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196 Ravenna, 18 maggio 2006
Fatevi
affascinare dallo straordinario mistero di Hawking L’occasione
era da non perdere e così quella mattina sono salito in macchina per
andare a Padova perché l’ufficio stampa Essecì mi aveva comunicato che
il 9 maggio il grande fisico Stephen Hawking avrebbe incontrato al
palasport 4 mila giovani e verso la fine della mattina si sarebbe dato
in pasto ai giornalisti. Pioveva e faceva freddo e il cielo pareva un
sipario grigio calato sulla primavera. Arriva Hawking, sulla sua
carrozzella e in sala scoppiano gli applausi. Credetemi, è stato un
momento emozionante e coinvolgente.
Avrò visto mille volte Hawking in fotografia, ho letto i suoi libri,
alcuni li ho anche recensiti e poi già lo avevo visto in televisione ma
vederlo lì, come materializzatosi per incanto, è stata tutt’un’altra
cosa.
Davvero. Sono stato attraversato da un lungo brivido e mi sono lasciato
prendere dalla commozione. Non scherzo. E pensavo alle stranezze della
vita. Mi trovavo, infatti, in un grande tempio dello sport dove la gente
accorre per applaudire gli atleti, tutti pimpanti nelle loro divise
sgargianti. Quel luogo, il Palasport, era il tempio del corpo, della sua
prestanza e della sua efficienza. Chi non è sano non entri in questo
rettangolo di linoleum. E invece in questo luogo dell’esaltazione del
corpo e delle sue potenzialità arriva un messaggio forte da una
carrozzella sulla quale è seduto (anzi rannicchiato) una delle persone
più straordinarie del nostro tempo. Un uomo colpito da una malattia
gravissima, che progressivamente lo ha inchiodato su una carrozzella
togliendogli a poco a poco, secondo un perverso stillicidio, quasi tutte
le sue facoltà. Gli ha tolto perfino l’uso della parola. Ma la
tecnologia gli è venuta in aiuto fornendolo di uno strano marchingegno
attraverso il quale riesce a parlare e a comunicare. E la cosa più
straordinaria è pensare che Hawking siede sulla cattedra che fu di
Newton e che oggi è considerato il vero erede di Einstein per le sue
teorie sulla cosmologia.
Sotto il fastidiosissimo lampeggiare dei flash dei fotografi Hawking ha
risposto alle domande dei giornalisti (non ho capito cosa dovessero
fotografare! Stephen era lì, immobile, davanti a loro, con la stessa
espressione sul volto. Pensavo bastasse qualche foto e invece, macché,
hanno scattato per mezz’ora… mah! Anche questi sono misteri), librandosi
liberamente fra stelle, galassie e buchi neri.
Grande lezione, questa di Hawking. Grande lezione soprattutto perché il
nostro tempo ci ha inculcato il mito della efficienza del corpo. Quel
corpo che deve essere trattato con le creme che fanno sparire le rughe,
che lo abbronzano, che lo rendono elastico, morbido, soffice… Non
parliamo poi dei corpi femminili e di tutti gli ingredienti che servono
per renderlo sempre più affascinante. I messaggeri della pubblicità sono
belli e pimpanti, ruspanti, aitanti e prestanti. Il difetto fisico e
l’inefficienza devono essere assolutamente banditi dalla nostra vita.
Poi succede il caso opposto. Gente, cioè, che sciupa e getta via il
proprio corpo (e con esso la propria vita). In mezzo a questi estremi ci
sta Hawking con la sua carrozzella e al di là delle teorie avanzate
della cosmologia ci invia un messaggio fortissimo.
L’uomo non deve identificarsi con il proprio corpo perché l’uomo non è il
corpo. Dentro di noi c’è qualcosa di straordinariamente grande e questo
qualcosa chiamiamolo come volete (anima, spirito, intelligenza,
sentire…) ma è pur sempre qualcosa che ci lascia stupiti e allibiti.
Incontrare Hawking significa toccare con mano la potenzialità dell’uomo,
che non si lascia vincere dagli insulti della vita. Mi accorgo che sto
scrivendo delle banalità, ma è difficile esprimere tutto quello che mi è
passato nel cuore in quella mattina di maggio quando mi sono trovato di
fronte a Hawking che osservava tutti con la stessa espressione immobile
e quasi svogliata. Ma quella era la facciata perché oltre quella
smorfia, che pareva quasi uno sberleffo alla vita e alle sue
ingiustizie, brulicava tutto un mondo di misteri che ti affascinava e ti
coinvolgeva. E pensavo, ad esempio, ad Hellen Keller, un nome che forse
non dice nulla e se mai suscita qualche emozione è sicuramente legata
alle famose “gemelle”, che però non c’entrano nulla. E invece Hellen,
cieca e sorda, riuscì a vivere, a scrivere e a comunicare. Ne fecero
anche un film, nel 1962, intitolato “Anna dei miracoli” (regia di Arthur
Penn). Questi sì che sono film da vedere. E invece oggi, a quanto leggo,
tutti fanno la fila ai botteghini per vedere “Il codice da Vinci”.
Se vi interessa la mia opinione vi dirò che non ho letto il libro (ho
molto di meglio da fare, come scrivere le Bollicine, ad esempio) e tanto
meno andrò a vedere il film. E sarebbe molto bello se le sale in cui
proiettano il film restassero deserte. Ma questa è fantascienza. Si dice
che la gente sia attratta dalle cose misteriose. E allora, se proprio ci
tenete, fatevi affascinare dallo straordinario mistero di Hawking!
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon
Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).
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