QUESTO NOSTRO CINEMA ITALIANO:
Malato Vero o Immaginario?

La parola ai protagonisti


Inchiesta-Dibattito di Luca Dresda
Terza Puntata- Seconda Puntata - Prima Puntata

Come sta il Cinema Italiano?
Da questo semplice interrogativo a cui è però complesso rispondere ha preso l'avvio una nostra inchiesta. Una inchiesta in cui non siamo noi a parlare ma soprattutto i protagonisti sulla base delle provocazioni che sono le nostre (e anche le vostre se ce le invierete per e-mail) domande. La parola dunque, settimana dopo settimana, ad attori, registi, sceneggiatori ma anche a quei tecnici che, pur essendo meno noti, costituiscono l'asse portante di ogni film. Unico obiettivo è quello di capire, di andare a fondo di una questione apparentemente e annosamente irrisolvibile. Ci riusciremo? Sarebbe un ottimo risultato. Ma forse sarebbe già molto importante innescare un dibattito serio, sincero, senza peli sulla lingua. Noi sognamo un Cinema, come la Cultura in genere, senza condizionamenti di parte, come noi non siamo di nessuna parte: né di centro, né di destra, né di sinistra. Noi siamo soltanto per il Cinema.

Dopo aver ascoltato Mita Medici, attrice e regista; Roberto Meddi, regista; Gioia Magrini, sceneggiatore; la parola va a...
Michele Palatela
è il titolare dell'agenzia per attori dello spettacolo NEC. La sua carriera è iniziata in una multinazionale Canadese per la quale ha lavorato per dodici anni. Successivamente si è dimesso e ha iniziato il suo viaggio nello spettacolo. Dopo quattro anni nella TNA (una delle agenzie più importanti in Italia) ha fondato la NED con Fiorella Giannelli Ha da poco festeggiato i dieci anni di attività di ottimo successo della propria società anche se la recente separazione dalla sua socia lo ha costretto a ribattezzare l'Agenzia NEC.
Tra i suo attori più conosciuti vi sono Sergio Fiorentini, Andy Luotto, Giampiero Ingrassia, Nina Soldano, Laura Lattuada, Benedicta Boccoli, Natasha Howey, Martine Brochard.

Palatela, parliamo della salute del cinema italiano...

«Pessima. Certo, con le dovute eccezioni. Per esempio, "I cento passi" di M.T. Giordana. È un peccato che faccia film raramente. E forse è proprio per questo che gli vengono così bene, ha tempo di lavorare sui progetti, di scegliere gli attori giusti. Oggi assistiamo ad un'ondata di minimalismo nelle storie, non si vede il salto di qualità. Non si parla di valori che interessano chiunque, sono storie che rimangono limitate. Mi viene in mente Benigni. Ecco, in quel caso, il soggetto, il film, ha un valore assoluto, anche se è una storia intima, delicata».

Sembra che tu ce l'abbia con gli sceneggiatori.

«Beh, gli sceneggiatori scrivono storie che non riescono ad avere quel valore effettivo che li faccia uscire dal quartiere. Non parliamo poi dei registi. Sono praticamente scomparsi. I nuovi si spera che migliorino. Ma certo quest'ondata di comici non aiuta».

Muccino, come lo trovi?

«Ecco lui è un'eccezione. Un giovane da tenere d'occhio. [possiamo ormai dire che è una realtà, se è vero com'è vero che la Miramax lo ha preso sotto la sua protezione. NdR] Lui sa raccontare storie giovani con un'attenzione ai contenuti e al modo di raccontarli. Purtroppo non ce ne sono tanti come lui».

Perché credi che gli sceneggiatori abbiano tutta questa responsabilità?

«Le storie nel cinema sono una parte essenziale. Un regista con una grande storia è già a buon punto. Senza storia non c'è nulla da fare. Certo, non si possono svilire gli altri passaggi, ma il primo passo, quello essenziale e basilare, è la presenza di una buona storia, scritta bene».

Non sembra che nelle altre fasi di preparazione di un film splendi il sole...

«Tuttaltro. Abbiamo perso la professionalità e l'organizzazione che avevamo negli anni Sessanta. Il film passa diversi momenti produttivi che devono essere distinti e ben definiti. Il soggetto, il trattamento, la sceneggiatura, la preparazione, la produzione e la post-produzione. Nelle produzioni mancano i cosiddetti "Readers", persone competenti che leggono i progetti. I produttori quando gli mandi un soggetto neanche ti rispondono. Passano anni. Magari si trattava di una storia con un legame con l'attualità e dopo tutto quel tempo perde di essenzialità di efficacia. [Ponte Milvio ne è un caso lampante. L'abbiamo recensito e a prescindere dal suo risultato si tratta di una sceneggiatura presentata nel 1994 che ha avuto la realizzazione in film dopo quasi 6 anni! NdR]. Mancano professionalità precise. Non si può fare cinema con questo dilettantismo. Sembra che siano tutti disinteressati alla qualità del prodotto finale. Ma lo sviluppo di un progetto ha bisogno di estrema cura in tutti i suoi particolari».

So che leggi molte sceneggiature, da quelle in cui lavorano i tuoi attori a progetti in cui cerchi di dare una mano per quanto possibile. Che impressione generale hai?

«Uhm...secondo me mancano molto le idee. Le idee in generale si sono un po' banalizzate. Le storie non riescono a prendere il volo. Sono ancorate ad una realtà minimale, poco interessante. Le idee devono essere fulminanti. E questo capita di rado. La sceneggiatura ne risente. Ho come l'impressione poi che molti sceneggiatori non conoscano bene il cinema, scrivano senza immaginare, senza porsi dalla parte del pubblico. Se scrivi di cinema lo devi conoscere, devi sapere a menadito i trucchi del mestiere, ma anche soltanto per avere la giusta percezione di come quello "script" potrà poi risultare su uno schermo. Infine, i dialoghi. Questo è un tasto dolente. Se tu pensi ai dialoghisti americani ti viene lo sconforto. In America lo sceneggiatore fa la storia, ma i dialoghi li fanno i dialoghisti. È una professione separata. Molti sceneggiatori sono anche dialoghisti, ma esiste comunque la professionalità. Qui da noi esiste solo in televisione, ma sono costretti ad usare un linguaggio improbabile e noiosissimo. Pensa a film come "Kramer contro Kramer", i dialoghi ti incollano alla sedia. Sono importantissimi e non si sottolinea mai abbastanza la loro importanza».

Cosa si può fare? «Tornare a scuola. Baricco, per esempio, ha fatto un corso di scrittura. Si è persa la tradizione della professione dello sceneggiatore. Certo, qualcuno può istintivamente scrivere bene, ma la massa dovrebbe imparare l'ABC. Gente come Rulli, Petraglia hanno una grave responsabilità. Non hanno insegnato la loro arte, dietro di loro c'è un deserto desolante. Ora manca proprio la professionalità, e non è colpa solo dei giovani, nessuno ha fatto nulla per investire sul futuro. E così le storie che abbiamo di fronte non sono toccanti, ci sfuggono via senza infamia e senza lode».

Ma non sarà colpa anche di chi le storie le dovrebbe leggere e produrre?

«Non è facile capire chi ha più colpa. Esiste anche un limite culturale. Un'incapacità ad osare, per lo meno in Patria. Noi italiani siamo come dei turisti all'estero. Fuori dai confini acquistiamo coraggio, come se finalmente non ci sentissimo osservati. Perndi il caso del produttore Procacci e di "Bad Boy Bubby" di Rolf de Heer (è stata una coproduzione italiana-australiana). Un film Australiano che ha avuto un enorme successo, anche se non per il grande pubblico. Ha anche vinto il premio speciale della giuria a Venezia nel 1993. È estremo, cattivo, un film che lo stesso Procacci non produrrebbe mai in Italia. Lo ammette lui stesso. È un controsenso, lo so, ma purtroppo funziona così. In Italia non esistono gli indipendenti veri alla Ken Loach o alla Lars von Triers. Negli ultimi anni non ho letto storie di una forza equivalente. Procacci ha naso, certo, ha scoperto Piccioni, Bernini, ma non basta secondo me».

Non pensi però, che anche buone storie trovino difficoltà a svilupparsi con queste restrizioni nei budget?

«Questo è vero. Per esempio, "Ponte Milvio", dove avevo due attori, era velleitario. La volontà di fare bene c'era. È girato bene, e si vede la mano di un direttore della fotografia, ma alla fine risulta un'operazione tiepida. Con poco più di un Miliardo non si va da nessuna parte. Non si ha tempo neanche di lavorare un minimo con gli attori e il risultato è che ognuno recita un po' solo. Io credo che sia necessario il rischio soprattutto nelle storie. Quando vedremo una storia tosta alla "Pulp Fiction" in Italia? Poi il budget può anche essere basso, ma con la storia...»

Vedo che sei molto sensibile al soggetto. Torniamo però ad aspetti più forse burocratici. Lo Stato come può aiutare un cinema che langue?

«Io, in verità, ho la nostalgia per i rischi che certi Produttori si prendevano nel passato. Qui non rischia nessuno. Lo Stato finanzia, spesso male e con logiche oscure, e i produttori vanno avanti senza preoccuparsi più di tanto. Non sono loro a rischiare in prima persona! Poi è anche vero che devono accettare storie che già al loro interno prevedono costi bassi, e questa puoi ben capire è una limitazione ulteriore alla creatività. Non c'è abbastanza spazio per l'espressione libera dei talenti. È un problema difficile da risolvere. Ma la prima cosa è il rischio del produttore».

E sugli attori italiani che cosa dici?

«Dico che ci sono attori bravissimi».

Sei anche di parte...

«Assolutamente no. Il problema è che le produzioni vogliono i nomi. Gli attori bravi, non conosciuti, sono difficili da proporre. Ci vuole un colpo di fortuna, un'occasione improvvisa. Pochi si sentono di lavorare con sconosciuti anche se eccellenti. Un caso di un mio attore: Gilberto Idonea. Beh, lui è un esempio lampante. Ha fatto moltissime cose tra cui la Piovra, ma non è conosciuto. Bene, per Malena ha dovuto fare una serie interminabile di provini, ho dovuto insistere, insistere. E poi il casting director ha dovuto convincere Tornatore. È stato stressante, e questa volta è andata bene. Ma non è un compito facile. Se non usassero sempre gli stessi volti e si affidassero anche ad attori non noti, avremmo molte sorprese piacevoli. Ci vuole il coraggio di produttori e registi. Guarda Giordana con "I cento passi". Il protagonista Luigi Lo Cascio è uscito dall'Accademia, è bravissimo, ma era sconosciuto, no? Lui ci ha creduto e ora lo vogliono tutti. Ecco, c'è anche il rischio delle mode momentanee. Ci sono registi coraggiosi e gli altri che sfruttano il successo dei loro rischi. Però si rischia di inflazionare il mercato sempre con gli stessi volti. Mi domando perché non facciano provini seri per scegliere dei volti nuovi interessanti. Molti attori potrebbero "venire fuori" se solo si avesse più coraggio. Lo Cascio, per esempio, è stato adesso preso da Piccioni e rischia di diventare la nuova moda, precludendo la possibilità di altre scoperte come la sua».

Ci congediamo anche da Michele Palatela, uno degli agenti più in gamba nel panorama italiano. Da questi primi confronti si può tirare qualche somma. Tutti sembrano concordare sul fatto che il cinema viva di improvvisi lampi di genio, e che si sia persa la professionalità produttiva di un tempo. Questo incide sia sulle scelte, sia sull'investimento nelle nuove generazioni, creando un quadro sempre più scollato e disorganizzato. Il vecchio non c'è quasi più e il nuovo cerca di uscire con le sue forze. Le storie, i soggetti, sono i primi a risentire di questa mancanza di Scuola e professionalità. Ma, soprattutto, si intravede la figura di un Produttore non motivato, senza il coraggio di rischiare e legato a dei finanziamenti statali che spesso, invece che aiutare, creano soltanto ulteriori problemi per le modalità e i tempi in cui vengono erogati.
L'inchiesta-discussione continua.

Luca Dresda
(3.CONTINUA)

 


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