«Gesù contro Cristo» : un titolo sbagliato?
Sembrerebbe proprio così visto che questo volume scritto per uomini di autentica fede viene confuso come un testo blasfemo da mettere all'indice. E la sentenza di condanna viene emessa soltanto sulla base del titolo, senza averne prima letta neppure una pagina. E chi la emette sono poi quegli stessi che, in circa quattordici milioni, prima del Natale 1999, sono rimasti incollati ai teleschermi per assistere a uno sceneggiato che li affascinava perché raccontava un Gesù più umano e meno divino. È appunto la stessa cosa che aveva già fatto Pier Carpi nel suo romanzo rifiutato e la chiave di quel titolo che ha tanto disturbato era appunto per sottolineare questo aspetto.
Sapevo che «Gesù contro Cristo», proposto dallo stesso autore, era un titolo forte ma credevo, con Pier Carpi, che il pubblico dei critici come dei lettori fosse sufficientemente maturo da coglierne il reale significato. Soprattutto, autore ed editore si illudevano che alle soglie del 2000 nessuno si permettesse più di condannare senza prima conoscere.
Ma io sono un inguaribile ottimista. Credo che quanto è accaduto a questo romanzo sia stato un incidente e sono soprattutto convinto che il caso non sia chiuso. Cari librai, cari critici, cari lettori cattolici che lo avete rifiutato a scatola chiusa perché non ricominciamo tutto daccapo?
«Gesù contro Cristo» non è un libro blasfemo, è un romanzo da leggere e da amare. Credo che nell'Anno del Giubileo non si possa ignorare un volume scritto per uomini di autentica fede. E, per riprendere il discorso, ecco gli appunti di lettura di un vero cattolico come Benito Ciarlo e la risposta dello stesso autore: Pier Carpi.

Luciano Simonelli


RIFLESSIONI IN ORDINE SPARSO
di Benito Ciarlo

Pochi libri mi hanno creato problemi durante la prima lettura come il «Gesù contro Cristo» di Pier Carpi. Li ricordo tutti e li elenco nell'ordine in cui li ho letti nelle diverse età della mia vita: «Io Giuda» di Caldwell; «Processo a Gesù» di D. Fabbri (anche se, nella rappresentazione teatrale organizzata dalla filodrammatica studentesca di cui facevo parte, alla fine interpretai Giuda); «Essere Cristiani» di Hans Küng.
I primi due hanno in comune con quello di Carpi lo spessore umano prevalente di tutti i personaggi del Vangelo e la ricerca dei motivi che hanno indotto a comportamenti negativi alcuni di essi, mentre l'ultimo afferra ed attualizza in chiave inusuale, per l'epoca in cui uscì, il messaggio sociale dell'Evangelo dimostrando la stridente attualità dei disattesi insegnamenti di Cristo dopo duemila anni.
Il libro in esame, di problemi ne crea subito, sin dalle prime pagine con la sconvolgente originalità di far diventare Cristo in prima persona il narratore delle sue angosce di uomo, in contrasto col destino (disegno divino) da Dio (lui stesso) assegnatogli. Per la prima volta, ci si stupisce dell'ineluttabilità del sacrificio e si riflette sull'infinita bontà di Dio associata alla sua infinita cattiveria. E, ciò che la logica di Carpi dà per acquisito (Dio che contiene "tutto" e, quindi, anche il male, fino a rendere superflua l'esistenza di Satana) fa apparire più chiare le riflessioni di Paolo Sesto sullo stesso argomento.
Per vie sicuramente diverse, papa Montini si pose l'angoscia di quella domanda: «Esiste il Diavolo? Quale utilità ha, Satana, nell'economia del Progetto Divino» ? I teologi ancora dibattono.
Proseguendo senza avidità, capitolo dopo capitolo, scivoli senza accorgertene nella piega della magia, dell'esoterismo (a cui non sfugge nemmeno Cristo stesso, che s'ostina a separare i granelli di sabbia bianca da quelli neri alla perenne ricerca di tutte le sfumature del grigio) e non sai più se definire l'operato di Gesù un prodigio divino o semplice suggestione. Ti meravigli di questo Gesù malato, scontroso, pieno di problemi esistenziali, alla ricerca affannosa di chi possa guarirlo, aiutandolo a capire il suo ultimo scopo. Poi scopri che è il Cristo di sempre, visto (o meglio che si vede) in una prospettiva diversa da quella narrata agli evangelisti: a tratti lo senti prossimo, angosciato dai tuoi stessi problemi, a tratti lo scopri Dio nella sua incommensurabile potenza.
La novità sta in alcune sottili argomentazioni logiche e filosofiche che, nel concetto magico nel quale sono inserite, si confondono con una narrazione che tale non è. Si tratta, in buona sostanza, di un tentativo di dimostrazione dell'estrema fragilità dell'uomo di fronte al divino. Si tratta del voler dar corpo e giustificazioni all'operato di Dio rendendolo comprensibile. Eppure, al cospetto di personaggi come l'ammalata di lebbra senza piaghe, che attua la sua sottilissima vendetta traendo spunto da una parabola di Cristo, non si può che restare profondamente turbati. Non per il comportamento della donna "miracolata" ma per la "condizione" della guarigione, funzionale ad una vendetta di perfidia infinita, suggerita proprio da Gesù...
Coinvolge la delicata poesia del colloquio di Cristo col Signore delle Mosche attraverso la quale, Carpi, dà al lettore un'alta misura dell'amore di questo Dio contraddittorio, verso tutti gli uomini. Il destino di Lazzaro, risuscitato e subito dopo suicida è un vero incubo che diventa parossismo quando, molte pagine dopo, il suo cadavere viene ritrovato nelle reti di Pietro. Mentre i più moderni esegeti del Vangelo di Giovanni affermano che l'episodio della risurrezione di Lazzaro è solo "un segno" nella narrazione Giovannea (è soltanto Cristo il primo nato dei morti) Carpi ci offre una metafora di non facile comprensione che riassume l'inutilità del prodigio rispetto all'eterna validità della Parola.
In tutto il libro vi sono momenti che ti costringono a pensare a cose che avresti preferito lasciare in sospeso: la sessualità di Maria e Giuseppe ad esempio. Il disfacimento dei rapporti familiari che cancella d'un subito tutta l'iconografia della Sacra Famiglia, della mansuetudine di Giuseppe, del bastone gigliato eccetera.
Quante volte lo smarrimento mi ha impedito di proseguire nella lettura?
Tante e, soprattutto, nel capitolo dedicato all'Annunciazione. Per una sorta di analogia mi sono visto costretto a pensare alla sessualità dei miei genitori che, per quanto naturalissima, ha per me, sempre rappresentato un tabù.
Quante volte, invece, la poesia di cui alcune pagine sono stracolme m'ha indotto a rileggerle per meglio gustare l'armonia delle parole utilizzate per descrivere situazioni, al solito, incredibilmente complesse? Una fra tutte non sarà più possibile dimenticarla: il colloquio di Satana con Cristo, immaginato dall'Autore, che è permeato di una rassegnazione dell'Avversario che ha del meraviglioso (in quanto simile alla rassegnazione dello stesso Cristo che sa che dovrà sacrificarsi : «Io combatto contro di te già sapendo d'aver perso». Le argomentazioni che seguono le scambi per bestemmie, di primo acchito e, invece, poi t'accorgi che sono serie e reali e che ti spronano a pensare fino a farti venire il mal di testa: «Io», afferma Satana, «sono la mano sinistra di Dio!.... Io e gli altri angeli caduti non vogliamo più recitare questa parte.... liberaci dalla nostra stolta schiavitù...uccidici!» e la risposta di Cristo è quasi di condivisione: «No, Lucifero, perchè tu devi vivere, essere nell'ombra del Padre di cui sei figlio».
Angustia l'apparente bisogno di magia da parte di Gesù. Cosa rappresenta quella pietra dalle sette facce? Quasi un globo da zingara. Perchè Mosè riesce a mettersi in comunicazione col Signore utilizzando i misteri magici dei Sacerdoti Egizi? Perchè immaginare una soluzione al problema dell'Arca dell'Alleanza scomparsa dal Tempio di Salomone? Perchè trovare giustificazioni a Caino e a Giuda? Perchè santificare Barabba, la Maddalena e Salomè? Quale ragione spinge il Battista verso un amore disperato per la donna che detesta e che sa colma d'ignominia? In altre parole: perchè sminuire il Divino ed esaltare l'istinto?
Queste e moltissime altre domande pone la lettura del libro di Carpi. Un libro che susciterà dibattito se, chi s'appresta a leggerlo, riesce a proseguire nella lettura non per fascinazione ma per voglia di capire. Certamente le problematiche che pone sono concrete e le riflessioni che suscita spronano ad una più attenta rilettura del Vangelo. Niente a che spartire con le affascinanti farneticazioni di Peter Kolosimo, tutto da spartire, invece, con le nostre turbe adolescenziali riferite ad una Divinità cannibale e crudele, idiosincrasica, che fagocita tutti i miti dell'Universo e si placa soltanto di fronte alla dimostrazione del coraggio del figlio che rinuncia (in una lacrima d'eternità) alla sua divinità per autogenerarsi come Uomo. E, come tale, darsi "in pasto a Pluto" per amore di tutto il genere umano.

Benito Ciarlo


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