sarà un giorno uguale a ieri” o “la speranza ormai è un’abitudine” oppure “la nave ha già lasciato il porto e dalla riva sembra un punto lontano, qualcuno anche questa sera torna deluso a casa piano piano”. Robe da lasciarti secco, davvero, ma che a quei tempi facevano parte della colonna sonora della vita, di quella moltitudine di giorni durante i quali, dice ancora Joyce, “noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini”, ma alla fine incontriamo sempre noi stessi. Il fatto è che non ce ne accorgiamo. Per questo viviamo tranquilli. Chi se ne accorge, invece, diventa nevrotico e si mette in sintonia con la vita. Diceva Gadda che chi non soffre in questa vita ha la sensibilità di un ippopotamo ed Ennio Flaiano era convinto che nessuno potesse sfuggire alla nevrosi e concludeva affermando che per vivere bene “non bisogna essere eccessivamente contemporanei”.
  Oppure, aggiungo io, piazzatevi davanti alla tivù e sorbitevi una puntata dell’Isola dei famosi. Sinceramente io pensavo che il programma non esistesse più e invece apprendo dai giornali che l’Isola esiste ancora e che una bestemmia in diretta ha dato dignità mediatica a questo capolavoro di trasmissione, scatenando anche il solito putiferio e le solite dichiarazioni. Il bestemmiatore è stato immediatamente espulso e Mario Landolfi, Presidente della Commissione di vigilanza della Rai, ha rilasciato questa saggissima dichiarazione:
  “E’ inutile espellere chi ha bestemmiato dall’Isola dei famosi. Occorre espellere l’Isola dei famosi dalla Rai”.
  Parole sante. Ma chi si prenderà la responsabilità di porre un freno a questo massiccio programma di instupidimento dell’italica gente? Ai posteri l’ardua sentenza.

Franco Gàbici

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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