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Le prime tre pagine del thriller
«I Sette Occhi della Vita»
di Luciano Simonelli

Il romanzo è ora disponibile in edizione economica elettronica, in SeBook
in vendita in esclusiva su eBooksItalia

Fine di un mito

Febbraio 1993

 Sopra il catafalco coperto da un drappo di velluto rosso sangue, dentro la scura bara in mogano rischiarata dall’imbottitura grigio perla e dal luccichio delle maniglie dorate, il corpo di Samuel Jonathan Randchroft pareva come galleggiare, adagiato su un letto di petali delle sue adorate rose bianche. Lui, il fondatore della più fortunata impresa editoriale del Regno Unito, alla testa di un impero industriale che in quasi cinquant’anni aveva piantato solide radici in altri ventidue Paesi, dieci ore prima aveva dovuto improvvisamente scrivere la parola fine sulla storia di un’esistenza che stava per varcare la soglia degli ottantanove anni. E ora, nel salone d’ingresso del Randchroft Building, al numero diciassette di Fleet Street a Londra, accoglieva fasciato nel solito doppiopetto antracite, con camicia rigorosamente bianca e cravatta regimental rossa e blu, l’interminabile processione di dipendenti, autorità, amici e nemici che non volevano perdere l’occasione di vederlo finalmente domato, annientato, tornato a essere un uomo come tutti gli altri uomini. Di vederlo morto stecchito, insomma.
 Ma Samuel Jonathan Randchroft riusciva ancora a infondere un senso d’inquietudine in chi lo guardava. Era per quell’accenno di sorriso dipinto sul suo volto, era per il rosato della pelle che pareva il colorito di chi gode di ottima salute, era, soprattutto, per quei soliti occhiali scuri che anche nella bara come nella vita continuavano a nascondergli gli occhi.
 Se fosse stato un altro degli atroci scherzi che Samuel si era più volte divertito a fare nell’arco della sua lunga vita? Se invece di essere morto il vecchio, terribile e dispotico Samuel avesse fatto finta? Se dietro le lenti scure i suoi occhietti fossero stati intenti a godersi quello spettacolo di volti atteggiati in espressioni di formale cordoglio?
 Fu un americano, un uomo basso e grassottello, che non resistette alla tentazione. Fu proprio lui che, passando, gli tolse gli occhiali e poi glieli inforcò di nuovo con due movimenti tanto rapidi quanto precisi. E, curiosamente, nessuno dei presenti si scompose. Curiosamente, tutti non esitarono a lanciare un’occhiata. Anzi, si percepì come un generale respiro di sollievo alla vista che gli occhi erano ben chiusi, che lui era morto davvero.
 «Sempre molto prudente, mister Jeremy...» commentò David Seymour Randchroft, il quarantacinquenne figlio unico del defunto che stazionava sulla sinistra, ai piedi della bara, con accanto, sedute, la moglie Sarah e la madre Rebecca.
 «Sai caro» replicò l’altro sfilandogli davanti, «io conoscevo fin troppo bene Samuel...» E non potè aggiungere altro, se non un furbo sorrisetto, incalzato dalle molte persone che, come lui, erano venute a dare l’estremo saluto al grande vecchio.
 Mentre, meccanicamente, continuava a stringere mani e a fingere di ascoltare parole di finto dolore, David Seymour Randchroft seguì con lo sguardo Jeffrey Jeremy che si allontanava verso l’uscita del palazzo. Lo guardava e pensava che quell’ometto, al quale a prima vista non avresti dato neppure un penny, che pareva tutto fuorché uno dei più grossi banchieri americani con quel suo eterno fiocchino giallo a pallini blu, la camicia non stiro e il vestito spiegazzato, avrebbe potuto essergli molto utile. Proprio come lo era anche stazionare lì, accanto alla bara del padre, prendere consapevolezza, attimo dopo attimo, che ora era lui il padrone di tutto. Ma solo quando lo spettacolo delle condoglianze sarebbe finito, quando quella lussuosa bara sarebbe stata tumulata dentro la tomba di famiglia, soltanto allora si sarebbe sentito finalmente, pienamente e definitivamente liberato da una presenza che aveva fin troppo avvelenato i quarantacinque anni della sua esistenza.
 Il defunto Samuel aveva saputo conquistarsi, giorno dopo giorno, l’eterno odio dell’unico figlio. David non ricordava una volta in cui il padre non avesse perduto l’occasione di umiliarlo, di rimproverarlo, di dargli la misura tangibile di quanto fosse scarsa la fiducia che nutriva per lui, di quanto lo considerasse troppo superficiale, sciocco, privo di doti manageriali, capace soltanto di sperperare soldi nella sua passione per gli aerei e con le belle donne.
 E da quale pulpito veniva la predica!
 David sapeva benissimo delle follie di cui Samuel fosse sempre stato capace per correre dietro a un paio di belle gambe e di gigantesche tette. Sapeva anche che c’era nella Randchroft addirittura un alto dirigente con l’unico compito di procurare a lui, al Presidente, donne con quei due fondamentali attributi. Sapeva pure che Rebecca, sua madre, era al corrente di tutto. Ma fingeva di ignorare ogni cosa.
 Già, c’era anche la cara mammina... David le lanciò un’occhiata mentre proseguiva il flusso di quella folla di gente apparentemente addolorata. In un completo rigorosamente nero, compreso il cappellino con veletta, costituiva l’immagine perfetta della vedova dolente. I settanta anni le avevano rinsecchito il volto asciutto che un sapiente trucco rendeva d’un pallore capace di risaltare dietro il sipario scuro della veletta. Gli occhi azzurrissimi riuscivano invece a emanare ancora scintille di vivacità certamente più consuete per una giovinetta che per una donna della sua età. Ed erano l’unico indizio di vita in quella signora così immobile sulla sedia, di fronte alla quale tutti sfilavano chinando leggermente la testa in segno di deferenza.
 Guardandola, David non riuscì a trattenere un leggero sorriso. Era l’amaro sorriso di un figlio che aveva perfino sospettato che non fosse davvero lei sua madre, tanto l’aveva sentita sempre fredda, distante. Per quanto cercasse di scavare nella propria memoria non ricordava una volta in cui lo avesse abbracciato, carezzato, gli avesse dato un bacio. Ricordava invece uno stuolo di cameriere e di governanti. Loro sì che lo avevano coccolato e anche un po’ viziato: Bertha, Agatha, Joan... Quest’ultima, a quindici anni, gli aveva fatto persino scoprire che cosa fosse l’amore. Cara, dolce e graziosa Joan... Profumava di latte, ricordò.
 Lo riscosse il fastidioso rumore di una sedia che si spostava bruscamente. Girò la testa alla sua sinistra e vide che Sarah, la moglie, si era alzata di scatto.
 «Io sono stufa, me ne vado» gli annunciò a bassa voce prima ancora che lui potesse lanciarle uno sguardo interrogativo. Non attese neppure una sua risposta per cominciare a dirigersi verso l’uscita, né degnò d’uno sguardo la suocera passandole davanti.
 La magra, alta, sofisticata e affascinante Sarah, dai lunghi e lisci capelli biondo cenere, gli occhi grigi da gatta, il naso stretto e labbra sottili, fendette la folla dei dolenti visitatori incedendo sicura e distaccata con il suo passo da mannequin. Anche lei era vestita di nero. Ma il suo completo urlava vita anziché morte. Era per via di quella scollatura che, a quarantacinque anni, prometteva un seno ancora florido quanto generoso; per il rosso fuoco con cui aveva dipinto le labbra; per la civetteria di una spilla che con oro diamanti, zaffiri, smeraldi, topazi, rubini e una minuscola perla nera era la preziosa riproduzione di un tucano regalatale recentemente dal vecchio Samuel.
 David Seymour Randchroft riuscì a celare a fatica tutto il proprio disappunto. I diciotto anni di quel suo matrimonio, che stava ormai rotolando verso un’inevitabile conclusione, gli avevano però insegnato che Sarah non compiva mai casualmente gesti plateali come quello. Allora si guardò istintivamente intorno. E gli bastò incrociare lo sguardo di due grandi occhi scurissimi per capire subito tutto. La alta, giunonica, Veronica Borlenghi, un’esplosione di fascino mediterraneo con la cascata dei lunghi capelli neri, era anche lei fra la folla dei tanti venuti a dare l’ultimo saluto a suo padre. La carezzò con lo sguardo mentre sfilava compunta vicino alla bara, con lo stesso affascinato sguardo con cui già da un paio di mesi cercava di far breccia nel cuore di questa trentottenne giornalista italiana tanto brava e bella quanto sfuggente.
 Magari fosse andata come evidentemente credevano i solerti informatori di sua moglie, rimuginava. Magari...

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