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 Perché Pascoli
 protagonista di un romanzo?

 Gentile Maria Santini,
ho letto con grande interesse il suo libro “I Pascoli del mistero” che mi è piaciuto molto. Oltre a creare una trama avvincente, lei ha saputo rievocare con molto gusto l’atmosfera della Messina di quei tempi prima che il disastro colpisse e snaturasse per sempre la mia città. Le chiedo comunque due cose.
La prima: perché ha scelto proprio Pascoli come protagonista di un libro “messinese”?
La seconda: Perché ha mescolato personaggi storici con personaggi di fantasia? Non trovo che siano difetti, badi bene: è solo una curiosità
Cordialmente
E. B. - Messina

 Gentile lettrice, la ringrazio per le lusinghiere parole e cerco di rispondere ai suoi quesiti.
 Perché proprio Pascoli, lei chiede, viene posto a protagonista di questa storia messinese?
 Per molti motivi.
 Innanzitutto l’accoppiata Pascoli-Messina mi ha sempre colpito perché avrebbe dovuto risolversi in un fiasco e si tramutò invece in un grande amore.
 Ci sono tanti pregiudizi anche oggi, nei rapporti nord-sud dell’Italia, figuriamoci allora quando le due parti in causa si conoscevano pochissimo.
 Giovanni e Maria penetrarono in un mondo sconosciuto, abissalmente diverso dal loro per lingua, abitudini, clima. Messina era un porto di mare come Livorno, dove i Pascoli avevano vissuto otto anni ma la differenza fra le due città, la morfologia della costa e perfino il colore dell’infinita distesa marina non avrebbe potuto essere più cospicua.
 Era, quello siciliano, un mondo dove la romagnolissima Maria dovette fare a meno del camino, sostituito da fornelli e caricarsi invece di quello che per lei, così selvatica, era un fastidio: la presenza di una domestica in casa perché non stava bene che un professore universitario non ce l’avesse… Un mondo in cui i mandarini traboccavano da tutte le bancarelle di frutta mentre loro li spedivano a Ida come una rarità: e dove Gulì veniva portato a fare la sua passeggiatina serale davanti alla perfetta falce dei palazzi nobiliari tutti identici fra di loro, la Palazzata a mare.
 Eppure non ci fu differenza che tenesse: “cara e bella città dove fummo felici” scriverà Maria molto tempo dopo, quando sia la Messina in cui era vissuta sia il suo grande fratello non c’erano più.
 Insomma, fra i Pascoli e la città nacque e si sviluppò un vero feeling, nonostante gli incidenti degli inizi, come per esempio il tifo che colpì tutti e due. Una simpatia anzi un amore che non tramontò mai, amplificato come fu dalla circostanza del terremoto, quello di cui fra poco più di un anno, per la precisione il 28 dicembre 2008, ricorrerà il centenario.
 Da tanto tempo loro erano lontani eppure Giovanni e Maria piansero con sincerità non soltanto gli amici perduti ma anche la città che, in quei primi anni dopo il disastro, correva anche il rischio di non essere mai più ricostruita.
 A Messina, inoltre, Giovanni elaborò gran parte della sua produzione poetica più grande, i Canti di Castelvecchio ed anche Maria per una breve stagione fu poetessa, con il nom de plume di Sibilla.
 Se vuole approfondire ulteriormente questo forte, affettuoso legame, gentile lettrice, troverà molti particolari nel mio libro “Candida Soror”, il saggio che ho dedicato alla vita di Maria Pascoli.
 Penso di averle spiegato a sufficienza perché ho scelto di mettere insieme i due Pascoli e Messina.
 Se poi lei si chiede se sia giusto unire in un testo personaggi realmente esistiti, che l’autore fa parlare e agire arrogandosi la responsabilità di interpretarne la psicologia, con personaggi di fantasia, le rispondo che questo è un espediente letterario usato da sempre, in tutte le letterature occidentali: e che la persona più illustre che si pose il problema fu Manzoni il quale, al di là delle teorizzazioni, lo risolse nella maniera più perfetta dandoci due capolavori “frammisti di vero e di invenzione”: l’Adelchi e i Promessi Sposi.