I "Desaparecidos" della Letteratura

di Ermanno Bartoli  n.23
Autori Introvabili o quasi


 

GIUSEPPE MAZZINI
(Genova 1805 - Pisa 1872)

"STRANIERO IN TERRA STRANIERA"

«Noi italiani abbiamo spesso una brutta abitudine:
quella di osannare e venerare i "nani"
vergognandoci nello stesso tempo dei nostri giganti». Beppe Grillo

Entrare in una libreria e chiedere, con quello spirito indipendente che sottende a certe ricerche, un testo di Giuseppe Mazzini equivale quasi sempre a farsi sogghignare in faccia; ecco perché, anziché usare la più frequente definizione che vien data di lui di "Esule in Patria", ho preferito la più secca "Straniero in terra straniera"... Poiché Mazzini nacque italiano, visse perlopiù esule e morì, a casa sua, quale straniero, sotto il falso nome di Dottor Brown.
Il pensatore e, fin dove poté, artefice de "La giovine Italia" ebbe una vita travagliata e ostacolata oltre ogni immaginazione: esule in Francia, poi in Inghilterra, fece fugaci e a tratti acclamate riapparizioni. Ma qui voglio, più che come uomo politico, ricordarlo quale fine pensatore e, altrettanto fine e a tratti brusco, scrittore... Certe sue dispute coi primi socialisti inglesi sono rimasti nella storia del pensiero moderno, e fanno del pensiero di Mazzini quello che, forse senza esagerare, la critica anglosassone esaltò come "la più alta lezione morale, meditazione spirituale dell'Ottocento e di tutta l'età romantica. Perciò, mi limito a riproporre qui alcuni brani tratti dall'opera sua forse più incisiva: "Dei doveri dell'uomo"; opera che si apre con l'accusa esplicita ai due grandi nemici sulla via della costruzione di un mondo più unito e felice: il Machiavellismo e il Materialismo.
«Posso errare, ma non di core. Posso ingannarmi, non ingannarvi... Predicate il Dovere ai vostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine fanno monopolio dei beni che spettano a tutti... Tutte le scuole rivoluzionarie predicarono all'uomo che egli è nato per la felicità, che ha diritto di ricercarla con tutti i suoi mezzi, che nessuno ha diritto d'impedirlo in questa ricerca, e che egli ha quello di rovesciare gli ostacoli incontrati sul suo cammino. E gli ostacoli furono rovesciati: la libertà fu conquistata; durò per anni in molti paesi; in alcuni ancor dura. La condizione del popolo ha migliorato? I milioni che vivono alla giornata sul lavoro delle loro braccia, hanno forse acquistato una menoma parte del ben essere sperato, promesso? No; la condizione del popolo non ha migliorato; ha peggiorato anzi e peggiora in quasi tutti i paesi, e specialmente qui dov'io scrivo [l'Inghilterra dove Mazzini si trovava esule: nota del curatore], il prezzo delle cose necessarie alla vita è andato progressivamente aumentando, il salario dell'operaio in molti rami d'attività progressivamente diminuendo, e la popolazione moltiplicando. In quasi tutti i paesi, la sorte degli uomini di lavoro è diventata più incerta, più precaria. Eccovi, in lui (cita Lamennais con l'opera "Parole d'un credente") e negli uomini de' quali ho parlato, rappresentata la differenza tra gli uomini dei diritti e quei del Dovere. Ai primi la conquista dei loro diritti individuali, togliendo ogni stimolo perché s'arrestino: il lavoro dei secondi non s'arresta qui in terra che colla vita... I diritti appartengono eguali ad ogni individuo: la convivenza sociale non può crearne uno solo» .
Non è splendido? E poi, tanto per gradire a quelli che pensano che "chi pensa" non vede mai vicino... Sentite cosa dice sul lavoro minorile; usa il bisturi, un secolo fa, laddove oggi molti che lo definiscono un sorpassato o non lo conoscono neppure, ci fanno i ricamini di fumo:
«Molti fra voi sono costretti dalla miseria a separare i fanciulli, non diremo dalle cure - quali cure d'educazione possono dare ai figli le povere mogli degli operai? - ma dall'amore e dallo sguardo delle madri, cacciandoli, per alcuni soldi, ai lavori nocivi delle manifatture».
E coi suoi scritti finisco qui. Anche se non è tutto; anzi è pochino. Giuseppe Mazzini è quanto di più adatto a dare l'esatta misura di prova che i più trascurati e censurati tra gli autori di un popolo non sono tali in quanto inferiori ad altri, ma in quanto incutono paura; una paura che, in quanto creata da individui che non si danno, né danno limiti alle naturali potenzialità umane... rende il potere, con tutti i suoi acritici galoppini d'occasione, una frasca tremebonda in balìa della storia effettiva, delle ingiurie del tempo; del ridicolo. Come altrimenti definire, se non con quest'ultima parola, la pretesa di certi acculturati dell'ultima ora di scaraventare il Sig. Giuseppe Mazzini all'inferno in compagnia dell'amico Garibaldi?
Per  concludere. Di Mazzini posseggo due testi: "Pensieri sulla democrazia in Europa" - ed. Feltrinelli, traduzione e cura di Salvo Mastellone (sì, avete letto bene: "traduzione" - è dall'originale inglese) e "Dei doveri dell'uomo", per la stampa di un piccolo editore di Roma: Carlo Mancosu. Da quest'ultimo, per l'introduzione pregevole di Plinio Perilli che lo accomuna ad un altro grande del pensiero dell'epoca, estraggo quanto segue... «Ma quei cari studenti di fine ottocento cui lo stesso Pascoli spiegava Dante o leggeva forse le sue "Myricae", già studiavano sui loro sudati e annotati libri scolastici che il 10 marzo 1872, a Pisa, straniero in Patria e ospite clandestino di Giannetta Nathan Rosselli, era morto Giuseppe Mazzini, sotto il falso nome inglese di Dott. Brown».


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di Ermanno Bartoli  n.23