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199 Ravenna, 13 Giugno 2006
Ma, per
fortuna, esistono ancora le lucciole
Leggo sui giornali che non so mai quante
migliaia di studenti sono sotto stress per via degli esami di maturità e
che quasi tutti sono terrorizzati dalla terza prova.
O tempora o mores!
Ai tempi miei (che brutta frase, ma non me ne viene in mente
un’altra altrettanto efficace) l’esame era una tortura vera e propria.
Si iniziava col tema poi (parlo della maturità scientifica ovviamente)
il giorno dopo la prova di matematica. Finite le prove scritte?
Macché.
Ad esse seguivano la versione dal latino all’italiano, la versione
in lingua straniera (la mia era il tedesco) e, tanto per gradire, la
prova scritta di disegno che consisteva nel disegnare il solito
capitello con allegata una breve relazione di storia dell’arte. Tu
chiamalo se vuoi… stress. Per questo motivo mi vien da sorridere quando
sento oggi parlare di stress da esame.
Oggi purtroppo si abusa di questo termine e in questo clima di
campionato mondiale di calcio si sente dire che perfino i nostri baldi
calciatori sono stressati e la cosa fa veramente ridere i polli. Gente
che, mediamente, guadagna dieci milioni al giorno (ma ci sono pedatori
che guadagnano molto di più), vale a dire cinque volte più di quanto
guadagna un povero disgraziato, ha il coraggio di essere stressata?
Mah, evidentemente non c’è limite all’assurdo. Eppure il mondo va
così.
Ma per fortuna esistono anche le cose belle, come quelle che ho
visto ieri sera a casa di Paolo e Luisa, che hanno un giardino enorme
proprio nel cuore della città e siccome in questo giardino non sono mai
stati usati i diserbanti, l’ambiente è ideale per il proliferare delle
lucciole. Le lucciole! Sono coleotteri della famiglia dei Lampiridi.
Ippolito Nievo nel 1858 uscì con una raccolta di poesie intitolata “Le
lucciole” e sembra che Carducci si sia ispirato a certi versi
ippolitonieviani per comporre certe sue poesie. Cantava Giovanni
Pascoli: “Lucciole vanno per i solchi bruni/e nella sera, con ansar di
lampo,/cercano il grano nel deserto campo”… Le lucciole figurano anche
nel dialogo leopardiano “Il Copernico” quando il Sole fa sapere all’”ora
prima” che si è stufo di girare attorno alla terra e se i terrestri
vorranno garantirsi l’illuminazione durante la notte, il Sole suggerisce
di andare a caccia di lucciole o di quegli animaletti fosforescenti che
una volta popolavano le nostre campagne. Una volta.
Sì, proprio una volta e proprio utilizzando la scomparsa delle
lucciole, Pier Paolo Pasolini in un famoso articolo apparso sul Corriere
della Sera il primo febbraio del 1975 sferrava un duro attacco alla Dc
servendosi proprio della metafora della scomparsa delle lucciole: “Nei
primi anni Sessanta scriveva Pasolini a causa dell’inquinamento
dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento
dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a
scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulminante e folgorante.
Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più…”.
Bellissime anche le considerazioni di Curzio Malaparte quando parla
del mese di giugno: “la notte fiumi di lucciole scorrevano dolcemente
nel grano…” e che vi ho passato qualche “bollicina” fa. Le lucciole sono
davvero uno spettacolo e quando cammini in mezzo a loro sembra proprio,
come ha detto una volta Margherita Hack, di camminare dentro alla Via
Lattea, quella Via Lattea che purtroppo l’inquinamento del progresso ha
cancellato per sempre dai cieli della città. Per fortuna restano le
lucciole, ma quella Via Lattea in mezzo all’erba è anche la triste
metafora di un cielo stanco caduto a terra, in mezzo all’erba, che
regala sensazioni ed emozioni in mezzo ai profumi della notte, intensi e
profondi, come quello del tiglio che ieri sera sembrava profumare
l’argento della luna in quel clima di favola suscitato dalla palpitante
presenza delle lucciole. C’era anche una canzonetta, mi sembra la
cantasse Joe Sentieri, che iniziava più o meno così: “quando i grilli
cantano, quando volano le lucciole, quando il mondo è un incantesimo, io
mi voglio innamorar”… e quel profumo di tiglio mi ha scaraventato molto
indietro sulla spiaggia del tempo, quando dalle finestre di casa mia mi
beavo della presenza ingombrante del tiglio di Chicchi, un ombrello
immenso che in primavera sembrava quasi tingere l’aria col suo profumo
che andava mescolandosi a quello del glicine che aveva i grappoli color
del tramonto. Sotto al glicine ascoltavo “My dream” dei Platters e, vi
assicuro, erano emozioni fortissime. Nel mio vecchio cortile, però, non
c’erano le lucciole. Le lucciole palpitavano sui campi, poco fuori
città. Adesso con il termine lucciole si indicano certe ragazze che
stanno ai bordi della strada in cerca di clienti.
Il progresso ha rovinato la poesia.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon
Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).
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