I "Desaparecidos" della Letteratura

di Ermanno Bartoli  n.24
Autori Introvabili o quasi


 

WILLIAM LISLE BOWLES
(1762 - 1850)
- un poeta del Romanticismo inglese -

"IL FASCINO DEL MINUSCOLO"

«Non sempre per essere grandi occorre scrivere enormi cose».

 

Com'è dolce il rintocco delle campane! Quando allo schiudersi del mattino il vento sospira sul senso tremante di un male vago, come ora io sento la loro forza trafiggermi. Ascolta: rintoccano con cadenza calante; diffondono la loro musica lontano per la marea candida e uniforme. Mi richiamano molti ricordi e dolci di giornate estive, e di quegli anni lieti, quando da un'antica torre, nella primavera della vita, la triste magia delle note che si intrecciano per la prima volta destò la mia infanzia attonita alle lacrime. Le stesse note che ora, con tutti quei giorni trascorsi, sembrano suoni di gioia, ascoltati una volta e non più uditi.
Se questo non è un grande!
Eppure... William Lisle Bowles (1762 - 1850) deve la sua notorietà poetica quasi esclusivamente ai «Fourteen Sonnets» un'esile raccolta composta, per l'appunto, di quattordici sonetti e che apparve nel 1789. Una raccolta che, dopo molti anni, ridava al sonetto freschezza ed un'eleganza non artificiosa: Southey e Coleridge, da giovani, ne rimasero affascinati.
Non a caso, Bowles è stato definito «la candela che accese il fuoco di Coleridge». L'autore di "Kubla Khan" e de "La ballata del vecchio marinaio" ne trasse l'essenza poetica d'alto respiro che, priva di quella artificiosità che poi avrebbe condizionato diversi poeti a venire, l'avrebbe spronato alla ricerca di quella personale via al poema che ebbe in Coleridge stesso uno dei massimi esponenti di tutti i tempi.
Il tempo ha in parte mitigato la portata "rivoluzionaria" della poesia di Bowles; considerando anche il fatto che, dopo quei sonetti, l'autore non scrisse in pratica più nulla di rilevante. Storico rimane un commento dell'allora giovane Byron tendente a sminuire la portata lirica di questo "poco produttivo" poeta...
Stroncatura che, visto il cinismo cui sottende, («Attieniti ai tuoi sonetti, Bowles: almeno quelli pagano») lascia proprio tutto il tempo che trova.
Nello scritto di Ostenda, mi sento invece di affermare che si trova molto del sogno della fanciullezza e della gioventù in cui molti di noi si possono (mettendo pure alcune vene romantiche a parte) propriamente riconoscere. Pare quasi di presagirvi, in senso mirabile e mirato, canti di autori più famosi e recenti: Leopardi e Pascoli per l'Italia... e tutta una schiera di autori inglesi, dallo stesso Byron in poi a seguire; fin giù all'americanissimo Longfellow. Riconoscersi in certi moti sinceri non è difficile. E la poesia di Bowles non è grande in quanto tale, ma in quanto "secondo natura". Tale caratteristica non è difficile riscontrarla nei brevi stralci seguenti, presi da altre poesie...
"O tempo! Che sai posare una mano clemente con grande tenerezza sulla ferita del dolore, e poi lentamente cullando il sentimento stanco sottrai furtivo la fitta soffocante..."
(da «Influenza del tempo sul dolore»)
"... Ma se, come me, avessero saputo quanto futili sono i pensieri che s'illudono di richiamare il passato, presto avrebbero spento i moti del cuore per affrontare rabbiosi venti e mute onde, ed eleggere il mondo a loro Patria e Dio a guida."
(da «Le scogliere di Dover»)
Ecco che non è necessario scrivere caterve di pagine; essere dei Wilbur Smith della parola e del tomo, per essere grandi. Molto più in qua nel tempo, troviamo un cantautore genovese che scrisse qualcosa che per raffronto fa vibrare le medesime corde. Si chiamava Luigi Tenco... un cantautore che, al di là di quanto ognuno di noi possa ragionare sulla prematura sua fine, scrisse alcune delle pagine più belle della letteratura moderna.
Voglio qui ricordarne una; la più similiante all'opera di Bowles:
"Tu, fatina che non vidi mai tu sei stata Regina del regno che un giorno sognai; e tu mio caro, vecchio albero, tu sei stato il castello di un regno e neppure lo sai"...
E' proprio vero. Non è necessario scrivere tanto. Per toccare certe corde non servono fiumi d'inchiostro. William Lisle Bowles, pregiandosi di ciò, non se n'è servito.


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I "Desaparecidos" della Letteratura
di Ermanno Bartoli  n.24