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187 Ravenna, 17 gennaio 2006
...ed ecco le tredici regole di vita
di Benjamin Franklin
Qui da
noi, nella grassa Romagna, chiamano Sant’Antonio abate “Sant’Antonio dalla barba
bianca” e quella “barba bianca” è una evidente metafora della neve, che in
gennaio può sempre cadere in abbondanza. E in effetti questa mattina (17
gennaio) il santo abate ha voluto onorare la sua immagine regalandoci una bella
nevicata, di quelle che riescono ad imbiancare tutto quanto e che suscita
ricordi legati al tempo in cui si era ragazzini quando si stava con il naso
appiccicato ai vetri per vedere scendere la neve… “Lenta la neve fiocca, fiocca,
fiocca./Senti una zana dondola pian piano./Un bimbo piange, il picciol dito in
bocca…”, così si mandavano a memoria i versi di Pascoli, dolci e amari al tempo
stesso perché accanto al bambino non ci stava la madre ma “una vecchia, il mento
sulla mano”. La poesia infatti è intitolata “Orfano” e zampillava malinconia da
tutte le parti e poi quella strana parola usata per definire la culla
accresceva, chissà perché, il doloroso senso del mistero.
“Zana” è una di quelle parole che ti rimangono impresse nella mente, come
“paralisi”, “gnomone” e “simonia” poste da Joyce all’inizio dei suoi “Racconti
di Dublino”, che secondo alcuni sarebbero la cosa migliore uscita dalla penna
del dublinese, forse perché sono di più facile digeribilità rispetto alle pagine
robuste e indigeste dell’Ulisse… “Zana”, insomma, è una parola un po’ così, il
De Mauro la definisce “culla usata un tempo dai contadini, costituita da una
cesta posta su due supporti di legno convessi su cui può essere fatta
dondolare”, ma adesso non è che vogliamo parlare di “culle” e di “zane”, volevo
semplicemente ricordare questo antico clima di malandrina malinconia associata
alla neve che scende e che scende e che in particolare scende proprio nella
giornata dedicata a Sant’Antonio, patrono degli animali e giorno in cui
ricorrono anche i trecento anni della nascita di Benjamin Franklin, il grande
eclettico che sfugge a qualsiasi definizione.
Molti liquidano Franklin come l’inventore del parafulmine ma il mitico Benjamin
fu molto di più. Fu politico, giornalista, pedagogo, inventore, agente delle
colonie in Inghilterra, ministro plenipotenziario in Francia durante la
rivoluzione americana e poi, via, un tipo che finisce dritto dritto sulle
banconote da 100 dollari è sicuramente un benemerito e gli Usa infatti se ne
sono accorti. Lo hanno innalzato ad emblema dell’industriosità americana,
indiscusso simbolo del “self made man” e in effetti Franklin fu un uomo
eccezionale né è possibile liofilizzarlo dentro una bollicina ma di lì voglio
passarci le sue regole di vita, che sono tredici, numero fortunato che richiama
il Totocalcio ma anche il numero dei commensali che si deve assolutamente
evitare (e in effetti essere tredici a tavola porta male, specialmente se c’è da
mangiare solo per dodici!). Queste tredici regole sono elencate nella sua
“Autobiografia” e adesso ve le passo.
La prima (Temperanza) dice di “non mangiare fino alla fiacchezza” (evidentemente
non avevano ancora inventato l’Alka Seltzer!) e di “non bere fino
all’ubriachezza”.
La seconda regola dovremmo ricamarcela sul bavero perché parla del silenzio “Non
dire se non quello che è di beneficio agli altri o a te stesso. Evita
conversazioni senza importanza” (non avevano ancora inventato la televisione e i
suoi talk-shows!).
Il terzo e il quarto precetto hanno per oggetto l’Ordine e la Risolutezza “Dai a
tutte le cose il loro posto. Dai a ogni parte dei tuoi affari la loro parte di
tempo” e “Risolvi di fare quello che devi. Fai senza fallo quello che hai
deciso”.
Al quinto posto troviamo l’inno alla Frugalità “Non fare spese se non per fare
del bene agli altri o a te stesso, cioè non sprecare nulla” (ancora lontanissimi
i tempi della pubblicità e del consumismo).
Nella società del superfluo suona forse un po’ stonato il sesto precetto “Non
perdere tempo. Sii sempre occupato in qualcosa di utile. Elimina tutte le azioni
superflue”.
Il settimo e l’ottavo definiscono Sincerità e Giustizia “Non fare uso di inganni
dannosi. Pensa in modo innocente e giusto e, se parli, parla di conseguenza” e
“Non fare torto a nessuno commettendo ingiustizie o trascurando le buone azioni
che sono tuo dovere”.
Moderazione, Pulizia, Tranquillità e Castità sono oggetto gli ultimi precetti
“Evita gli estremi. Frenati dal risentirti dei torti come pensi meriterebbero”,
“Non tollerare alcuna sporcizia nel corpo, nel vestiario o in casa”, “Non farti
disturbare da cose senza importanza o da incidenti comuni o inevitabili” e
“Ricorri a Venere raramente e solo per mantenerti in salute o per procreare; mai
fino alla fiacchezza, debolezza o a danno della pace o reputazione tua o di un
altro”.
Chiude l’elenco dei consigli il tredicesimo, che è un invito a imitare Gesù e
Socrate.
Non è facile seguire alla lettera tutti e tredici questi consigli frankliniani,
ma se per caso qualcuno di voi riuscisse nell’impresa, attenzione, potrebbe
andar soggetto a fastidiosi mal di testa. Ma non preoccupatevi vuol dire
semplicemente che l’aureola vi sta un po’ stretta!
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
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