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178 Ravenna, 25 ottobre 2005
Basta con le stupidaggini
in Tv!
...e se invece dello
show di Celentano si trasmettesse una riflessione su Ortega y Gasset a
50 anni dalla morte?
Leggo una
intervista al pianista Pollini. Il giornalista lo incalza con questa
considerazione: “Una sua recente intervista, dove lei si scagliava contro la
tivù, era impaginata accanto a un articolo sull’Isola dei famosi…” e il grande
pianista risponde: “Cosa devo dire? La televisione è terribile e tutti le
corrono dietro. Mi dispiace dirlo, ma in questo Paese la volgarità trionfa. Se
si continua così, c’è poco da sperare”. Fine della suonata.
La volgarità
genera stupidaggini e insulsaggini e infatti fra Albani e Celentani non se ne
può davvero più e io mi chiedo come mai tutti i quotidiani abbiano dedicato
colonne e colonne sul programma di giovedì scorso e quotidianamente commenta le
avventure di questa isola, come se i destini dell’Italia dipendessero dalle
vicende sentimentali di Albano o dalle coliche moralistiche del Molleggiato. Se
io fossi nei responsabili della tivù sarei seriamente preoccupato perché tutto
questo bla bla sta in fondo a significare che il quoziente di intelligenza degli
italiani è veramente miserello o forse non sono affatto preoccupati, anzi,
propongono subdolamente (ma mica tanto) certi programmi atti a istupidire le
masse. E poi la dobbiamo piantare di associare la battaglia contro la
cementificazione a Celentano, perché prima del “Ragazzo della via Gluck” il
messaggio era stato lanciato da Gianni Meccia, quello del “Barattolo” e de “Il
pullover”, che nel 1962 aveva scritto una canzone dal titolo “Dove c’era una
volta” (era il lato B de “L’ultima lettera”) e la canzone iniziava così: “Dove
c’era una volta una panchina, dove allora mi sedevo con il mio amore, ora c’è un
palazzo grigio e tanta gente che va indifferente…”.
Dunque non c’è proprio
niente di nuovo sotto il Sole ed è proprio vero quanto cantava la buon’anima di
Endrigo che ne “Il dolce paese” diceva: “Noi siamo nati in un dolce paese, dove
chi sbaglia non paga le spese, dove chi grida più forte ha ragione…”. Per quel
che mi riguarda dirò che il programma del Molleggiato non ha fatto parte dei
miei svaghi serali, che ho preferito occupare con un po’ di calcio e con qualche
pensiero a Ortega y Gasset, sì, il pensatore e filosofo spagnolo che, guarda un
po’, è morto cinquant’anni fa nell’ottobre del 1955 e al quale mi sembra non
siano stati dedicati gli spazi e le attenzioni adeguate come un pensatore della
sua caratura avrebbe sicuramente meritato. Ma Ortega non è Celentano. Ad essere
sinceri non è che io sia un grande intenditore di filosofia, ma avendo il
pallino delle ricorrenze cerco di documentarmi su certi personaggi e vi assicuro
che questo Ortega è proprio in gamba. Di lui mi ha affascinato quel suo concetto
di uomo “work in progress”, dell’uomo che avverte dentro di non essere ancora
del tutto compiuto (non credo che Celentano invece lo pensi, lui crede di
essersi realizzato in toto e per questo motivo si sente in dovere di predicare
alle masse mentre forse farebbe meglio a studiare la grammatica italiana).
L’uomo di Ortega, dunque, è l’eterno pellegrino, come in fondo lo è anche Dante,
pellegrino del mondo per antonomasia. Molto interessanti anche le sue
considerazioni sulla scienza: “apprendiamo dagli errori, non abbiamo certezze, i
fatti scientifici sono nostre costruzioni. E le idee restano idee... Chi crede,
chi non dubita, non mette in moto l’angosciosa attività della conoscenza. Questa
nasce dal dubbio e mantiene sempre viva la forza che l’ha generata. L’uomo di
scienza deve continuamente tentare di dubitare delle proprie verità. Queste sono
verità della conoscenza, solo nella misura in cui resistono a ogni possibile
dubbio. Vivono quindi un conflitto permanente con lo scetticismo”. Qui
troviamo Cartesio ma anche Popper. Straordinario. E allora, massì, fatemelo
pensare (in fondo sognare non costa nulla), quanto sarebbe bello se giovedì
prossimo la signorina buonasera annunciasse che il programma di Celentano è
stato sospeso e in sostituzione sarà trasmessa una riflessione sul filosofo
Ortega y Gasset. Ma siamo nel campo della fantascienza, perché a nessuno verrà
mai in mente di orbare il telepopolo di questa conversazione da bar nella quale
buona parte degli italiani almeno una volta nella vita si è cimentata. Ma un
conto è discutere al bar e un conto è ascoltare un signore che parla dal pulpito
della televisione, perché la televisione sembra dar sapore alle banalità (“l’ho
sentito alla televisione”). E sul programma celentanesco si sono scambiati
pareri perfino i nostri politici, che in questo modo hanno avallato il
programma. A parer mio, avrebbero fatto meglio a non guardarlo e a pensare ad
altro. O forse no. E qui mi viene in mente un aneddoto legato a Giolitti. Un
giornalista gli chiese una volta: “Ministro, è difficile governare gli
italiani?”. Il ministro candidamente rispose: “No, è inutile”. E non stava di
certo pensando agli italiani che si stanno beando degli Albani e dei Celentani.
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Buon Compleanno,ONLY YOU!
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
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