I "Desaparecidos" della Letteratura

di Ermanno Bartoli  n.15
Autori Introvabili o quasi


 

CARTER REVARD "ROSSO OSAGE"

Immaginate una sala non grande in un centro culturale qualsiasi di una qualsiasi provincia padana. Immaginate un gruppetto di un centinaio di persone che attende l'inizio dell'incontro con un poeta Nativo Americano di passaggio da quelle parti. Adesso immaginate una ventina di quelle persone che parlottano tra loro, messe intorno al tavolo degli interventi. Poi immaginate un ragazzotto dall'aria sveglia che indossa un giubbetto di quelli che ricordano la tradizione dei pellerossa, e che abbia intorno al collo una catena d'argento con un dream catcher... Adesso visualizzate un tizio che si avvicina al sottoscritto e, indicando il giovanotto, domanda: «Scusi, è quello Carter Revard il poeta indiano?» E per ultimo vedete il sottoscritto che, guardatosi un po' intorno, senza aver mai visto Revard dice: «No. Credo che sia quello là.»... e indica un signore di mezz'età che indossa jeans e una camicia a scacchi bianchi e azzurri. Beh... beccato.
Carter Revard non ha nulla dell'aspetto che ci si potrebbe aspettare: niente collane, giubbetti, né tantomeno cimieri piumati. Carter Revard è quello che ho detto prima: un uomo di mezz'età, vestito normalmente e con un po' di pancetta che deborda dalla cintura dei jeans. Ha i capelli bianchi, due occhiali da presbite appesi al collo e un apparecchietto in nocciola traslucido in un orecchio; segno di una certa sordità. Quando tutti sono seduti si presenta.
Aiutati dalla traduzione, veniamo a sapere che è di discendenza Osage, da padre di madre, e Ponca, da parte di nonna paterna. Dice di far parte di una tribù relativamente fortunata e benestante. «Abbiamo avuto la fortuna di abitare su un suolo ricco di petrolio che i bianchi hanno estratto senza pretendere per questo di sradicarci dalla nostra terra. Ci sentiamo un po' dei privilegiati, diversamente dai nostri fratelli Ponca che sono costretti a vivere con molto meno.»
Poi prende a leggere alcune sue cose. Ecco alcuni stralci.
«Solo gli uccelli umili, che hanno dato il loro corpo affinché una piccola ragazza possa vivere fino a raggiungere la vecchiaia. Li ho chiamati qui per inserirli nel canto che creò i loro corpi arcobaleno molto prima che venissimo sulla terra, che imparando canto e volo divennero esseri per i quali il cielo infinito e l'oceano senza strade sono un sentiero per nascere: ora essi canteranno e noi danziamo con essi, qui.» (da: "Danzando con i dinosauri")
"Perché canta il Coyote"
«C'era un piccolo ruscello, vicino alla tana, ridotto a un rivolo, quell'arida estate in cui nacqui. Una notte di fine agosto iniziò a piovere; il Tuono ci svegliò. Gocce precipitavano rumorosamente sulla terra riarsa, sulle dense foglie di quercia, sulle rocce cariche di lichene, e la pioggia scendeva dalla collina tumultuosa e picchiettante, il vento bagnandosoffiava nalla tana; sentivo il gocciolio delle foglie, l'umido fruscio di rami fradici battuti da raffiche di vento. E poi - il canto del ruscello mutò: sentii cadere una pietra si formarono nuove increspature con gorgoglii dalle tonalità più basse. Là alle nuove increspature bevvi, il mattino seguente, fresca acqua limacciosa che mi fece battere i denti. Pensai quanto fosse fragile l'equilibrio di quella pietra: la tempesta creò musica, dopo di che il mio mondo cambiò.»
Quando Carter Revard ha finito, ci si alza... alcuni escono, altri si mettono a conversare tra loro... altri ancora, tra cui il sottoscritto, si mette a parlare con lui. Ne viene fuori un personaggio gradevolissimo e dolce, intriso di quel romanticismo di cui i Nativi d'America vanno fieri; un personaggio che, nell'aspetto, ricorda più un tipo alla Mattlock (l'avvocato della celebre serie TV) che non un guerriero secondo copione... ma lo spirito c'è tutto. Parla del suo popolo, accenna ancora una volta al fatto che vengono definiti da più parti "quelli del petrolio". Parla delle miserie che circondano un po' tutto il popolo rosso, e dell'orgoglio della propria identità.
Ben presto rimaniamo in quattro: Carter, sua moglie, mia moglie ed io. Accenna al fatto che sarebbe partito per Roma dove, insieme ad una delegazione di rappresentanti indiani, avrebbe incontrato il Papa per consegnargli un messaggio sulla sempre più difficile e precaria situazione delle riserve. A tratti ci accorgiamo che da una parte c'è chi capisce poco o niente di inglese, dall'altra di italiano e che spesso ci si trova costretti a comunicare a gesti o attraverso espressioni colorite. Comunque, finiamo sempre con l'intenderci, ed è questo ciò che conta e, ogni minuto che passa, mi accorgo che non è impossibile. Si fa l'una di notte e sonno e letto chiamano.
Carter e moglie dovranno alzarsi presto domattina. Ci si saluta con una stretta di mano ed un abbraccio, e in quell'attimo il cuore di ognuno fa un piccolo viaggio che forse neanche immaginava.

Nota: Carter Revard è nato a Pawhuska, in Oklahoma nel 1931. E' un nativo americano di discendenza Osage da parte di padre. Dopo aver studiato all'Università di Tulsa, ad Oxford e a Yale ha intrapreso l'insegnamento universitario presso la Washington University di St. Louis. Il suo testo principale è la raccolta di poesie Ponca War Dancers. In Italia è stato inserito nell'antologia dedicata ai poeti nativi nord-americani Parole nel sangue (Oscar Mondadori) curata dal professor Franco Meli e da tempo fuori catalogo. E' da considerarsi tra le voci più importanti, rappresentative ed autorevoli della scrittura nativa americana. I brani riportati sono tratti dal volumetto In parata con i veterani delle guerre "straniere".


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pp. 504, euro 17,05
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