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Verona,22 Gennaio 2024

Per quanto conviveremo con la spada di Damocle del picco del petrolio?

    Abbiamo costruito il mondo e organizzato le nostre esistenze permettendo che il petrolio diventasse di vitale importanza per ogni cosa che facciamo: il 90% di tutti i trasporti, terrestri, aerei o marittimi, utilizzano il petrolio; il 95% dei prodotti che troviamo nei negozi richiede l’utilizzo del petrolio; il 95% dei prodotti alimentari richiede l’utilizzo del petrolio. Per ogni bovino allevato e immesso nel mercato ci vogliono sei barili di petrolio, quanto basta per andare in auto da Napoli a Oslo. Al momento, il mondo consuma più di 102 milioni di barili di petrolio al giorno, oltre 37 miliardi di barili l’anno. Questa cifra sta salendo rapidamente (tranne le frenate per la crisi finanziaria 2008 e il Covid nel 2020), come già accade da decenni, e l’aspettativa generale prevede che continuerà a farlo nei prossimi anni. L’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), l’organizzazione istituita dai paesi sviluppati per questioni relative al petrolio e alle altre risorse energetiche, riporta dati impressionanti: L’Outlook del 2022 prevede entro il 2040 un consumo di 140 milioni di barili al giorno.
    ANCHE SE NON FOSSIMO ALLE PRESE CON IL CLIMATE CHANGE, ANCHE SE NON FOSSIMO CONVINTI SULLA NECESSITA’ DI SUPERARE L’ENERGIA FOSSILE, LA DOMANDA CHE DOVREBBE TOGLIERCI IL SONNO DOVREBBE ESSERE:
    QUANTO PETROLIO RIMANE NELLE RISERVE MONDIALI ESISTENTI E POTENZIALI?

    Il petrolio si forma solamente in poche zone ristrette del mondo dove si verificano condizioni particolari e comunque è una risorsa limitata. Fu scoperto per la prima volta negli Stati Uniti nel 1859 e alla fine dell’Ottocento iniziò l’estrazione dell’oro nero anche in Russia. I singoli giacimenti petroliferi seguono una curva produttiva ascendente, destinata a superare un “picco” quando la pressione cala per poi tracciare un arco rapidamente discendente della produzione fino all’esaurimento.
    Dal 2005 si va delineando uno scenario contraddittorio, un po’ paranoico, a proposito delle previsioni delle riserve mondiali di petrolio:
    i geologi che operano per le grandi compagnie petrolifere occidentali cominciano a prefigurare, ai ritmi di consumo attuale, un rapido esaurimento anche dei grandi giacimenti scoperti dopo il secondo dopoguerra, soprattutto nel Medio-Oriente; i geologi che operano per le compagnie degli Stati OPEC continuano, ogni decennio che passa, a modificare al rialzo i volumi “certificati” (da loro) delle riserve ancora disponibili.
    I più importanti geologi del mondo concordano, tuttavia, su un dato che ritengono incontrovertibile: “Sono occorsi centotrent’anni per consumare su scala globale i primi mille miliardi di barili di petrolio. Il prossimo migliaio di miliardi andrà esaurito in circa cinquant’anni”. Tutti gli scienziati, i politici, i governanti e i capitani d’industria dovrebbero, dunque, fare ogni sforzo per plasmare la prossima era energetica prima che, all’improvviso, il petrolio finisca provocando una catastrofe peggiore di una guerra mondiale.
    Dopo il primo traumatico embargo arabo del 1973 cominciò una rincorsa frenetica all’esplorazione, con pochi interessanti riscontri (Brasile, Messico, Angola, Nigeria) che, però, diedero fiato all’economia mondiale per più di trent’anni. Poi, ogni singola tecnica di “recupero assistito” inventata è stata applicata nei campi petroliferi più vecchi, non esauriti. Oggi, però, ci accorgiamo che il recupero assistito si è trasformato in un mostruoso catalizzatore dell’esaurimento del petrolio, sta cioè accelerando quello stesso problema che doveva invece risolvere. La produzione assistita usata oggi nei giacimenti più antichi in America e Russia e domani in quelli più giovani, non farà altro che rendere più ripida la curva discendente della produzione globale.
    QUANTO IMPIEGHEREMO AD ABBANDONARE PETROLIO, GAS E CARBONE?
    In linea teorica e stando agli impegni programmatici soprattutto di UE e USA dovremmo traguardare questo obiettivo tra il 2050 e il 2070.
    Le tecnologie rinnovabili sono il fulcro portante del Green Deal europeo e americano che è nato come risposta al cambiamento climatico ma affronta finalmente di petto anche “l’incubo del vuoto energetico” e inibiscono l’uso dell’energia come strumento contundente di aggressione sulla linea della guerra ibrida. E questo va ricordato a quanti, in Europa, a puro scopo propagandistico e identitario, stanno imbastendo una critica serrata, senza quartire, contro i governi orientati alla transizione eco-energetica.
    Quelli della transizione eco-energetica sono tecnologie genericamente solari, poiché quasi tutte sfruttano, in modo diretto o indiretto, la luce che investe la Terra. Il sole produce nell’atmosfera un riscaldamento differenziale da cui si genera il vento, che serve per azionare gli impianti a energia eolica. Il vento, a sua volta, genera le onde marine, necessarie per far funzionare i sistemi che sfruttano il moto ondoso. Il sole produce inoltre un riscaldamento differenziale nell’oceano, responsabile delle correnti, che sono essenziali per azionare le turbine marine, ed infine fondamentale per la fotosintesi, che è alla base del ciclo vitale delle piante, dalle quali si ricavano i combustibili. L’unica fonte rinnovabile non legata alla luce solare è l’energia prodotta dalle maree, che infatti dipende dall’azione gravitazionale della luna. Queste sono le uniche fonti non solo pulite ma da considerare “inesauribili”.
    Negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di stasi, i fautori del nucleare hanno cercato di dare nuova linfa a questa opzione. L’argomento più sostanzioso e convincente che portano avanti i nuclearisti è duplice: “Il nucleare moltiplica e stabilizza la produzione di energia elettrica in modo continuativo e senza emissioni di CO2”. In modo particolare, si punta non tanto sui processi di fissione quanto su quelli di fusione “il sole in bottiglia” (con forte riduzione del problema delle scorie) e si prevede di metterli in calendario entro il 2040.
    Coloro che si oppongono, non in termini ideologici si intende, al nucleare (soprattutto di fissione) e non credono al ritorno in auge di questa scelta, sollevano tre obiezioni:
    tempistica di realizzazione – elevato livello investimenti – pericolo terrorismo.

    Tommaso Basileo

























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