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Ravenna, 25 ottobre 2005


Basta con le stupidaggini in Tv!
...e se invece dello show di Celentano si trasmettesse una riflessione
su Ortega y Gasset a 50 anni dalla morte?

  Leggo una intervista al pianista Pollini.
   Il giornalista lo incalza con questa considerazione: “Una sua recente intervista, dove lei si scagliava contro la tivù, era impaginata accanto a un articolo sull’Isola dei famosi…” e il grande pianista risponde: “Cosa devo dire? La televisione è terribile e tutti le corrono dietro. Mi dispiace dirlo, ma in questo Paese la volgarità trionfa. Se si continua così, c’è poco da sperare”.
   Fine della suonata.
   La volgarità genera stupidaggini e insulsaggini e infatti fra Albani e Celentani non se ne può davvero più e io mi chiedo come mai tutti i quotidiani abbiano dedicato colonne e colonne sul programma di giovedì scorso e quotidianamente commenta le avventure di questa isola, come se i destini dell’Italia dipendessero dalle vicende sentimentali di Albano o dalle coliche moralistiche del Molleggiato. Se io fossi nei responsabili della tivù sarei seriamente preoccupato perché tutto questo bla bla sta in fondo a significare che il quoziente di intelligenza degli italiani è veramente miserello o forse non sono affatto preoccupati, anzi, propongono subdolamente (ma mica tanto) certi programmi atti a istupidire le masse.
   E poi la dobbiamo piantare di associare la battaglia contro la cementificazione a Celentano, perché prima del “Ragazzo della via Gluck” il messaggio era stato lanciato da Gianni Meccia, quello del “Barattolo” e de “Il pullover”, che nel 1962 aveva scritto una canzone dal titolo “Dove c’era una volta” (era il lato B de “L’ultima lettera”) e la canzone iniziava così: “Dove c’era una volta una panchina, dove allora mi sedevo con il mio amore, ora c’è un palazzo grigio e tanta gente che va indifferente…”.
   Dunque non c’è proprio niente di nuovo sotto il Sole ed è proprio vero quanto cantava la buon’anima di Endrigo che ne “Il dolce paese” diceva: “Noi siamo nati in un dolce paese, dove chi sbaglia non paga le spese, dove chi grida più forte ha ragione…”.
   Per quel che mi riguarda dirò che il programma del Molleggiato non ha fatto parte dei miei svaghi serali, che ho preferito occupare con un po’ di calcio e con qualche pensiero a Ortega y Gasset, sì, il pensatore e filosofo spagnolo che, guarda un po’, è morto cinquant’anni fa nell’ottobre del 1955 e al quale mi sembra non siano stati dedicati gli spazi e le attenzioni adeguate come un pensatore della sua caratura avrebbe sicuramente meritato.
   Ma Ortega non è Celentano. Ad essere sinceri non è che io sia un grande intenditore di filosofia, ma avendo il pallino delle ricorrenze cerco di documentarmi su certi personaggi e vi assicuro che questo Ortega è proprio in gamba. Di lui mi ha affascinato quel suo concetto di uomo “work in progress”, dell’uomo che avverte dentro di non essere ancora del tutto compiuto (non credo che Celentano invece lo pensi, lui crede di essersi realizzato in toto e per questo motivo si sente in dovere di predicare alle masse mentre forse farebbe meglio a studiare la grammatica italiana).
   L’uomo di Ortega, dunque, è l’eterno pellegrino, come in fondo lo è anche Dante, pellegrino del mondo per antonomasia. Molto interessanti anche le sue considerazioni sulla scienza: “apprendiamo dagli errori, non abbiamo certezze, i fatti scientifici sono nostre costruzioni. E le idee restano idee... Chi crede, chi non dubita, non mette in moto l’angosciosa attività della conoscenza. Questa nasce dal dubbio e mantiene sempre viva la forza che l’ha generata. L’uomo di scienza deve continuamente tentare di dubitare delle proprie verità. Queste sono verità della conoscenza, solo nella misura in cui resistono a ogni possibile dubbio. Vivono quindi un conflitto permanente con lo scetticismo”. Qui troviamo Cartesio ma anche Popper. Straordinario. E allora, massì, fatemelo pensare (in fondo sognare non costa nulla), quanto sarebbe bello se giovedì prossimo la signorina buonasera annunciasse che il programma di Celentano è stato sospeso e in sostituzione sarà trasmessa una riflessione sul filosofo Ortega y Gasset.
   Ma siamo nel campo della fantascienza, perché a nessuno verrà mai in mente di orbare il telepopolo di questa conversazione da bar nella quale buona parte degli italiani almeno una volta nella vita si è cimentata. Ma un conto è discutere al bar e un conto è ascoltare un signore che parla dal pulpito della televisione, perché la televisione sembra dar sapore alle banalità (“l’ho sentito alla televisione”). E sul programma celentanesco si sono scambiati pareri perfino i nostri politici, che in questo modo hanno avallato il programma. A parer mio, avrebbero fatto meglio a non guardarlo e a pensare ad altro. O forse no. E qui mi viene in mente un aneddoto legato a Giolitti. Un giornalista gli chiese una volta: “Ministro, è difficile governare gli italiani?”. Il ministro candidamente rispose: “No, è inutile”. E non stava di certo pensando agli italiani che si stanno beando degli Albani e dei Celentani.

Franco Gàbici

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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Franco Gabici

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