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Ravenna, 18 maggio 2006


 Fatevi affascinare
 dallo straordinario mistero di Hawking

  L’occasione era da non perdere e così quella mattina sono salito in macchina per andare a Padova perché l’ufficio stampa Essecì mi aveva comunicato che il 9 maggio il grande fisico Stephen Hawking avrebbe incontrato al palasport 4 mila giovani e verso la fine della mattina si sarebbe dato in pasto ai giornalisti. Pioveva e faceva freddo e il cielo pareva un sipario grigio calato sulla primavera. Arriva Hawking, sulla sua carrozzella e in sala scoppiano gli applausi. Credetemi, è stato un momento emozionante e coinvolgente.
  Avrò visto mille volte Hawking in fotografia, ho letto i suoi libri, alcuni li ho anche recensiti e poi già lo avevo visto in televisione ma vederlo lì, come materializzatosi per incanto, è stata tutt’un’altra cosa.
  Davvero. Sono stato attraversato da un lungo brivido e mi sono lasciato prendere dalla commozione. Non scherzo. E pensavo alle stranezze della vita. Mi trovavo, infatti, in un grande tempio dello sport dove la gente accorre per applaudire gli atleti, tutti pimpanti nelle loro divise sgargianti. Quel luogo, il Palasport, era il tempio del corpo, della sua prestanza e della sua efficienza. Chi non è sano non entri in questo rettangolo di linoleum. E invece in questo luogo dell’esaltazione del corpo e delle sue potenzialità arriva un messaggio forte da una carrozzella sulla quale è seduto (anzi rannicchiato) una delle persone più straordinarie del nostro tempo. Un uomo colpito da una malattia gravissima, che progressivamente lo ha inchiodato su una carrozzella togliendogli a poco a poco, secondo un perverso stillicidio, quasi tutte le sue facoltà. Gli ha tolto perfino l’uso della parola. Ma la tecnologia gli è venuta in aiuto fornendolo di uno strano marchingegno attraverso il quale riesce a parlare e a comunicare. E la cosa più straordinaria è pensare che Hawking siede sulla cattedra che fu di Newton e che oggi è considerato il vero erede di Einstein per le sue teorie sulla cosmologia.
  Sotto il fastidiosissimo lampeggiare dei flash dei fotografi Hawking ha risposto alle domande dei giornalisti (non ho capito cosa dovessero fotografare! Stephen era lì, immobile, davanti a loro, con la stessa espressione sul volto. Pensavo bastasse qualche foto e invece, macché, hanno scattato per mezz’ora… mah! Anche questi sono misteri), librandosi liberamente fra stelle, galassie e buchi neri.
  Grande lezione, questa di Hawking. Grande lezione soprattutto perché il nostro tempo ci ha inculcato il mito della efficienza del corpo. Quel corpo che deve essere trattato con le creme che fanno sparire le rughe, che lo abbronzano, che lo rendono elastico, morbido, soffice… Non parliamo poi dei corpi femminili e di tutti gli ingredienti che servono per renderlo sempre più affascinante. I messaggeri della pubblicità sono belli e pimpanti, ruspanti, aitanti e prestanti. Il difetto fisico e l’inefficienza devono essere assolutamente banditi dalla nostra vita.
  Poi succede il caso opposto. Gente, cioè, che sciupa e getta via il proprio corpo (e con esso la propria vita). In mezzo a questi estremi ci sta Hawking con la sua carrozzella e al di là delle teorie avanzate della cosmologia ci invia un messaggio fortissimo.
  L’uomo non deve identificarsi con il proprio corpo perché l’uomo non è il corpo. Dentro di noi c’è qualcosa di straordinariamente grande e questo qualcosa chiamiamolo come volete (anima, spirito, intelligenza, sentire…) ma è pur sempre qualcosa che ci lascia stupiti e allibiti. Incontrare Hawking significa toccare con mano la potenzialità dell’uomo, che non si lascia vincere dagli insulti della vita. Mi accorgo che sto scrivendo delle banalità, ma è difficile esprimere tutto quello che mi è passato nel cuore in quella mattina di maggio quando mi sono trovato di fronte a Hawking che osservava tutti con la stessa espressione immobile e quasi svogliata. Ma quella era la facciata perché oltre quella smorfia, che pareva quasi uno sberleffo alla vita e alle sue ingiustizie, brulicava tutto un mondo di misteri che ti affascinava e ti coinvolgeva. E pensavo, ad esempio, ad Hellen Keller, un nome che forse non dice nulla e se mai suscita qualche emozione è sicuramente legata alle famose “gemelle”, che però non c’entrano nulla. E invece Hellen, cieca e sorda, riuscì a vivere, a scrivere e a comunicare. Ne fecero anche un film, nel 1962, intitolato “Anna dei miracoli” (regia di Arthur Penn). Questi sì che sono film da vedere. E invece oggi, a quanto leggo, tutti fanno la fila ai botteghini per vedere “Il codice da Vinci”.
  Se vi interessa la mia opinione vi dirò che non ho letto il libro (ho molto di meglio da fare, come scrivere le Bollicine, ad esempio) e tanto meno andrò a vedere il film. E sarebbe molto bello se le sale in cui proiettano il film restassero deserte. Ma questa è fantascienza. Si dice che la gente sia attratta dalle cose misteriose. E allora, se proprio ci tenete, fatevi affascinare dallo straordinario mistero di Hawking!

Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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Franco Gabici

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