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Ravenna, 13 Giugno 2006

 Ma, per fortuna,
 esistono ancora le lucciole

   Leggo sui giornali che non so mai quante migliaia di studenti sono sotto stress per via degli esami di maturità e che quasi tutti sono terrorizzati dalla terza prova.
    O tempora o mores!
   Ai tempi miei (che brutta frase, ma non me ne viene in mente un’altra altrettanto efficace) l’esame era una tortura vera e propria. Si iniziava col tema poi (parlo della maturità scientifica ovviamente) il giorno dopo la prova di matematica. Finite le prove scritte?
   Macché.
   Ad esse seguivano la versione dal latino all’italiano, la versione in lingua straniera (la mia era il tedesco) e, tanto per gradire, la prova scritta di disegno che consisteva nel disegnare il solito capitello con allegata una breve relazione di storia dell’arte. Tu chiamalo se vuoi… stress. Per questo motivo mi vien da sorridere quando sento oggi parlare di stress da esame.
   Oggi purtroppo si abusa di questo termine e in questo clima di campionato mondiale di calcio si sente dire che perfino i nostri baldi calciatori sono stressati e la cosa fa veramente ridere i polli. Gente che, mediamente, guadagna dieci milioni al giorno (ma ci sono pedatori che guadagnano molto di più), vale a dire cinque volte più di quanto guadagna un povero disgraziato, ha il coraggio di essere stressata?
   Mah, evidentemente non c’è limite all’assurdo. Eppure il mondo va così.
   Ma per fortuna esistono anche le cose belle, come quelle che ho visto ieri sera a casa di Paolo e Luisa, che hanno un giardino enorme proprio nel cuore della città e siccome in questo giardino non sono mai stati usati i diserbanti, l’ambiente è ideale per il proliferare delle lucciole. Le lucciole! Sono coleotteri della famiglia dei Lampiridi. Ippolito Nievo nel 1858 uscì con una raccolta di poesie intitolata “Le lucciole” e sembra che Carducci si sia ispirato a certi versi ippolitonieviani per comporre certe sue poesie. Cantava Giovanni Pascoli: “Lucciole vanno per i solchi bruni/e nella sera, con ansar di lampo,/cercano il grano nel deserto campo”… Le lucciole figurano anche nel dialogo leopardiano “Il Copernico” quando il Sole fa sapere all’”ora prima” che si è stufo di girare attorno alla terra e se i terrestri vorranno garantirsi l’illuminazione durante la notte, il Sole suggerisce di andare a caccia di lucciole o di quegli animaletti fosforescenti che una volta popolavano le nostre campagne. Una volta.
   Sì, proprio una volta e proprio utilizzando la scomparsa delle lucciole, Pier Paolo Pasolini in un famoso articolo apparso sul Corriere della Sera il primo febbraio del 1975 sferrava un duro attacco alla Dc servendosi proprio della metafora della scomparsa delle lucciole: “Nei primi anni Sessanta ­ scriveva Pasolini ­ a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulminante e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più…”.
   Bellissime anche le considerazioni di Curzio Malaparte quando parla del mese di giugno: “la notte fiumi di lucciole scorrevano dolcemente nel grano…” e che vi ho passato qualche “bollicina” fa. Le lucciole sono davvero uno spettacolo e quando cammini in mezzo a loro sembra proprio, come ha detto una volta Margherita Hack, di camminare dentro alla Via Lattea, quella Via Lattea che purtroppo l’inquinamento del progresso ha cancellato per sempre dai cieli della città. Per fortuna restano le lucciole, ma quella Via Lattea in mezzo all’erba è anche la triste metafora di un cielo stanco caduto a terra, in mezzo all’erba, che regala sensazioni ed emozioni in mezzo ai profumi della notte, intensi e profondi, come quello del tiglio che ieri sera sembrava profumare l’argento della luna in quel clima di favola suscitato dalla palpitante presenza delle lucciole. C’era anche una canzonetta, mi sembra la cantasse Joe Sentieri, che iniziava più o meno così: “quando i grilli cantano, quando volano le lucciole, quando il mondo è un incantesimo, io mi voglio innamorar”… e quel profumo di tiglio mi ha scaraventato molto indietro sulla spiaggia del tempo, quando dalle finestre di casa mia mi beavo della presenza ingombrante del tiglio di Chicchi, un ombrello immenso che in primavera sembrava quasi tingere l’aria col suo profumo che andava mescolandosi a quello del glicine che aveva i grappoli color del tramonto. Sotto al glicine ascoltavo “My dream” dei Platters e, vi assicuro, erano emozioni fortissime. Nel mio vecchio cortile, però, non c’erano le lucciole. Le lucciole palpitavano sui campi, poco fuori città. Adesso con il termine lucciole si indicano certe ragazze che stanno ai bordi della strada in cerca di clienti.
   Il progresso ha rovinato la poesia.

Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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Franco Gabici

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