L'ISTRICE

A 150 anni dalla nascita,
Giovanni Pascoli visto da molto vicino...

Quando le notizie pungono


Il Racconto dell'Estate


 

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  La Vita è un Sogno

di  Maria Santini

Esistono i fantasmi d’epoca? A Christian sembra proprio di sì
…salvo clamorose sorprese


  
I
l mio telefono squillava. Lo sentii appena chiusi la porta dell'ascensore: continuò, regolare e inesorabile, mentre m'arrabattavo con la chiave di casa. Entrato d'impeto, scaraventai il sacchetto della salumeria sul tavolo di cristallo e travertino accanto all'acquario di pesci multicolori nella zona ingresso e mi scapicollai verso l'apparecchio più vicino, posto accanto al computer nella luminosa zona studio. Sapevo tuttavia di combattere una battaglia persa: come di regola in questi casi, la suoneria si sarebbe interrotta nel preciso momento in cui avessi agguantato il ricevitore. Ma non fu così: infatti -miracolo! - feci in tempo a sollevarlo nel bel mezzo di uno squillo.
    - Sì?- non dico mai " pronto" . E' così banale.
   - Una chiamata da Formia. Parlate, Formia, Roma è in linea - affermò una neutra telefonista. E poi subito:- Sono io - disse una smorta voce femminile - Volevo dirti che siamo arri­vati bene.
    - Io chi?
    - Pina. E chi se no?
    Sbuffai, esasperato. Tutta quella corsa e si era trattato di un banale sbaglio di numero. Siamo assediati dalla banalità, a pensarci bene. Tuttavia mi sono sempre fatto un punto d'onore di rispondere garbatamente, in casi del genere.
    - Ha sbagliato, mi dispiace - tono asciutto ma civile. Mi aspettavo delle scuse invece la mia interlocutrice si spazientì:
    - Ma che vai dicendo , Sigismondo, non scherzare! - replicò.
Più vivace com'era divenuta, credetti di riconoscere quella voce e corrugai la fronte. Giusy? Ma non era da lei telefonarmi per comunicare l'arrivo a Sperlonga dai suoi genitori nè me l'ero aspettato. In fondo mi aveva lasciato. Cosa le pi­gliava?E cosa voleva dire quell'interurbana alla vecchia maniera da parte di una che di cellulari ne aveva un paio?E perchè mai, in nome del cielo, si definiva Pina, come non l'ha mai chiamata nessuno, e dove aveva ripescato Sigismondo, che è il mio negletto ( a ragione) terzo nome?
Intanto mia moglie,seppure era lei, approfittando di tutto questo mio pon­zare in silenzio, proseguiva:
    -Sai che siamo stati in piedi fino a Littoria? Alla fine ho dovuto prendere in braccio Impero e non ti dico cos'è stato. Pesa dodici chili, ormai. Anche Giovinezza non ce la faceva più, poverina. Per fortuna poi l'accelerato era mezzo vuoto e ci siamo seduti. Che sollievo per i miei poveri piedi! Papà ci è venuto a prendere con il calesse. Ho lasciato i bambini con i nonni e sono venuta subito qui alla Casa del Fascio. Il camerata Caiazzo mi lascia telefo­nare così non devo fare tutta quella strada fino al centro, sai bene. Giovinezza ti manda un bacione grosso grosso. Papà e mamma li ho trovati bene. Ti salutano.
Con il ricevitore in mano, lo sguardo che assorbiva, senza vederlo, lo spetta­colo mozzafiato che presentava la vetrata panoramica di fronte a me, mi chiedevo se stessi sognando. Davvero stavo ascoltando tutta quella sfilza di assurdità?
    - Che ti piglia? - interruppi sgarbatamente: ma ne avevo ben donde - che vai impapocchiando?
    - Ma Sigismondo...
    - Christian. mi chiamo Christian , perdio! - esclamai e subito mi odiai. Se c'è una cosa che non tollero è la mancanza di self-control.
    - Tre minuti. Raddoppiate? - si intromise la voce impersonale della telefonista - Sì, raddoppio - disse quella Pina, avvilita.
    - Insomma smettiamola - cercai di tagliar corto, più conciliante - Non mi di­verto.
    - Neanch'io veramente Sigismondo - replicò " mia moglie ", con la sua voce solita ma in quel tono depresso e lagnoso che non le era certamente proprio - non vorrei arrivare a spendere cinquanta centesimi di telefono ma...
    - Adesso metto giù - dissi. Ed eseguii.
    Ridicolo, mi dissi, tornando nella zona ingresso a prendere il sacchettino della spesa . Lo specchio dalla cornice di maiolica multicolore mi rimandò la visione della mia capigliatura trasformata in un pagliaio. Telefonando non avevo fatto che tormentare i miei capelli, che sono folti e biondi. Il mio viso, così mobile, appariva imbronciato e gli occhi avevano quella sfumatura grigiazzurra che assumono quando si rannuvolano. Tutto per colpa dello scherzo ridicolo di qualche cretina che imitava passa­bilmente la voce di mia moglie.Non poteva essere davvero Giusy, poco ma sicuro. Lei non era mai stata famosa per il senso dell'umorismo e ultimamente poi, ai ferri corti com'eravamo stati, ancor meno. E poi che senso aveva? Giusy era una donna orribilmente pratica: non faceva nulla senza un buon motivo. Ora non c'è un motivo né buono né cattivo nel fingersi una mogliet­tina d'epoca fascista, carica di prole. Impero e Giovinezza...bah!
    Avevo cose ben più interessanti a cui pensare.Nella zona cucina estrassi la spesa dal sacchetto - filoncini di pane francese, patè, salmone affumicato,filetti d'aragosta, un vassoietto di grossi fagioli all'olio - e misi in frigorifero quello che in frigori­fero andava messo. Lo champagne era già in fresco. Intanto mi guardavo intorno. Del tutto perfetto, il mio loft al decimo piano di un quasi-gratta­cielo per ricchi. Giusy l'aveva odiato: uno striminzito monolocale del tipo vorrei-ma-non-posso l'aveva definito. Ma io non avrei rinunciato a quell'indirizzo esclusivo per nulla al mondo .
    Tuttavia quella telefonata mi dava un senso di disagio. Più mi dicevo che non poteva essere stata di Giusy, più ricordavo che mia moglie è una delle poche persone a conoscenza del fatto che Sigismondo è il mio terzo nome. Un or­rendo vecchiume, certo, impostomi in onore di non so quale antenato: tuttavia in precedenza non mi aveva dato fastidio perchè s'era limitato a starsene tranquillo e ignorato nel mio certificato di nascita, preceduto da Christian e da Federico e seguito da Maria: in pratica come se non esistesse.
   
Alla fine decisi che avrei fatto una cosa che pur mi ripugnava: avrei chiama­to Giusy. Diedi un'occhiata al mio Rolex. Dato il suo stile di guida, a quell'ora mia moglie o giaceva cadavere in un fosso o era già arrivata alla villa dei genitori.Comunque l'avrei chiamata sul cellulare : così non correvo il rischio di imbattermi nei miei suoceri. E dovevo sbrigarmi prima che arri­vasse Alex.
    Putroppo Giusy non era finita in un fosso: rispose al secondo squillo. - Christian? - esclamò meravigliata. A sentirla, mi diedi del cretino: come avevo potuto cadere nello scherzo di quell'altra, prima? Sì, il timbro della mia dolce sposa era stato passabilmente imitato ma non quel suo tono aggressivo, arrogante, inconfondibile - Che c'è? - continuava lei. Potevo vederla, il ricevi­tore premuto contro la massa dei capelli rossi, il viso lentigginoso insolente e imbronciato - che ti salta in mente di telefonarmi?
    Giusy è quel tipo di moglie dalla quale non ci si deve mai far mettere in mino­ranza. Contrattaccai subito: - E a te cos' è saltato in mente di chiamarmi poco fa? Perchè eri tu, no?
    - Neanche per sogno. Perchè avrei dovuto?-
    Non era stata Giusy, sicuramente. La conoscevo bene e sentivo in lei l'ac­cento della verità. Un poco smontato, riconobbi: - Allora devono avermi fatto uno scherzo cretino.
    - Che scherzo?
    - Oh, una si è finta te.
    - Si è finta me? E perchè?
    - Vorrei saperlo. E vorrei sapere perchè mi chiamava Sigismondo.
   Un attimo di silenzio, come se Giusy dovesse digerire la notizia. Poi - Beh, io non c'entro proprio. Sarà qualcuna di quelle idiote che ti ammirano mentre fai la ruota... Ma in che senso si fingeva me? Che cosa...
   - Niente. Sciocchezze.
   - Allora tientele per te, d'ora in poi.O valle a raccontare a quelle sgallettate che ti danno corda, se ce n'è ancora qualcuna. E fa in modo di non chiamarmi più. Ricevuto?
   Meditai un po' sulle sue parole e poi sorrisi fra me e me. Con tutto il preteso distacco, Giusy ci aveva tenuto da morire, a me, ed ora colpiva alla cieca. Ma era ufficiale, dunque: non sarebbe tornata sulle sue decisioni. Ero di nuovo un uomo libero, dopo otto anni di crescente inferno coniugale.
    Preparai la tavola davanti alla vetrata panoramica. Adesso sì che mi godevo la veduta: laggiù in basso alberi ,prati, ville e sullo sfondo, la chiesa di S. Pietro e Paolo e la gemma azzurra del laghetto. Un panorama così valeva qualunque sacrificio economico: solo una perversa bastiancontraria come Giusy poteva aver avuto il coraggio di dire che quell'appartamento era troppo caro , un pozzo senza fondo. Prima di tutto sono un architetto af­fermato e me lo posso permettere: e poi detto da lei con i suoi sprechi, fi­gurarsi.
    Il telefono suonò nuovamente. Quasi dimentico del piccolo incidente di prima, risposi, spensierato: - Sì?
    - Sentite, mio carissimo - disse una voce femminile bassa e nervosa - sono scesa da basso per telefonarvi... Lui è su ma non sospetta. Ho lottato a lungo con me stessa e il cuore mi sanguina... ma non possiamo vederci stasera. Anzi non dobbiamo. Perciò rassegnatevi come io mi rassegno.
    Dire che rimasi inebetito è dir poco. Due pazze in una sola sera, possibile? Ma poi articolai, dato che anche stavolta mi pareva di aver riconosciuto la voce : - Alex sei tu? Ma...ma perchè mi dai del voi?E...
    - Alex?...Perchè tirate fuori un simile sciocco diminutivo esotico? La nostra è la lin­gua più bella del mondo...la lingua di Dante e di MUSSOLINI - si sentiva che pronunciava quel nome tutto in maiuscole - chiamatemi Sandra, come sempre avete fatto o Sandrina come nei nostri momenti più ardenti..Quanto al voi...sapete bene che mantenere le distanze formali è l'ultima barriera fra me e il sentimento che fatalmente mi attira verso l'abisso...oh, siate generoso, difendetemi da me stessa, Sigismondo!
    Sigismondo, eh?A sentire quel nome, la luce si fece in me. Schiumante di rabbia, trassi un gran respiro...il self-control innanzitutto specialmente se l'avversario è una donna, per quanto pazza...e poi attaccai: - Sentite...ehm senta, signora o signorina, chiunque lei sia. Mi complimento dell'ottima imitazione che lei fa della voce di mia moglie e di quella di...un'altra persona. Se era uno scherzo, sappia che ho riso fino a tenermi la pancia. ..Ma ora la devo pregare di smetterla.
    - Che dite mai, Sigismondo! - replicò vibratamente l'interlocutrice: nonostante tenesse la voce bassa, dava l'impressione di gridare - perchè vi fate gioco di me e dei miei sentimenti? Sì, capisco l'amarezza che vi procura il nostro mancato incontro ma , voi così nobile, cercate di comprendermi. A quell'uomo ho giurato un giorno fedeltà e lui si fida di me. Non posso capi­tolare, non voglio cedervi, Sigismondo!
    Pestai i piedi in terra dalla rabbia. - Farmi questo scherzo cretino , passi: ma perchè poi mi deve chiamare Sigismondo?Christian! Mi chiamo Christian!..oh ma basta, finiamola - e misi giù. Poi istantaneamente , sebbene ne avessi l'assoluto divieto, formai il numero di Alex. - Pronto? - rispose una garbata voce maschile. - Vraap Tessuti? - replicai altrettanto urbanamente. Sono troppo uomo di mondo per riattaccare in silenzio il telefono sul naso di un marito che notoriamente non si fida affatto della mo­glie. Significherebbe mettere in difficoltà una signora.

***

    Alex che fra parentesi ha capitolato da un pezzo,al punto che ormai sono quasi stufo anche di lei, arrivò poco dopo.Una bruna strepitosa, alta e torni­ta, le cui labbra voluttuose e il cui seno marmoreo s'erano però rivelati al sili­cone: e per di più gelosa marcia , come tutte le mie donne, del resto. Avevo deciso di non dirle niente della telefonata: non volevo interrogatori, occhiate penetranti, silenzi densi di significato. Purché la cretina dello scherzo non ri­chiamasse : così per tutelarmi meglio misi la segreteria telefonica.
    - Perchè metti la segreteria telefonica? - saltò su lei immediatamente. L'avrei presa a schiaffi ma riuscii a nascondere l’ esasperazione dietro le mie perfette maniere mondane. -Dovresti capirlo da te, mia cara. Non vorrai che qualcuno ci disturbi sul più bello, vero?
    Il telefono squillò tre o quattro volte, durate la serata. L'imitatrice che mi perseguitava ? Ardevo di curiosità ma, dopo la scusa trovata per Alex, non potevo verificare. Andatasene lei, mi tuffai sul nastro della segreteria: ma non vi trovai che ordinaria amministrazione. Niente Giovinezza, niente Impero e nessuno che mi dava del " voi " e che inneggiava a Mussolini e alla lingua patria.

***

    Alex se n’era andata tardi - aveva gabellato al marito di una cena e di un film con certe amiche - lasciandomi sempre più convinto che dovevo liberarmene. Una tonnellata di mattoni sarebbe stata più leggera di lei. Conseguenza di quella deprimente serata sottotono fu che l'indomani mattina non sentii la sveglia. Mi destò lo squillo del telefono, insistente, implacabile. Balzai fino al soffitto: qualcosa mi diceva che era tardi. Proprio così! Le nove e mezza e avevo - anzi avevo avuto, a questo punto- un appuntamento allo studio, all'altro ca­po della città, per le nove. Doveva essere il mio socio, comprendevo bene quanto inferocito.
    - Sì? - biascicai cercando di immettere nel monosillabo un'impressione di vi­spa alacrità..
    - Chiamata da Formia. Parlate, Formia Roma è in linea - disse la telefonista della sera prima e subito:- Sigismondo sono Pina - si sovrappose la voce affannata della sedicente Giusy - scusa se spendo altri soldi a telefonarti...lo so che eravamo d'accordo che ti chiamavo solo ogni domenica ma non ho resistito dalla pena. Ieri sera eri così strano!
    - Ma questo è un incubo! - gridai, di colpo perfettamente sveglio.
    - Ma Sigismondo...
    - Basta! La smetta di chiamarmi Sigismondo! La smetta di telefonarmi! Non so dove voglia arrivare ma lo scherzo è durato anche troppo!
    - Quale scherzo? - chiese la voce, ansiosa. Per l'indignazione rimasi in apnea e la mia interlocutrice ne approfittò per continuare, con testarda umiltà:
    - E poi ho delle cose importanti da dirti. Ricordati di dare le briciole della tovaglia al pe­sce rosso... sai che Giovinezza ci tiene tanto al suo Pippo. E poi... Tu sai che stamattina c'è mercato... ho visto della cotonina che andrebbe proprio bene per fare il grembiule di scuola alla bambina ...non è cara, ottanta cen­tesimi al metro. Posso prenderla? In tutto verrà a costare...
    Si ha un bell'essere gentiluomini dai nervi di acciaio: quando le barriere ca­dono, si è preda dell'ira in maniera che definirei epica. - Glielo dico io dove se la può mettere la cotonina! - gridai: e glielo dissi. Sul rantolo soffocato della donna, misi giù.
    Le briciole al pesciolino, eh? Mi piazzai con truce cipiglio di fronte al mio acquario esotico. Per sua norma e regola, cara la mia scema, i miei pesci, il meno costoso dei quali m'è venuto duecentomila lire, si nutrono di un mangime elaborato al computer espressamente per loro!

***

    Appena arrivai a casa dallo studio, quel pomeriggio,controllai la segreteria tele­fonica ed anche stavolta essa mi riferì soltanto ordinaria amministrazione: o la mia pazza d’epoca si era stufata o non le andava di sprecare telefonate. E per un po’ tutto tacque. Per cenare in pace, rimisi la segreteria ma alle nove, dopo un rapido spuntino - era una di quelle rare serate in cui ri­mango in casa, e solo - dovetti fare una telefonata d'affari.Come misi giù, l'apparecchio squillò di nuovo. Troppo tardi per Pina , pensai distrattamente, non poteva mica andare alla Casa del Fascio a quell'ora...e subito mi diedi dello stupido.Sono un uomo molto equilibrato ma quella faccenda mi stava evidentemente sconvolgendo. Alzai il ricevitore: - Sì?
    - Oh Sigismondo, la mia giornata è trascorsa nella tormentosa indecisione - profferì la voce bassa e vibrante similAlex - un attimo mi torcevo le mani giurando che non vi avrei cercato mai più e l'attimo dopo tutto l'esser mio anelava e spasimava per voi...Ma ora ho fatto la mia scelta. Rimarrò fedele ai miei doveri, Sigismondo.
    A questo punto ero quasi divertito.La presenza di spirito non mi manca: - Non sa cosa si perde - dissi cercando di mettere nella battuta il maggior sar­casmo possibile. Ma naturalmente lei mi prese tremendamente sul serio. - Oh lo so, mio beneamato, lo so. Ma un destino inesorabile ci divide.Non erava­mo destinati l'uno all'altra...
    - No, sembra anche a me.
    - Però prima che questo fato si compia...è un nostro sacrosanto diritto dirci addio, Sigismondo. Sì, vediamoci un'ultima volta...
    Sono molto percettivo e a questo punto cominciai a sospettare qualcosa. - Davvero? E dove?
    La similAlex singultò . - Vi direi un caffè, o la stazione...un luogo nel quale, confusi tra la folla anonima, potessimo salutarci senza che la tentazione vani­ficasse i miei propositi. Ma..
    - Ma?
    -....ma qualcuno potrebbe scorgerci...E' giocoforza fare diversamente. Ho la chiave di casa di una mia amica. . Ma voi sarete nobile, vero? Promettete che mi difenderete da me stessa...promettetelo, Sigismondo.
    La luce nella mia mente ora si era fatta accecante. Essendo un ottimo letto­re di spy-story,avevo finalmente capito a cosa mirava tutta quella masche­rata. Sfruttando la mia curiosità, qualcuno - facile capire chi - voleva mette­rmi in una situazione compromettente. Giusy: Giusy che, avida come tutti i figli dei ricchi, già si premuniva in vista del divorzio per bollarmi come adultero di fronte al giudice onde portarmi via l'adorato loft,la multipro­prietà a Canazei, la Toyota Carina, il Range Rover, lo scooter d'acqua, l'at­trezzatura da sub e fin l'ultimo Personal Computer : per non parlare dei ricchi alimenti che si sarebbe fatta asse­gnare ... Giusto l'acquario mi avrebbe lasciato e solo perchè detestava occuparsi dei pesci rossi.
    Aprii la bocca per smascherare la mia interlocutrice...ma tacqui.Il sangue freddo che mi contraddistingue era venuto in mio soccorso. Meglio fingere di accettare l'appuntamento e poi pensare con calma al da farsi.
    - Va bene se così desidera... Dove?
    - Domani allora... alle diciassette. Via Costanzo Ciano 43, terzo piano... Suonate all'interno 10. Alla portinaia direte che andate dal dentista che, per un caso fortunato, ha lo studio un piano più sotto.
    Qualcosa non mi quadrava. - Che ha detto? Via chi?
    Ma Sandra non rispose a tono. - ...possibile che mi interpelliate con il deca­dente "lei"? - cominciò, infastidita: poi con voce subitamente angosciata - . ...oh! Devo riattaccare, Sigismondo, lui è qui... sento la chiave nella porta.

    Naturalmente sullo stradario non esisteva una via Costanzo Ciano. Mi pareva bene , mi dissi richiudendo l'enciclopedia. Avevo dovuto documentarmi perché, pur lusingandomi di essere un uomo colto, non mi ero specificatamen­te occupato, prima di allora, di storia del fascismo .Dico subito che ho ri­guadagnato il tempo perduto: da quel momento in poi è stato giocoforza - come avrebbe detto la finta Alex, ovvero Sandra - che mi facessi una cultura in merito.
    Costanzo Ciano era stato sì un eroe della prima guerra mondiale, di quelli specializzati in imprese mirabolanti, alla Zorro, ma poi era diventato un fascista di ferro, aveva partecipato alla marcia su Roma, rivestito importanti incarichi ufficiali...fino a diventare consuocero di Mussolini. Difficile che ci fosse ancora una strada intitolata a suo nome e infatti non c'era. Questo voleva dire che la mia intelocutrice, qualunque fosse il suo scopo, non aveva inteso attirarmi da nessuna parte.
    Ma allora la cosa cambiava aspetto. Se non era una manovra di Giusy, si trattava della persecuzione da parte di una donna che mi odiava profondamente...: una donna con una certa cultura e particolarmente versata nelle imitazioni.
    Riflettei a lungo. Quante ne conoscevo con quelle caratteristiche?
    Purtroppo io mi accendo facilmente e altrettanto facilmente mi disamoro: e sono parecchie le rappresentanti del bel sesso che non hanno mai accettato il mio abbandono. Quasi tutte le mie ex, però, erano e sono troppo oche per tendermi un simile tranello. Pensa e ripensa, scarta e riscarta, quelle che giu­dicavo capaci di tanto si ridussero a due: Azzurra e Samantha.
    Azzurra era la cognata del mio socio: impulsiva e passionale, quando l'avevo scaricata aveva minacciato di ammazzarmi. Era una che leggeva molto quindi era facile che, deposta a fatica l'idea di farmi fuori, le fosse venuta l'ispira­zione di una vendetta tanto bislacca. Era bravissima a fare il verso alla gente, specie al marito, ricordavo. Samantha poi era un'avvocatessa tutta cavilli, abituata a modulare la voce in tribunale,che facilmente potevo immaginare intenta a montare una tale trappola.
    Una di loro due?
    Ma discrete e rapide indagini mi informarono che Azzurra aveva lasciato il fratello del mio socio per seguire un mormone americano nello Utah: e Samantha...beh, Samantha, con grande appagamento del mio orgo­glio mascolino, devo confessarlo, abbandonata da me non aveva voluto più alcun uomo ed era passata all'altra sponda.Adesso viveva, passabilmente serena, con una arredatrice di interni.

***

    Mirka! Come avevo fatto a non pensarci prima?
    La mattina dopo, guidando verso lo studio, capii che la mia nemica non po­teva essere che lei. Lavorava appunto in ufficio: era la ragazza addetta ad arrotolare i disegni e srotolare i fax. Appena assunta, mesi prima, mi aveva fatto una corte serrata ma il suo tipo non mi interessava e mi era toccato farglielo capire abbastanza brutalmente. Era lei, senzo dubbio: non l'avevo sentita dire che recitava in una compagnia di dilettanti ?
    Giunto allo studio, mi recai nel suo bugigattolo e la guardai con interesse nuovo. Mirka, una biondina anemica dagli occhi sporgenti, guardò me con espres­sione assente, masticando incessantemente una gomma.
    - Salve, Mirka. Come va?
    - Che ti frega?- non era molto civile ma potevo capirla: bisogna considerare la sua modesta estrazione e il fatto che quella era la prima volta che le ri­volgevo la parola, da mesi.
    - Continui ad occuparti di teatro?
    Si sgelò impercettibilmente in base al principio che anche al guitto più scal­cagnato fa piacere che si parli del suo lavoro. - Sì , e allora?
    - Oh per sapere. E sei brava nelle imitazioni mi hanno detto.
    E pensavo: se è lei sicuramente darà un segno d'imbarazzo oppure si ma­schererà dietro un'eccessiva disinvoltura.
    Ma Mirka non fece né l'una né l'altra cosa. Si passò la gomma da una guancia all'altra e disse, sprezzante:-Dove l’hai sentita una cazzata del genere? Io faccio teatro serio. Stiamo preparando Calderon de la Barca...
    Ho svariati interessi ma il teatro non rientra fra quelli e poi quel nome mi dava un'idea di Veneto, di laguna. Questa fu la causa della mia gaffe: - Cos'è,una commedia di Goldoni? - chiesi.
    Lei mi rise odiosamente in faccia . - Goldoni del cacchio! E’ il nome dell’autore di La vita è sogno. E' uno spagnolo famosissimo e questa è la sua opera più nota - aggiunse con gratuita perfidia.
    La guardai negli occhi slavati. Non avevo la minima prova anzi: ma il cuore mi diceva che non era lei la folle imitatrice.

***

    Nel pomeriggio telefonarono tutte e due. Pina mi informò che Giovinezza aveva guadagnato il terzo premio (sezione" Piccole Italiane " )per il canto durante la Festa della Vendemmia a Fondi: si era esibita nell' Inno Fascista all'Uva di fronte alle autorità e al podestà . S'era guadagnata un diplomino e una carezza sulla guancia da parte dell'illustre (?) personaggio.
    - Certo che se la cava con poco, il regime - commentai - non potevano rega­larle cinque centesimi? Un pacchetto di caramelle?No, soltanto un pezzo di carta e la carezza di vecchio bavoso...
    - Il podestà non ha ancora cinquant'anni - puntualizzò lei - e qualunque padre sarebbe fiero di un complimento fatto alla figlia da parte di un eroico avia­tore della squadriglia di Baracca...
    -Tutte balle, ci scommetto. Quella squadriglia doveva avere almeno mille aeroplani. Non c'è pilota fascista che non si sia vantato di aver volato con Baracca. E non dire " ma Sigismondo!" - conclusi, rifacendole passabilmente il verso.Poi misi giù.
Poco dopo fu la volta di quella Sandra:
    - Sentite Sigismondo - disse nel solito tono lugubre e ricattatorio - perchè vi siete preso gioco dei miei sentimenti?
    - Io? Quando mai?
    - Due ore vi ho atteso, dapprima fremente poi sempre più angosciata. Due lunghe ore. Perchè, Sigismondo, perchè mi avete trattata così, zimbello della vostra indifferenza? Perchè non siete venuto?
    - E come facevo a venire in una via che non esiste?
    - Come sarebbe a dire che non esiste ?
    - Ragazza mia, smettetela - la interruppi seccamente passando al voi per in­conscia imitazione - un bel gioco dura poco, non ve l'ha insegnato nessuno? Come volete che possa esistere una via dedicata a un fascistone della prima ora come Costanzo Ciano ( 1876-1939), per di più consuocero del duce? Fra parentesi che razza di consuocero, Mussolini, visto che poi gli ha fatto fucilare il figlio Galeazzo( 1903- 1944)!
    Ci fu un attimo di silenzio. Non esagero nel dire che la sentivo boccheggiare. Poi articolò: - Non sapete quello che dite,vaneggiate, Sigismondo. Galeazzo Ciano, il nostro ministro degli esteri, adorato marito di Edda e padre dei ni­potini del DUCE - anche in questo caso si sentiva che pronunciava il nome in tutte maiuscole - e il DUCE lo stima fra i suoi più fidati e fedeli collabora­tori...E cosa sarebbero queste date del futuro che tirate fuori?
    - Aspettate un po' e vedrete...a proposito in che anno siamo? O meglio in che anno credete di essere?
    - Ma che dite?
    - Siamo già in guerra?
   - Ma che dite! - ripetè lei con inesprimibile sdegno - se il nostro DUCE, lui e solo lui, ha appena salvato la pace, a Monaco!
    Per fortuna avevo fatto bene i compiti a casa.
    - Conferenza di Monaco : 29 settembre 1938 - snocciolai - Hitler si è annesso i Sudeti. Il mondo trattiene il respiro. La guerra mondiale sembra inevitabile. Ma Mussolini...
    -...Ma il nostro DUCE ha garantito la pace. Ecco, così mi piacete, Sigismondo.

***

    Si andò avanti così tutta la settimana. Non appena staccavo la segreteria, Pina e Sandra imperversavano. La parsimoniosa Pina per la verità telefonò solo due volte:la prima per dire che era stata a Fondi con sua madre a un raduno di massaie rurali, la seconda per essere autorizzata a comprare delle cassette di pere da novanta centesimi al chilo per fare la marmellata.
    - Senti un po' - le chiesi, poichè mi era balenata una nuova idea - quando torni?
    - Perchè me lo chiedi? - rispose sospettosa: la benedetta mania delle donne di rispondere a una domanda con una domanda.
    -Sei mia moglie, no? Presumo che abiti qui. O mi hai lasciato anche tu?
    Per la prima volta la sentii ridacchiare.
    - Come sei buffo, Sigismondo. Lo sai benissimo che torniamo quando co­mincia la scuola di Giovinezza.
    - Ma sono cominciate da un pezzo,le scuole ! - esclamai, memore del traffico rigurgitante di studenti che è la croce ,già da almeno un mese, del mio itinerario per andare allo studio, la mattina.
    - Ma su, smettila di fare lo stupidino. Sai bene che cominciano il venti.
    Il venti ottobre. Scossi la testa, scandalizzato.E poi si dice che a quel tempo sì che le scuole erano serie...

***

    Pina era quasi divertente e, in fondo, discreta: quella che non sopportavo più era Sandra, la mia fascistissima amante.Era diventata di un'invadenza incre­dibile.Non ne potevo più dei suoi tira e molla, vediamoci, non vediamoci, salvatemi da me stessa, non salvatemi, evviva il duce, evviva la patria. Fu per colpa sua che decisi di fare i miei passi. Il lunedi successivo andai al commissariato.

***

    Il funzionario, i gomiti poggiati sul piano della scrivania, riu­nì tutti i polpa­strelli delle dita e li puntellò sotto il mento.
    - Va bene, va bene,queste due donne...o questa unica donna... la molestano. Ma le fanno delle minacce di morte?
    -Minacce di morte? No, tutt'altro - risposi onestamente - mi si dimostrano molto affezionate.
    - E allora non si può fare niente - disse il funzionario al di sopra dei polpa­strelli - Noi interveniamo solo in caso di minacce gravi, anzi gravissime. E poi ad ogni modo ci vuole il benestare dell'Ufficio Legale della Telecom.

***

    - E' difficile estremamente difficile mettere un telefono sotto controllo - af­fermò il funzionario della Telecom senza neppure sentire il bisogno di sor­reggersi il mento - oggi è tutto automatizzato... e ad ogni modo noi non possiamo agire senza il benestare dell'Autorità Giudiziaria.

***

    Alla fine trovai la via giusta:mi ricordai che mio cugino Roberto è genero di un pezzo grosso del Tesoro. Questo suocero è intimo amico di un pezzo grosso degli Interni. Così mio cugino mi disse che qualcosa si poteva fare purché mi procurassi una registrazione delle chiamate di Pina e Sandra: ap­pena l'avessi avuta saremmo andati insieme dal pezzo grosso degli Interni. Tutto ringalluzzito mi accinsi all'impresa di dare corda a tutte e due le mie persecutrici in modo da ottenere una esauriente prova delle loro malefatte.

***

    Per Pina ci volle un po' di tempo: si vede che non aveva raduni di femmine fasciste o spese micragnose da fare perchè tacque fino a domenica. Sandra invece la pescai subito, quel pomeriggio stesso. Era più esaltata che mai.
    - Sono piena di inesprimibile emozione, Sigismondo. Il discorso del DUCE oggi ...non è stato sublime?
    - Quale discorso?
    - Sigismondo, non ditemi che lo ignorate! Il saluto alla Corporazione degli Intagliatori del Legno , che gli hanno fatto omaggio di un quadro rappre­sentante il nostro Impero intarsiato in legni policromi.Le parole di LUI sono state trasmesse dalla radio alle diciassette. Sigismondo, tutta l'Italia era da­vanti agli apparecchi e non ditemi che solo voi...
    - Perdonate ma non ho potuto trovare il tempo...parlatemene voi, Sandra.
    - Ma come, Sigismondo? - replicò lei scandalizzata - il tempo per ascoltare il DUCE si DEVE trovare.La sua parola è sacra.Ed io l'ho bevuta, quella paro­la e mi sono infiammata di desiderio...
    - Ma davvero! Non vi facevo così sfacciata. Ma guarda un po’!
    - Credete che me ne vergogni? Ne sono fiera, invece! Desi­derio, desiderio di LUI, ma sublimato, Sigismondo, sublimato! . Desiderio di umile donna che sa che quello sguardo d'aquila non si poserà mai su di lei...
    Tutto sommato era divertente:- Non siate così pessimista. Dipende.
    - Come dite?
    - Dipende. Se voi siete abbastanza carina il duce non si tirerà indietro. Le sue scopate sono rimaste famose.Mica era come quel complessato di Hitler, che pare proprio fosse impotente.
    - Ma Sigismondo... - gemette lei
    - Avanti, su. Fatevi ricevere a Palazzo Venezia con qualche scusa... che so un marito invalido di guerra e senza pensione...o un quadretto policromo o un centrino ricamato da donargli... e vedrete che sballo, sulla scrivania della Sala del Mappamondo. Lo so che competere con la Petacci sarà piuttosto difficile ma insomma....
    - Sigismondo non scherzate con le cose sacre, vi prego...- singultò lei e poi, sospettosa: - Chi è la Petacci?

***

    Perfetto! Mi dissi la domenica mattina, spegnendo il registratore che ripor­tava adesso anche le banalità di Pina sul rincaro dei cachi e sul raduno delle Piccole Italiane nel quale Giovinezza aveva declamato Marcia, o Balilla e non chiedere mai perchè marci. Perfetto! E spensi il registratore. Le avevo fatte parlare ben bene tutte e due....

***

    - Ecco qui - dissi, tutto vispo, acccendendo il registratore - ora constaterà, dottore... faccia conto che di telefonate del genere ne ricevo tre o quattro al giorno.
Esageravo un po' ma insomma era per una buona causa.Il pezzo grosso-Interni da dietro la scrivania e il cugino Roberto seduto di fronte a me si fe­cero attenti.
    Riavvolsi la bobina poi diedi il via. Sorrisi e ammiccai quando si sentì la mia voce dire: - Quale discorso? - evidentemente , pensai, l'inizio del colloquio, con le prime, infiammate parole di Sandra, non era stato registrato: ma restava sempre materiale più che abbondante a dimostrare la perfidia della mia persecutri­ce. Ma poi ci fu un fruscio e sempre io dissi: Non ho potuto sentirlo... parlatemene voi, Sandra... un altro fruscio ed ancora io pontificai: - Ma davvero! Non vi facevo così sfacciata .Ma guarda un po’ E tutto il colloquio andò via così: molto Christian e niente Sandra.
    Avevo smesso di sorridere. E divenni ancor più cupo quando anche dalla telefonata di Pina non ricavai altro che la mia voce: scomparsa mia " moglie" e scomparsa perfino la telefonista che sempre preannunciava la chiamata da Formia.
    Alzai gli occhi . Il pezzo grosso e il cugino mi guardavano con sospetto. Mi sentii avvampare. Dovevano avermi preso per uno svitato o peggio...
    - Uno strano guasto... - ridacchiai penosamente - ha registrato solo la mia voce e non le telefonate in arrivo.  A volte lo fanno, no?

***

    A casa provai il registratore utilizzando una telefonata ad Alex, quella anni novanta, al silicone . A parte che dovetti sorbirmi per un buon quarto d'ora le sue lamentele di amante quasi abbandonata, potei constatare che il registra­tore funzionava perfettamente: si sentivano nitide sia la mia voce che la sua.
    Sono molto percettivo, ripeto, e a questo punto alla vergogna per la figuraccia al ministero e al fastidio si sostituì un altro sentimento: la paura. La nuca cominciò a formicolarmi...
    Non era uno scherzo.Non c'era mai stata un'imitatrice più o meno svitata. Dovevo ammettere una realtà ben più inquietante.
    Quelle due voci venivano dall'al di là.

***

    Forse nel mio subcosciente lo sapevo già da un po'. Ricordavo come erano precise nei loro riferimenti all'epoca in cui vivevano: i centesimi di Pina,i suoi vari raduni da massaia fascista, la passione per il duce di Sandra... all'epoca erano tutte pazze di lui anzi di LUI. Inoltre, entrando nello specifico, c'era qualcosa che io, con la mia ormai profonda conoscenza del periodo, tro­vavo molto interessante: Sandra che sbalordiva di fronte al nome della Petacci, nome che non significava niente per lei. Era stato così: durante il fa­scismo la relazione del duce con Claretta non era nota al grosso pubblico: o forse qualche anno dopo sì, ma non nel 1938.
    Quale imitatrice della nostra epoca sarebbe stata attenta a questo particolare?

***

    Ma perchè ce l'avevano proprio con me, le due entità? C'erano diverse ipo­tesi possibili. "Sigismondo" poteva aver abitato nel sito dove poi è stato costruito il mio grattacielo ed era per questo che Pina e Sandra lo cercavano qui: una storia tipo Poldergeist, insomma .Ma quando feci delle ricerche scoprii che questa zona , chiamata Monte del Finocchio era stata, prima dei lavori per l'E 42, aperta campagna: pascoli, orti, qualche cascina. Invece a giudicare da come si esprimevano le sue donne, "Sigismondo" era stato un piccolo borghese.
    Un momento...era proprio vero che questa faccenda stava appannando la mia un tempo impeccabile lucidità di pensiero. Chiaro che la chiave era proprio il nome " Sigismondo". Perché mio padre me lo aveva appioppato, sia pure per terzo della serie? S'imponeva sapere chi era stato quel tizio.

***

    Tutti abbiamo una parente anziana che ricorda vita, morte e miracoli della famiglia. Io avevo la zia Norina, in realtà zia di mia madre. L'amabile vec­chietta non ricordava più a cena ciò che aveva mangiato a pranzo però era un archivio perfetto e computerizzato per quanto riguardava le vicende fami­liari. Infatti non mi deluse.
    -Certo, Sigismondo... un cugino di tuo nonno Ettore per parte di madre. Era geometra al cata­sto. Di cognome faceva Tirletti. Era del tre, come il mio povero Gianni. Scomparve nel 1938.
    Interessante, pensai. Proprio l'anno da cui mi chiamano Pina e Sandra. - Ah sì? E come morì?
    - No, no, scomparve nel senso che sparì e non si seppe mai con sicurezza che fine avesse fatto.
    - Scappò con una?
    - Ma che dici. Finì in mano all'Ovra.
    La cosa mi meravigliò. La mia famiglia mi è sempre sembrata di quelle piat­tamente conformiste: adesione acritica al fascismo, poi destrorseria generalizzata e niente sessantotto, ovviamente. Che io sappia, la mia è l'unica personalità frizzante, aggressiva dei due rami ma , sfortunatamente, sono vissuto in tempi di piatta calma, troppo giovane anche per il sessantotto.
    - Non sapevo che in famiglia avessimo un oppositore politico del regime- commentai.
    - Per la verità Gianni diceva che Sigismondo gli era sempre sembrato un fesso che par­lava troppo. Ma certo per farlo scomparire così... qualcosa di grosso avrà fatto. Fu per lui che tuo padre, che Dio l'abbia in gloria con il suo comuni­smo - tale appariva a zia Norina la tepida socialdemocrazia del mio genitore - ti mise quel nome ...
    - Per terzo, fortunatamente - rabbrividii - ma Sigismondo aveva moglie? Figli?
    - Certamente. Aveva due bambini...piccoletti ancora quando lui scomparve.
    -Un figlio e una figlia, per caso?E come si chiamavano?
    Per la prima volta il mio computer ebbe qualche incertezza - Mi chiedi troppo, Christian - disse zia Norina- Due bambini che non ho neanche mai vi­sto...Sì mi pare che fossero un maschietto e una femminuccia ma i nomi proprio...
    - Per caso Giovinezza e Impero?
    - Forse... oppure no, Romana e Littorio...macché quelli erano i figli di mia cognata Aduina. Balilla e Addisabeba? ...Ma cosa dico, quelli erano i nipoti del farmacista di Viale Eritrea. Italo e Germana?No, loro erano i gemelli di...
    Misi con fermezza un freno: - Sforzati di ricordare almeno il nome della moglie...
    - Per quello non ho bisogno di sforzarmi. Si chiamava Giuseppina .
    Avevo fatto centro, dunque.L'entità Pina mi identificava con suo marito, quel marito che i fascisti le avevano ucciso...e l'entità Sandra?
    - Senti, zietta, per caso Sigismondo aveva un'amante?
    - Non farmi malignare su un morto, Christian...Insomma se proprio ci tieni a saperlo...E' una storia che avevano messo in giro quelle malelingue dei cu­gini Montorsi ma Gianni diceva che erano tutte balle e io stessa non ci ho mai creduto. Oltretutto era così bruttino, povero Sigismondo..
    Naturalmente zia Norina non ricordava il nome di questa ipotetica amica.
    Io tuttavia ero sicuro che un'amante ci fosse stata e si fosse chiamata Sandra.

***

    Bene. Avevo ricevuto in eredità le donne della vita del mio lontano quasi-zio Sigismondo. M'erano state appioppate dalla sciagurata idea di mio padre di ricordare , sia pure molto velatamente, l'unico parente antifascista di tutti rami della famiglia paterna e materna.
    Adesso che sapevo d'essere perseguitato da due fantasmi ero ancor più assillato dal bisogno di liberarmi di loro. Ma come fare? Ricorrere ad una me­dium,a un esorcista magari? Ma non sapevo dove trovarli. Il fatto era che non volevo confidarmi con nessuno,perchè non desideravo pro­palare in giro la mia storia: chissà mio cugino Roberto quanto aveva già spettegolato su di me. Certo, l'unico rimedio per non passare da pazzo fissato sarebbe stato quello di far sentire le voci di Pina e Sandra a qualcuno: ma avevo dovuto constatare che era impossibile. Se c'era gente in casa non tele­fonavano mai ed il registratore - avevo provato ancora - non prendeva le loro voci .
    Soltanto io le potevo udire.
    Perseguitato da due fantasmi d'epoca...

***

    Non è l'intraprendenza che mi manca.. Pensa e ripensa, un'idea per liberarmi di loro mi venne. Si credevano vive e vegete? Dovevo convincerle di essere due fantasmi.
    Pina e Sandra erano persuase di trovarsi nell'ottobre 1938. A me spettava il compito, penoso certamente, di far accettare loro - il tatto non mi manca - il fatto che così non era e che quel Sigismondo a cui tutte e due tenevano tanto era anche lui da tempo scomparso. Ero sicuro che così le loro voci si sarebbero a poco a poco affie­volite e che alla fine i due riluttanti fantasmi avrebbero trovato la pace.
    Complimentandomi con me per la mia genialità, mi accinsi all'opera.

    Cominciai con Pina:
    - Senti Pina...ma tu sei così sicura di esistere?
    - Ma Sigismondo...
    La voce smarrita di quel fantasma piccolo- borghese mi intenerì. Continuai con maggior dolcezza:
    - Ascoltami cara: sì, ti chiamo cara anche se non ti conosco e se vieni da un'altra epoca...
    -Come sarebbe che vengo da un'altra epoca? Vuoi dire che sono all'antica?
    Dio, com'era difficile. - Ma che all'antica. Tu sei antica. La tua voce viene a me da una distanza di quasi sessant'anni...no, lasciami finire . Stavo dicendo che ormai ho imparato ad apprezzarti. Dovevi essere veramente un'ottima moglie, onesta, laboriosa, sottomessa e un'altrettanto ottima madre...
    -...se tu mi dicessi più spesso cose carine come queste...- modulò lei, tutta felice.
    - Le meriti. E spero che Giovinezza e Impero abbiano fatto una buona riusci­ta anche se vivere nel dopoguerra con due nomi del genere...
    - Ecco, vedi che ricominci?Certo che sono riusciti bene. Sono due bambini buoni e belli. E poi sono vent’anni che la guerra è finita e tu parli ancora di dopoguerra?
    -Non di quello, sciocchina, dell’altra che seguirà, la seconda guerra mondiale. Allora tua figlia avrà... quattordici, quindici anni, immagino, e il bambino non toccherà i dieci. Devono essere all'incirca coetanei dei miei genitori. Saranno anziani alla mia epoca... ma forse sono ancora vivi da qualche parte.A meno che non siano finiti sotto qualche bombardamento... - questa mi parve un po' priva di tatto, ma ormai era detta.
    - Ma Sigismondo, perchè fai queste profezie spaventose?
    - Perché te l'ho detto, cara,non siamo nel 1938, come tu sembri credere, siamo nel 1996. Il fascismo è caduto da tanto tempo e anche la monarchia non c'è più. Tutti i protagonisti sono morti, chi malamente, chi di vecchiaia.
    Dal telefono venne un singulto di terrore.
    - No Sigismondo! Non dire queste cose! Ti metterai nei guai, in grossi guai!
    - Ma Pina...
    Ebbe un rantolo terrorizzato. - Devo confessarti una cosa. Purtroppo ho ac­cennato a papà qualcosa dei tuoi discorsi... da quando hai cominciato ad essere così strano. Ho fatto male, lo so, ora me ne pento sai che papà con il suo passato di squadrista è così intransigente......
    - Tre minuti, raddoppiate? - disse la spettrale telefonista.
    - Ma sì certo che raddoppio - singultò Pina - ..e papà dice che ti dovrei denun­ciare! Io non lo farò mai, Sigismondo, sei il padre dei miei figli e poi ti voglio bene ma non parla­re più così e soprattutto non al telefono...
    Mi ci volle del bello e del buono per calmarla.E nulla di quello che potei dire la persuase di essere un fantasma.

***

    Pina m'aveva ispirato tenerezza, Sandra, invece, mi fece irritare.
    - Sigismondo queste vostre bizzarrie hanno superato ogni limite. Io un fantasma? Io donna di carne, di sangue... A proposito,ora lasciatemi andare . Il DUCE sarà ad Aprilia, stasera, per la la Vendemmia..
    - Canterete anche voi l' Inno Fascista all'Uva come... - stavo per dire come mia figlia ma mi trattenni a tempo.
    - Voglio mischiarmi alla folla che gli farà corona..e certo, unirò la mia voce alle altre mille voci che faranno coro intorno a lui
    - Attenti a non assordarlo... Adesso statevene un momento zitta, mia cara Sandra, e ascoltatemi. Ve lo dimostrerò io che molta, molta acqua è passata sotto i ponti da quando il vostro caro duce ha salvato la pace, come dite voi, a Monaco - tirai un grande respiro - Salvato la pace! La guerra è scoppiata meno di un anno dopo, bella mia: la guerra scatenata da quel pazzo criminale di Hitler...noi eravamo neutrali, ma poi nel quaranta Mussolini ha deciso che doveva aggregarsi al carro del vincitore-... era convinto che la Germania avrebbe non vinto ma stravinto... e ha buttato la nazione in guerra... basta, abbiamo fatto tutta una serie di figuracce, prima fra tutte la follia della Grecia ...abbiamo perso migliaia e migliaia di poveri soldati per non parlare dei civili morti come mosche sotto i bombardamenti di quei carissimi Alleati... Finché il duce è caduto..
    - Sigismondo! - gemette Sandra
    - Sì, è caduto, è caduto e sapete chi l'ha rovesciato? Il genero Galeazzo, il pa­dre degli adorati nipotini... Galeazzo a cui poi il Fuehrer e il suocero hanno fatto fare la fine che vi ho detto... ma non è andata meglio nè ad Adolfo né a Benito. La Germania ha perso disastrosamente la guerra, noi ci siamo tirati fuori con una pace separata e una fuga del re da Roma a Brindisi che ha fatto sbellicare dalle risa il mondo intero: ci abbiamo proprio perso la faccia. Poi Hitler s'è ammazzato nel bunker di Berlino, con i Russi oramai sulla te­sta,e Mussolini... Mussolini l'hanno fucilato i partigiani, bella mia, e poi l'hanno appeso per i piedi in piazzale Loreto , a Milano, insieme con la Petacci!- tirai un gran respiro - Volete che me le sia inventate queste cose, Sandra? Che fantasia dovrei avere! E potrei darvi mille e mille particolari di quanto detto!
    Tacqui, esausto. Non è da tutti fare una sintesi così brillante della seconda guerra mondiale ma sono sforzi che prostrano, Mi accorsi che anche Sandra taceva. La linea rimase un pezzo muta. Poi sentii riagganciare e, con grande sollievo, udii il segnale di libero.
    Capii che almeno Sandra me l'ero levata di torno.Non so se l'avevo convinta , ma fantasma o no che si ritenesse, era troppo sfegatata fascista per voler avere più a che fare con me.

***

    Ma anche Pina, a quanto pareva. Erano passati tre giorni e né lei né l'altra si erano sentite più. Mai mi avevano lasciato tanto a lungo in pace.
    Quella sera ritornai molto stanco dallo studio. E come la sera in cui tutto era cominciato, già dal pianerottolo sentii squillare il telefono. Come allora arrivai in tempo a sollevare il ricevitore. Delusione nera: di nuovo Pina! Non me la sarei tolta mai di torno?
    Niente telefonista stavolta: chiamava da Roma,come subito capii.Ed era ter­rorizzata, disperata:
    - Sigismondo... sono davanti al cinema in cui andavamo da fidanzati. Non fare domande... scappa, Sigismondo, scappa subito da casa e vieni qui... Hai capito dove, no? Non ti preoccupare per i soldi, ho qualcosa io. Ma esci subi­to subito, Sigismondo...- lo scatto del ricevitore riagganciato.
    Sensibile come sono, rimasi molto colpito.Il momento era solenne. Comprendevo di essermi trovato di fronte all'ultimo atto del dramma svol­tosi cinquantotto anni prima: l'estremo tentativo compiuto da Pina di salva­re il marito, denunciato da quel suo padre squadrista e forse anche dalla fascistissima Sandra. Mi levai tanto di cappello di fronte al coraggio di quella piccola donna che tentava di salvare il suo uomo, incurante di esporsi lei pure alla vendetta dell'Ovra. Perché quella sua telefonata era stata intercet­tata, sicuramente.
    Non accadde più nulla. Il cuore mi disse che non avrei mai più sentito nean­che Pina. Mi chiesi ancora cos'era successo subito dopo in quel tempo lontano. Sigismondo non aveva fatto in tempo a fuggire? Lo avevano pedinato per poi arrestare tutti e due, lui e lei? Ma forse la povera Pina non aveva fatto una brutta fine: l'informatissima zia Norina aveva detto che Sigismondo era scomparso da solo, non completo di moglie. Forse l'avevano risparmiata ed aveva potuto allevare i suoi bambini.
    Controvoglia mangiai un panino in piedi - pane e coppa, il solo cibo che avevo trovato nella credenza - proteso sull'acquaio di cucina. Sapevo che dovevo evitare di far briciole in terra. Mentre masticavo svogliatamente, mezzo piegato sul lavello, mi chiedevo chi mi aveva inculcato quell'odiosa abitudine. Giusy neanche a parlarne. Mia madre? Ma era stata la peggior donna di casa che esistesse. Era il tipo di abitudine, pensai, che Pina doveva aver inculcato a Sigismondo. E certamente, abituata a badare al centesimo, per i suoi spuntini gli aveva ammannito soltanto coppa, grossolana come quella che assaporavo e che non ricordavo di aver comprato... e come mi fosse venuto in mente di farlo, Dio solo lo sapeva.
    Mi rizzai e mi pulii le dita appiccose. Quella sera avrei dovuto portar fuori Savannah, la mia ultima conquista. Ma non ne avevo più voglia. Il terrore e la disperazione di Pina mi avevo contagiato.
    Decisi che avevo bisogno di un drink ed andai al mobile bar. Lo aprii... e rimasi di stucco.
    Mi sono sempre fatto un vanto di avere una scorta di liquori fornitissima. Tengo bourbon , whisky al malto, irish cream, Courvoisier, Martell, Armagnac, Fundador, diverse marche di gin, rum bianco e rum grezzo, drambuie, grappa, vodka, tequila, Calvados, Arak, Sliwowitz,Kirsch , sakè e per le signore, Benedictine, Chartreuse, Anisette, Cointreau, Grand Marnier, sherry bianco e sherry rosso e perfino sambuca, mandarinetto e limoncello.
Dove erano finite tutte le bottiglie?
    Sì perchè nel mobile, che nell'ultima luce del giorno appariva rimpicciolito, non ne erano rimaste che tre. Un vaso di ciliegie sotto spirito che neppure ri­cordavo di avere, un altrettanto per me sconosciuto "Nocino di Mamma" con etichetta scritta a mano a dimostrare la fattura casalinga: e infine una bottiglia panciuta e scura recante un'eti­chetta tricolore particolarmente sgargiante sulla quale era stampato per tra­verso : " Arzente del Piave- Liquore d'Italia".
    In quel momento il campanello suonò. Poggiai l'arzente, qualunque cosa fosse, sul ripiano del mobile accanto a una foto in cornice rappresentante una bambina sorridente, vestita da Piccola Italiana, che teneva in braccio un neonato vestito da neonato ma con un fez in testa. Non mi chiesi cosa facesse lì quella strana immagine: mi limitai a voltarmi per andare ad aprire.
    Come era diverso il loft nella luce morente,notai, anzi non sembrava più neanche il mio loft. L’ombra crescente rendeva tutto ristretto e meschino: spariti gli scaffali fatti di tubolari e i mobili chiari e slanciati, sembrava di stare in un interno piccolo borghese e del tempo del cucco, oltretutto. Al centro il tavolo con le sedie disposte ordinatamente intorno, sul fondo la credenza con lo specchio e la fruttiera. Perfino la grande vetrata, ammantata di buio, s’era ridotta a una finestrella con gli scuri…
    Qui togliere la frase: il mio sguardo sfiorò appena il panorama inquadrato dalla piccola finestra con gli scuri di fronte a me.

***

    Sottilmente a disagio passa nell'ingresso immerso ormai nell'oscurità. Accende la luce, rivelando così lo squallore disadorno del piccolo ambiente ammobiliato solo con un brutto attaccapanni e un tavolinetto sormontato da uno specchio: sul ripiano del mobiletto dozzinale una boccia di vetro contiene un solitario e minuscolo pesciolino rosso che guizza instancabile e affamato.
    Esita, disorientato non solo da quello che si vede davanti ma dall'ultima immagine che gli è rimasta negli occhi: percepisce in ritardo non tanto la foto dei bambini quanto il fatto che dalla vetrata panoramica , divenuta angusta , non ha contemplato lo scioccante panorama dell'Eur visto dal decimo piano - verde, ville, lago, chiesa - ma le finestre,poste al livello della sua, di una palazzina giallastra dirimpetto.
    Il campanello suona di nuovo. Barcollando un poco, va ad aprire.
    Sulla soglia si inquadrano due uomini di mezza età in cappello e impermeabile. Quello a sinistra ha labbra spesse, lineamenti pesanti, occhi di carbone. Quello a destra pallido, con guance smorte e vistose borse sotto gli occhi, somiglia un po' all'ispettore Derrick. Non solo non hanno un'aria cordiale ma si direbbe che non abbiano sorriso mai. Sembrano due comparse di una spy-story ambientata negli anni trenta. E lui si sente pieno di paura.
    -Saluto al duce! - abbaia lo pseudoDerrick, irrigidendosi sull'attenti, il braccio che scatta in avanti come un pistone. Lui rimane a bocca aperta: poi, rendendosi conto che ci si aspetta una reazione, fruga nei suoi ricordi e tira fuori un pochissimo marziale: - Ah sì...ehm...A noi... - accompagnato da un saluto fascista molliccio e tremolante.
    I due sulla porta si scambiano un'occhiata d'intesa ,poi: - Tirletti Sigismondo? - dice quello con le labbra spesse.
    - No...io....- articola il padrone di casa lottando contro un crescente in­torpidimento che lo porterebbe a dire sì - Io sono Christia....
    - Non ci interessa la vostra religione - afferma Derrick - Sappiamo che non siete ebreo. Almeno questo - e si infila come se fosse a casa sua men­tre l'altro con pari disinvoltura chiude la porta d'ingresso.
    "Agenti dell' Ovra. Pericolo" dice una voce dentro di lui che tuttavia lotta con se stesso per reagire: ma no, cosa c'entrano gli agenti dell'Ovra nel 1996?
    - Siete in arresto - dice quello con le labbra spesse.
    Pppp...perchè? - balbetta e automaticamente arretra verso la parete. Il suo sguardo cade così sullo specchio: sussulta, più disorientato che mai. Infatti lo specchio non gli rimanda la figura di un giovane alto, biondo , dagli occhi azzurri ma quella di un ometto già un po' stempiato, con la pancetta incipiente...e con gli occhi fuor dalla testa per la paura.
    -Avanti, muovetevi, Tirletti - dice Derrick, impaziente.
    - Ma io...io non ho fatto niente.Per quale motivo...- chiede: purtroppo pe­rò ricorda perfettamente tutto quello che "Christian" ha detto al telefono a Pina e a Sandra..
Infatti Derrick lo investe con una valanga di parole che pesano come al­trettante pietre tombali:
    - Avete adoperato il mezzo telefonico per una gravissima e sistematica de­nigrazione del nostro Duce, del Fascismo, delle Patrie istituzioni, del Fuehrer di Germania,e sì, anche del re. In particolare poi, avete fatto profe­zie sovversive e disfattiste sul futuro del fascismo e della patria, sul Cancelliere Hitler, sul nostro ministro degli Esteri e anche su Sciaboletta... ehm Vittorio Emanuele III...
    A questo punto subentra quello con le labbra spesse. Gli occhi ancor più neri di prima, profferisce con la bocca che sembra quella di un orco:
    -....ma soprattutto avete osato sporcare, con le vostre immonde bestemmie, la persona del nostro Duce, arrivando a farneticare di una sua morte in­gloriosa per mano di nemici della patria :e ne avete anche irriso la figura morale. Per fortuna persone di provata fede fascista vegliavano e ci hanno denunciato la cosa.
    " Come sospettavo" si dice lui " il padre di Pina, Sandra..."
    - Avete il telefono sotto controllo da giorni. Fra parentesi - infierisce Labbra Spesse con uno sguardo così cattivo che in confronto la sua espressione di prima era quasi bonaria - dovrete spiegarci per filo e per segno la vostra posizione nel movimento antifascista. Deve essere importante e con contatti ad alto livello. Altrimenti come farebbe uno come voi, un impiegatuccio, a conoscere...ehm...la Petacci?

***

    Le persone che sbirciavano, timorose,dietro le tendine delle finestre videro l'ometto scialbo ,in manette, spintonato dentro una Lancia Augusta nera no­nostante le sue lamentose proteste:
    - Non lo potete fare...guardi , Dottor Derrick ,lei non mi ha letto i miei di­rit­ti...voglio il mio avvocato... scriverò a Pannella... a Costanzo...a Santoro... Ho un amico che conosce Di Pietro...
    La voce si spense coperta dal rombo del motore. La Lancia svoltò l'angolo, seguita , molto più lentamente, dal 107 rosso diretto verso Montesacro.Sul marciapiede di fronte una donna dimessa, altrettanto scialba come lo sventurato prigioniero, con un Figlio della Lupa in braccio e una Piccola Italiana per mano, piangeva sconsolata.
    Roma, eternamente indifferente, si preparava al Sabato Fascista.

Maria Santini


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Maria Santini  è nata a Torino ma vive a Roma da molti anni. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere storico e fantastico, si è occupata di narrativa per la scuola rivisitando, in uno stile avvincente e personalissimo, i luoghi della memoria. L'insaziabile curiosità intellettuale è un dato caratteristico di questa scrittrice che offre al lettore una qualità di scrittura e una capacità narrativa assai rare. Ha pubblicato in volume da Simonelli Editore:  Matilde di Canossa, Liszt.
In edizione elettronica, SeBook, ed in Ex Libris, disponibili su www.ebooksitalia.com, i Pascoli del Mistero e Set
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